P. Di Paolo, Mandami tanta vita

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I due giovani di Di Paolo

di Antonio Stanca

dipaoloE’ nato a Roma nel 1983, ha trent’anni, si chiama Paolo Di Paolo, è laureato in Lettere, ha svolto un Dottorato di ricerca in Studi di storia letteraria e linguistica italiana presso l’Università di Roma III, ha esordito nella narrativa nel 2004, quando aveva ventuno anni, con i racconti di Nuovi cieli, nuove carte, finalista quell’anno nel Premio Italo Calvino per l’inedito, suoi romanzi noti sono Raccontami la notte in cui sono nato del 2008 e Dove eravate tutti del 2011. Ha scritto anche per il teatro, è autore di saggi ed ha svolto, a volte insieme ad altri studiosi, lavori di ricerca, di raccolta di interviste, conversazioni, incontri con importanti autori contemporanei, ha curato alcune antologie. Collabora col supplemento “Domenica” de “Il Sole 24 ORE”, con “L’Unità” e con le riviste “Nuovi Argomenti” e “L’indice dei libri del mese”. Molto ha fatto e continua a fare Di Paolo, ha cominciato da molto giovane ed ora, a trent’anni, è un noto studioso di letteratura e di teatro, un saggista, un giornalista ed uno scrittore. Come tale ha ottenuto importanti riconoscimenti e il più recente è stato quello di vedersi tra i cinque autori finalisti del Premio Strega 2013 vinto da Walter Siti con Resistere non serve a niente. Di Paolo è risultato terzo con Mandami tanta vita, romanzo pubblicato dalla casa editrice Feltrinelli di Milano nella serie “I Narratori” (pp. 155, € 13,00).

Anche in quest’opera lo scrittore mostra che la nota principale della sua narrativa è  quella di voler cogliere quanto avviene oltre l’evidenza, la vita interiore dei suoi personaggi, mostrare cosa, come essi pensano, sentono, rappresentare i pur minimi riflessi della loro anima a volte in maniera immediata, mentre si verificano e senza mai diventare difficile, complicato nell’esposizione. E’ una qualità dello scrittore comparsa già nelle prime narrazioni e sempre coltivata. In Mandami tanta vita ad essere osservato, rappresentato dal Di Paolo è lo spirito di due giovani, Moraldo e Piero, entrambi ventenni, entrambi provenienti da famiglie modeste e studenti universitari a Torino nel 1925. Non si conoscono e sconosciuti rimarranno per l’intera narrazione. S’incontreranno per caso e per brevissimo tempo all’inizio e alla fine dell’opera. La prima volta sarà in un’aula universitaria a Torino e Moraldo avrà modo di apprezzare i progetti che Piero espone ai compagni presenti, il suo interesse a produrre riviste impegnate in ambito culturale, letterario, politico, sociale, la sua intenzione di continuare, ampliare, migliorare tale produzione, la sua posizione contraria al fascismo che in quegli anni si stava diffondendo in Italia. Era l’Italia uscita da poco dalla Grande Guerra, l’Italia che stentava a trovare un modo per rifarsi dei molti danni subiti, che soffriva per le gravi condizioni economiche, che era agitata da forti tensioni sociali e credeva facilmente a quanto le veniva promesso anche se da fazioni, partiti politici completamente diversi tra loro. La Torino di quel periodo, dove vivevano Moraldo e Piero, molto risentiva del generale stato di confusione.

Dopo quella volta Moraldo non rivedrà più Piero ma lo ricorderà, ne ricorderà il modo di vestire, lo sguardo, le parole. Ne era stato tanto attirato da riconoscerlo alla fine del romanzo quando, di nuovo per caso, s’incontreranno in un giardino pubblico di Parigi, la città nella quale entrambi si erano recati alla ricerca di quanto mancava alla loro vita. Moraldo è diverso da Piero, non è come lui sicuro, preciso, concreto nelle azioni, chiaro nelle idee. Piero si è sposato con Ada, hanno una bambina di pochi mesi, Moraldo, invece, ha ancora difficoltà a parlare con una donna, è timido, incerto, introverso, non è mai sicuro di quello che vuole e a volte neanche di quello che dice.

Due modi diversi di vivere la giovinezza sono i loro ed entrambi Di Paolo ritrae in ogni aspetto, in ogni particolare, in ogni segreto. Nell’opera si alternano in continuazione le parti dedicate ai due protagonisti e abile è lo scrittore in tali interminabili passaggi, sempre riesce pur in situazioni molto diverse. Le aspirazioni di Piero sono tante quanti sono i problemi di Moraldo. Egli è andato a Parigi perché limitato gli sembrava l’ambiente torinese per i suoi studi, le sue ricerche, i suoi propositi editoriali. Anche Moraldo è andato a Parigi ma per seguire una giovane donna dalla quale credeva di essere amato, con la quale pensava di risolvere finalmente i problemi della sua vita. Né l’uno né l’altro riusciranno nei loro intenti e mentre Piero troverà la morte a causa delle complicazioni di una malattia, Moraldo troverà un’altra sconfitta.

Due esperienze singolari sono state e Di Paolo le ha rese nella loro totalità. E’ riuscito pure a mostrare quanto avveniva nell’Italia dei primi del Novecento non solo in ambito sociale, politico ma anche in quello culturale, artistico. Lo ha fatto combinando le sue conoscenze di storia, di letteratura con le sue abilità di scrittore, la realtà, la cultura, la vita del momento con le vicende dei suoi personaggi. Una costruzione tanto riuscita si può dire dell’opera da farla apparire vera, naturale in ogni suo aspetto.