Scuola e Alunno con Autismo

Scuola e Alunno con Autismo
Riflessione sul modello italiano

Ed eccoci ad un problema centrale “Scuola e Autismo”.
Puntualmente come ogni anno, all’inizio dell’anno scolastico, si sentono e si leggono articoli riguardanti nomine, insegnati di sostegno, cattedre, certificazioni, ecc., in realtà dovremmo occuparci di Marco, Alessia, Simone a scuola e non in generale di leggi, di bambini con autismo o di pedagogia, psicopedagogia, ecc.
Alcune riflessioni a proposito meritano perciò attenzione e dibattito.

C’è fra tutti noi cittadini e soprattutto noi genitori di bambini con autismo, una forte apprensione associata a speranza e grandi attese relativamente alla qualità della prospettive educative e della vita di relazione che i bambini e i ragazzi con autismo sperimenteranno all’interno di un contesto altamente specifico come è la scuola.
La scuola, seconda soltanto alla famiglia come luogo educativo e di permanenza, è certamente un momento fondamentale per il ragazzo, la famiglia e la società.
La scuola è anche per ora la sola realtà “istituzionale” che, nel bene e nel male, si è fatta carico del problema “autismo”, ed inoltre, è anche quella che quotidianamente impatta, in modo diretto e continuato, con le difficoltà vere del singolo bambino certificato, investendo attenzione e risorse nella gestione di un processo, quello dell’integrazione, mai troppo chiarito, i cui traguardi e le cui metodologie sono state dalla scuola stessa più inventate ad hoc che apprese e applicate. Al suo interno, la scuola ha consentito, ad insegnanti, bambini e alunni con disabilità, una esperienza reciproca e troppo spesso, a tale istituzione, è stato attribuito e ingiustamente richiesto, un impegno eccedente finalità e possibilità intrinseche. Frequentemente si è confuso il suo ruolo pedagogico e sociale, con il percorso riabilitativo vero e proprio di molte disabilità. Nonostante questo fraintendimento molti insegnati si sono distinti in questa sfida con stupefacenti adattamenti e ottimi risultati ma molti sono anche gli errori, molti i silenzi, le ingiustizie, le intolleranze, le discriminazioni, i muri di gomma…

La scuola è un diritto e un dovere

La scuola è la vita, la vita di ogni uomo nella collettività, al di là della sua condizione, del suo stato di salute, della sua specificità, della eventuale sua non abilità o disabilità. Il soggetto è nella scuola come “individuo”, non come “normo-dotato” o come affetto da “autismo”, o da “audiolesione”, ecc. La scuola mette in relazione persone differenti che si scambiano informazioni, su sé, sugli altri e sulle cose e nessuna etichetta, nessuna caratteristica, peculiarità, origine, religione, diagnosi, dovrebbe modificare in senso negativo o deprivativo tale scambio.
In questa ottica la legge 104 del 1992 prevede la scolarizzazione di tutti i minori in situazione di handicap, bambini con autismo compresi. Altre norme ancora sono state emante per assicurare questo diritto e sarebbe bene conoscerle per potersi sorprendere nel vedere come questo obiettivo risulti tuttavia così difficoltoso.

Scolarizzare non significa semplicemente “accesso”.

La scolarizzazione non si riduce all’accesso, all’inserimento in una classe ma produce, quale elemento nobile e qualificante, integrazione, come percorso che dalla aspecificità delle finalità di gruppo e delle formule di principio, mediante un insieme di adattamenti reciproci, guidati dai docenti, giunga all’individualità degli alunni, consentendo loro delle esperienze significative, sia nell’apprendere che nel socializzare.

Cosa assolutamente dobbiamo pretendere dalla scuola?

E in particolare, noi genitori di soggetti con autismo, “cosa possiamo pretendere?, E una volta che lo avremo stabilito potremo anche domandare “Realizza la scuola ciò che è corretto pretendere?”, ed eventualmente “Perché non lo può fare?”

Per legittimare simili quesiti sarebbe importante dimensionare a livello nazionale il fenomeno autismo e sindromi correlate, comprendendo all’interno di questo eterogeneo gruppo, a causa delle diverse classificazioni utilizzate dai vari professionisti relativamente a tali diagnosi, anche i casi di psicosi infantile. Le dimensioni del problema ci potrebbero far capire meglio come ci dobbiamo organizzare per pretendere risposte sempre più qualificate e specifiche.

Dimensioni del problema

I bambini diagnosticati autistici o psicotici nelle scuole pubbliche d’Italia, in base ai dati dei provveditorati agli studi (oggi CSA), dati ricavati dalle diagnosi ufficiali rilasciate dai Servizi Sanitari, relativi all’anno 2001-2002, riferiscono un numero di casi complessivo di 8062 alunni così certificati, e cioè 140 casi circa per milione di abitanti; suddivisi in 64/milione con diagnosi di autismo, e 75/milione con diagnosi di psicosi infantile. Attenzione questi sono i dati relativi agli alunni disabili certificati rispettivamente, autistici o psicotici, presenti nelle scuole in Italia in un preciso periodo di tempo e non i dati riferiti alla totalità dei casi presenti sul territorio nazionale.

DIAGNOSI DI AUTISMO E PSICOSI INFANTILE (dati CSA 2001-2002)

Diagnosi di Autismo

Scuola materna 21/ milione di abitanti (1220 bambini certificati autistici)
Scuola elementare 22/ milione di abitanti (1276 bambini certificati autistici)
Scuola media 15/ milione di abitanti ( 870 bambini certificati autistici)
Scuola secondaria superiore o II° grado 7/ milione di abitanti ( 406 bambini certificati autistici)

Diagnosi di Psicosi infantile

Scuola materna 20/ milione di abitanti (1160 bambini certificati psicotici)
Scuola elementare 20/ milione di abitanti (1158 bambini certificati psicotici)
Scuola media 19/ milione di abitanti (1102 bambini certificati psicotici)
Scuola secondaria superiore o II° grado 16/ milione di abitanti ( 928 bambini certificati psicotici)

Come potete vedere i valori numerici rispettivi, autistici e psicotici, sono pressochè sovrapponibili. Se però sono paritetici in partenza (scuole materne), divengono dismogenei successivamente a causa dei ritiri, poiché, con il passare degli anni, i bambini autistici scolarizzati diminuiscono in modo significativo, in generale (valore assoluto) e persino rispetto ai soggetti certificati come psicotici. I bambini con diagnosi di psicosi mantengono fortunatamente una forte presenza anche nella scuola secondaria. Questo dato ci dice però che le cose vanno particolarmente male per i soggetti con autismo. Non è infatti il migliorare dell’incidenza della diagnosi che li fa scomparire dalle aule ma piuttosto oggettive difficoltà nell’integrazione.

E’ solamente l’andamento severo della sindrome autistica che può giustificare la negatività di questi riscontri?

Noi genitori non lo crediamo.
I dati mostrano che per l’autismo la scolarizzazione è anche meno precoce, forse perchè le diagnosi arrivano un po’ più tardi, o entrambe le cose, rispetto alle psicosi (lieve aumento dei casi nelle scuole elementari). Ma questo dato è strano perchè le psicosi si affermano tipicamente in età decisamente più avanzata rispetto al sospetto di autismo. Questo dimostra inconfutabilmente che molte diagnosi di autismo vengono fatte molto tardi. Altre elaborazioni dei dati forniti dal CSA evidenziano anno dopo anno, un incremento costante dei casi, per ambedue le diagnosi, anche se di poche unità per milione, e tale andamento mostra un aumento maggiore a favore delle certificazioni di autismo rispetto a quelle di psicosi infantile in un rapporto pressochè doppio (il che fa pensare ad una corrrezione di diagnosi). Questo starebbe per un aggiustamento dei criteri diagnostici e per una sempre maggior conoscenza dell’autismo, più che per una diminuizione reale della patologia psicotica.
Appare veritiero però che questa fotografia “scolastica” del problema, pur significativa, offra valori decisamente sottostimati rispetto ai quadri patologici in questione nella loro interezza. Da una parte perché questi dati non comprendono i casi, con PDD e altre patologie border-line, quelli non ancora certificati, e dall’altra perché il provveditorato non rileva tutti i possibili pazienti o i loro spostamenti e, non ultimo, perchè manca nel conto il numero di chi è istituzionalizzato al di fuori della scuola (orfani o “a tutela sospesa”), oppure c’era ed è uscito e di chi si aggiungerà a costoro nell’anno appena iniziato.
Questi sono i dati da cui noi dobbiamo partire per capire quanta voce in capitolo abbiamo rispetto ai circa 50.000 insegnati di sostegno operanti in Italia e per impegnarci a non rinunciare in alcun modo e per nessuna ragione al profondo valore di scolarizzare.

Integrazione

Esiste anche una profonda differenza tra inserimento e integrazione.

Il presupposto di base, quando si parla di autismo, è comprendere che siamo di fronte ad un disturbo complesso e le risposte possibili saranno dunque complesse. Le situazioni sono molteplici e vanno affrontate, di volta in volta, come problematiche differenti, in un’ottica di specificità. I riduzionismi non aiutano a capire la realtà delle persone, perché ne prendono una piccola parte e la fanno diventare il tutto. Consapevoli delle difficoltà insite nella specificità, è bene ribadire che noi genitori di alunni con disabilità cognitivo-comportamentale sappiamo bene, e lo vogliamo ribadire, che la scuola non è il luogo deputato alla terapia propriamente detta per i disturbi dei nostri figli.

Noi semplicemente vogliamo realizzare ciò che è previsto dalla legge: apprendimento ed integrazione.
Vogliamo per i nostri figli esperienze significative, socializzazione, ampliamento delle capacità comunicative e relazionali, apprendimenti seppur minimi, mirati a favorire l’autonomia attraverso competenze e abilità essenziali, dando qualità alla loro esistenza. Sappiamo anche che, nell’ambito di questo progetto complesso e difficile, tutte le esperienze sono importanti ma questo non significa che tutte siano valide e, secondo il principio della rete, in un’ottica si scambio delle informazioni tra scuole, si dovrebbero socializzare le esperienze prestando ascolto a quelle riconosciute come esemplari e che possano essere utili e a disposizione di tutti. Non serve compartecipare soluzioni del problema solo se “esaustive, radicali o miracolose” ma semplicemente aiutare gli operatori a non sentirsi isolati all’interno della propria azione didattica “in divenire”, aprendo loro un orizzonte di riferimento più vasto.

L’integrazione è qualità di vita in comune ed è un fenomeno sicuramente complicato, i cui obiettivi vanno perseguiti non separatamente tra loro ma sperimentati in un’ottica di globalità. L’integrazione si realizza attraverso una esperienza comune o allargata, quando cioè tutti, operando insieme, si aiutano reciprocamente a migliorare la competenza culturale, relazionale e comunicazionale dei singoli nel gruppo.

Non da soli dunque si affronta l’integrazione, e verrebbe da dire “tanto meno l’autismo”.

Le condizioni essenziali affinchè esista integrazione sono:

Tutti divengano interpreti di uno stesso progetto, tutti debbono essere coinvolti, non solo l’insegnante di sostegno, ma tutti: il docente e il dirigente, i collaboratori scolastici, la famiglia, i medici, i paramedici, gli alunni, tutti….
Si deve operare in modo sinergico. Ciascuno deve impegnarsi per quanto gli compete, in una connessione stretta e continua con gli altri per fare un lavoro comune. Ciascuno faccia la sua parte e ciascuno si nutra e si rafforzi dell’esperienza integrative di tutti gli altri del gruppo e di coloro che sono altrove.
Integrazione significa anche “responsabilità”. Ciascuno ha la propria.

Sappiamo tutti che per consentire l’integrazione vera, non formale, nella scuola e nella società, specialmente dell’alunno con autismo, se vogliamo realmente farci carico di questo, risulta fondamentale ripristinare concetti squisitamente etici, un po’ desueti in questa civiltà patinata ed egocentrica; quello della responsabilità personale, di responsabilità attiva, di impegno individuale e di gruppo, di dovere morale. Non è affatto vero infatti che noi esistiamo perché qualcuno ci ha generato, la nostra umanità esite perchè un adulto ci ha adottato, cioè si è fatto carico, s’è preso cura, responsabilità, di ciascuno di noi. Dimenticare questo è dimenticare il senso della nostra vita.

“Approccio positivo”

Dal punto di vista psicopedagogico educativo, l’unico approccio corretto per promuovere l’integrazione dei bambini autistici è un “approccio positivo.
Positività non significa semplicemente che non si debbano più usare modelli di tipo disfunzionale, cioè quelli che partono dal proporre e ricostruire ciò che non funziona bene, ma anche e soprattutto che con questi bambini si deve procedere e costruire a partire dalla loro positività, dai loro interessi, da ciò che loro propongono e manifestano, facendo spazio alla spontaneità, nella congruità e rafforzando ciò che è adeguato, spendibile, equiparato all’età, prestando attenzione a gratificare ciò che è armonioso e coerente con la situazione e gli intenti comuni del gruppo, in un cammino di piacere nel fare le cose, di rinforzo dei comportamenti produttivi e funzionali.
Positività significa non lasciarli senza proposte, significa che con questi bambini non si può utilizzare il “no” fine a se stesso, il “no” e basta, il “no” senza spiegazioni, senza soluzioni sostitutive. A questi bambini va insegnata l’alternativa alla negazione, al divieto, a ciò che non è permesso, alla frustrazione di vedersi negato qualcosa. Questi bambini non possono essere obbligati a un comportamento, a una risposta, né a una socializzazione, né si possono enfatizzare in loro soluzioni abilitative eccessivamente specializzate o univoche, rinunciando o addirittura soffocando una globalità indispensabile, con interventi volti ad un recupero complessivo e ad una “non” formale integrazione.
La coercizione non aiuta il bambino autistico. Servono altre strategie, serve formazione, pazienza, tranquillità, disponibilità, anticipazione. Vie che privilegino la positività esistente in loro nelle diverse situazioni, che sfruttino i punti forti presenti nella realtà dell’altro, che richiamino l’impegno di tutti gli operatori nel realizzare un progetto partecipato di vera qualità della vita.

Linee guida fondamentali per avviare l’integrazione dei bambini autistici.

Alla scuola si dovrebbe giungere con requisiti minimi indispensabili già acquisiti dall’alunno certificato: l’attentività, l’attenzione condivisa, la capacità di scambio e la reciprocità nelle intenzioni, la motricità grossolana e fine, la comprensione del linguaggio, alcune autonomie di base, ecc.
Questo non sempre avviene, anzi raramente il bambino autistico è così opportunamente attrezzato e uno dei primi compiti della scuola, ai vari livelli, è quello di sapersi informare adeguatamente presso i diretti responsabili della presa in carico (specialisti neuropsichiatri infantili; esperti della problematica) sull’esistenza di questi prerequisiti e quindi valutarli, individuarli, quantificarli e monitorarli. Se assenti o carenti, la scuola deve assicurarsi il permanere dell’alunno certificato in percorsi atti a fornire ed adeguarlo a queste competenze essenziali.
La relazione medica deve essere informazione utilizzabile per gli insegnanti e dire loro cosa riconoscere e cosa è meglio fare ed evitare, ma soprattutto deve legittimare la forma di intervento pedagogico che verrà poi proposta.
L’altro, il bambino autistico, non è un esempio di patologia, l’altro è una persona da conoscere nella sua totalità, nella sua qualità di essere umano e come tale non ha di per sé obblighi di trasformazione in qualcosa di meglio.

L’intervento educativo nella scuola dovrebbe poi favorire:

l’acquisizione di un linguaggio
(in qualunque forma possibile privilegiando quello verbale, non verbale, corporeo, scritto, ecc.)
lo sviluppo delle capacità percettive e di esplorazione dell’ambiente
la promozione di competenze strumentali di base
la partecipazione attiva alla vita del gruppo classe
l’avvio alla socializzazione nel gruppo e all’esterno della scuola.

Il successo degli interventi educativi è invece in relazione all’affermarsi di altre variabili:

Precocità di avvio alla scolarizzazione, (favorire l’inserimento educativo precoce dei bambini autistici già negli asili nido, nelle scuole materne), sempre e solo se gli interventi erogati sono adeguati (questi due concetti non andrebbero mai disgiunti).

Competenza di tutti operatori, tutti quelli coinvolti, non solo scolastici, tutti, dalla sanità, scuola, società, servizi, tutti quelli coinvolti.

L’integrazione si realizza producendo cultura e consenso.

Servono persone molto preparate, sotto il profilo, medico, pedagogico, sociale, ecc.
Se ci si riferisce ad un soggetto autistico si ha bisogno di insegnanti di sostegno che conoscano benissimo i capisaldi della pedagogia (per esempio le metodiche di Schopler, alcuni metodi di condizionamento operante, metodi di comunicazione aumentativa e alternativa, ecc). Insegnamenti fondamentali.che devono far parte del bagaglio professionale di chi si avvicina all’handicap cognitivo-relazionale e che poi saranno utilizzati e adattati in modo conforme al caso specifico.

Disponibilità affettivo-comunicativa degli insegnanti, che è specifica e di cui bisogna se ne assumano personale e piena responsabilità

Fiducia nell’ottenimento degli obiettivi che pertanto debbono essere realistici.

Ottimismo nella verità, non piaggeria o entusiasmo da ciarlatani

Coinvolgimento forte dei genitori e familiari, che debbono realizzare una continuità di obiettivi e strategie anche in casa.

E’ necessario partecipare come genitori, insieme agli altri operatori coinvolti, alla stesura del progetto educativo-pedagogico dei nostri figli, un progetto individualizzato, realistico, effettivo, e che la legge recita come condiviso. Anche l’insegnamento dovrà essere condiviso, esplicito ed intenzionale, senza tempi morti, flessibile ed utile nel metodo e nei tempi. Dovrà avvalersi di un uso proprio dei materiali e di un uso corretto degli spazi, valutando sistematicamente i risultati per correggere gli errori o potenziare i progressi

Lavoro di rete, di coordinamento e di integrazione degli interventi per mezzo di alleanze positive tra i vari operatori, tra servizi diversi, tra medici e insegnanti, tra assistenti sociali medici e insegnanti, tra dirigenti scolastici e responsabili dei servizi socio sanitari.
Mettersi insieme per dare risposte utili.
I genitori da soli, la scuola da sola, i medici da soli, possono ottenere meno di quanto sarebbe possible. L’ottica essenziale è quella delle sinergie tra dimensione clinica, familiare e con l’organizzazione interna della scuola e del sociale.

L’istituzione scolastica, con l’avvento dell’autonomia didattica, non è più vincolata ad un modello permanente di funzionamento e può, di volta in volta, decidere secondo i bisogni degli allievi, quali forme organizzativo-didattiche siano le più funzionali rispetto all’intervento scelto; non c’è più un vincolo, un modello definito da seguire. L’avvio della devolution inoltre ridurrà sempre più le competenze del ministero della sanità e della pubblica istruzione facendo emergere nuovi interlocutori per il mondo della scuola: regioni, province, comuni, enti locali, ecc.

Il successo dell’inserimento è correlato alla personalizzazione, non l’autismo dunque ma Michele, Alessia, il bambino e la sua specificità.

Il successo formativo, non dipende solo dall’insegnante o solo dalle capacità dell’alunno, ma è una co-costruzione che si realizza attraverso l’elaborazione di obiettivi semplici, limitati, graduali, progressivi, attraverso tentativi e aggiustamenti continui degli apprendimenti.
E’ essenziale passare in fretta da una logica individuale, quella che vede tutto il possibile in una sola figura professionale, ad una visione allargata, all’obiettivo comune nello sforzo di tutti.
E’ sbagliato pertanto pensare che simile progetto dipenda esclusivamente dall’insegnante di sostegno.
Anni di graduatorie ‘non’ di merito hanno mandato al massacro persone innocenti in entrambe le trincee. E’ ormai fondamentale il passaggio concettuale che sostituisca l’insegnante di sostegno, con i “sostegni”, come insieme di strumenti, operatori ed energie, coordinati, legati a precise situazioni contestuali, ai veri operatori protagonisti in quel momento, in quella realtà specifica scolastica e sociale in cui si intende realizzare l’integrazione dei nostri figli. Sono sostegni la comunità, il gruppo sociale e scolastico, il gruppo-classe, il tutoring, i materiali necessari e specifici; sono un sostegno l’uso specifico e alternativo e l’organizzazione degli spazi, la documentazione e i corsi di formazione, gli incontri tra operatori coinvolti, con i medici, con i genitori, i video con valutazioni collettive, periodiche, ecc. I sostegni sono tanti e chiamano in causa anche altre realtà, anche altri enti, altre istituzioni che ad esempio debbono preoccuparsi di fornire la scuola dei materiali indispensabili alla realizzazione di un percorso integrativo.

Nelle classi dove è presente il bambino autistico è indispensabile:

Conoscere bene il bambino
Conoscere bene la patologia, le sue cause, le sue caratteristiche, le difficoltà che produce.
La disabilità deve essere conosciuta senza pregiudizi, per poterla accogliere nel gruppo, dal latino cum prendere, cioè “prendere con sé”.
3. Conoscere le strategie pedagogiche ed educative ad essa applicabili in generale.
Le conoscenze cliniche e pedagogico didattiche specifiche sono oggi così stimolanti ed accessibili che non è più possibile accettare l’improvvisazione o l’ignoranza in questa direzione. Il problema della pedagogia dell’autismo non è diverso da una regione all’altra, da una scuola all’altra, è un intervento terapeutico internazionale. È una pedagogia mondiale.
Formulare e condividere con tutto il gruppo operativo il piano d’intervento e il progetto
educativo elaborato per quel bambino.
Conoscerne i dettagliati dell’intervento e strutturare la sua realizzazione mantenendo
un’ampia disponibilità alla necessaria flessibilità.
5. Agire nella quiete. Armarsi tutti di disponibilità, calma e tranquillità.
6. Preparare prima l’accoglienza, il lavoro da effettuare, strutturando spazi, tempi, materiali.
7. Anticipare le attività da svolgere (calendario attività) o la proposta (simbolicamente). Parlare in modo chiaro, semplificato e fare un parco uso delle parole come se fossero preziose chiavi per capire il mondo. Assicurarsi di essere comprensibili e soprattutto di essere compresi. Non usare esemplificazioni verbali, sinonimi, metafore ma essere sempre diretti, espliciti, univoci, coerenti, contestuali, supportando la parola con gesti, immagini, modelli…
8. Partire con attività gradite o che suscitino interesse. Inframezzare le diffocoltà con i piaceri.
9. Controllare e fornire adeguati stimoli senso-percettivi utilizzando un solo canale sensoriale per volta, in modo graduale, concreto, intensivo e ripetuto con assiduità, rettificandone l’utilizzo ogni volta che non funziona perfettamente.
10. Introdurre stimolazioni ed esercizi senso-percettivi utilizzando progressivamente più canali sensoriali, in modo graduale e ripetibile, adattando i compiti alla qualità risultati.
11. Proporre stimoli in quantità limitata (si può lavorare un minuto solamente su un’attività, e spesso è già un successo che quel minuto non sia andato sprecato) ma che siano di alta significatività (è bene interrompere una attività quando c’è il massimo successo in modo da renderla appetibile per una nuova proposta, appena un’attimo più lunga, il giorno dopo).
12. Preparare moltissime attività per una singola competenza (rischiare nuovi apprendimenti). Non tediare ma mantenere alto l’interesse con il successo e il piacere.
13. Organizzare attività con il gruppo; dapprima utilizzando proposte conosciute e praticate nell’uno a uno (bambino-adulto) sostituendo l’istruttore adulto con un coetaneo, e successivamente aprire vistosamente ai coetanei. Favorire liberamente la partecipazione spontanea all’attività del gruppo-classe, nel modo più fiducioso, coinvolgendo in reciprocità gli interlocutori.
14. L’impostazione metodologica deve essere giustificata, legittimata, validata, chiara e soprattutto documentata con registrazioni e video affinchè possa essere valutata nel suo divenire e nella sua efficacia dal punto di vista educativo. Sono i particolari di un intervento che lo trasformano qualitativamente.

Vi sono ostacoli e tanti possono essere interni all’alunno con autismo… ma troppo spesso sono esterni.

E’ certo che da una scuola priva di aule, dove mancano banchi o insegnanti (cosa non così inverosimile in certe zone del nostro paese), non è possibile pretendere l’ottimizzazione di un percorso educativo. Nella stragrande maggioranza dei casi però le risposte adeguate dovrebbero essere possibili.

Due o tre cose su cui non si può più transigere.

Per le specifiche caratteristiche neurobiologiche, gli inteventi educativi negli alunni autistici, devono svolgersi in un setting che preveda stabilità psicologico-ambientale e questo è risaputo nel mondo intero. Non si può più tollerare che l’esperienza della scolarizzazione dei nostri figli si trasformi in un sicuro meccanismo di regressione, di dolore, di confusione assoluta.
Su questa elemento di stabilità spaziale e strutturale fondamentale, si fonda il progetto di integrazione del bambino con autismo nella scuola.

Va fatta una battaglia durissima, giusta e necessaria, da parte di noi genitori, assieme agli insegnanti che sulla loro pelle l’hanno capito e con i medici che lo prescrivono. Ci sono delle precise responsabilità di legge dei comuni, proprietari delle scuole dell’obbligo, e delle province, proprietarie delle scuole superiori, quando gli spazi in cui dovrebbere integrarsi i nostri figli non sono previsti, non sono sufficientemente individuati, non sono sufficientemente ampi o bene illuminati. L’amministrazione centrale e locale deve inoltre comprendere in modo definitivo non solo questo ma anche il principio di continuità ancora continuamente calpestato dalle logiche occupazionali e con giustificazioni non pedagogiche ma spesso rivoltanti nella loro imperscrutabilità.

Erogare interventi educativo pedagogici adeguati.

Quando si può parlare di interventi adeguati?
Quando l’intervento erogato rispetta un codice che riguarda specificamente il soggetto autistico. Setting, continuità, preparazione, formazione, progettualità, condivisione, collegamento con il gruppo, tutela, disponibilità, tranquillità, verifiche, ecc.
Quindi la scuola che cosa fa?
Al momento fa quello che è in condizione di fare, in alcuni casi meglio, in altri peggio, in generale ancora troppo poco se parliamo proprio di autismo e scolarizzazione. Mi pare fondamentale se non altro in prospettiva futura affermare che il ruolo della scuola deve essere migliorato.
Ci vuole cultura. Ci vuole formazione.
Si deve passare da una formazione privata, costosa, elittaria, ad una formazione obbligata, sistematica e pubblica indirizzata e aperta a tutti (anche per coloro che già presenziano nelle strutture del territorio). L’università si deve impegnare a fornire formazione specialistica continua sull’handicap per i medici, per gli insegnanti, per i genitori. La provincia e i provveditorati dovrebbero attivarsi per la formazione. L’associazionismo dei genitori dovrebbe tornare garante di un primato del pubblico per i servizi necessari e fondamentali, lavorando nell’interesse esclusivo dei minori chiamati a vivere la qualità dell’integrazione, non preoccupandosi esclusivamente dell’affermazione delle proposte del proprio specialista o dell’insegnante di Marco o Matteo.
AUTISMO: COSA RICHIEDERE ALLA SCUOLA

Alla SCUOLA si richiede QUALITA’ e non quantità.

Se pensate che un bambino con autismo o con altri disturbi dello sviluppo possa essere inserito in ambiente scolastico sin dal primo giorno ad orario pieno, allora non conoscete questa sindrome.
L’inserimento dovrà essere necessariamente graduale e prevedere un’attenta strutturazione di spazi, modalità e tempi, delle moltissime attività da effettuare. L’immersione nel mondo scuola, seppure strutturata, dovrà essere attentamente monitorata, secondo la capacità di adattamento del bambino con disabilità e non certo secondo un’ipotesi di delega a tempo pieno all’istituzione di turno.
Ricordate che ritirare il piccolo bambino anche solo dopo un’ora di lezione, nei primi giorni, mantenendo elevato il livello di tolleranza e di interesse per ciò che viene proposto, significherà non doverlo necessariamente ritirare, persino definitivamente, più tardi, nè costringerlo ad aggravamenti e a penose alternative alla partecipazione (permanenza in vuoti corridoi o rimbombanti aule di ginnastica…) per frustrazione da insuccesso, da confusione, per eccesso esperienziale o per stanchezza, intolleranza.
E’ essenziale che il permanere a scuola sia sempre produttivo e di alto livello qualitativo. È certamente meglio che la scuola non lasci sperimentare, al bambino con disabilità, disagio, angoscia, frustrazione, fallimento, o consentirgli di scoprire modalità improprie di rifiuto, di allontanamento da essa.


QUALITA’

Qualità significa:

NON AVERE PREGIUDIZI
AVERE CALMA, DISPONIBILITA’, TRANQUILLITA’,
SAPERE BENE COSA “FARE”
e soprattutto
SAPERE COSA “NON-FARE”


COSA E’ L’AUTISMO

È un disturbo cerebrale complesso, i cui meccanismi e le cui cause sono ancora poco chiare, che sembra condizionare ed alterare profondamente l’utilizzazione corretta delle informazioni che giungono dall’esterno associata ad altre difficoltà. Molti livelli psicologico-neuro-funzionali sembrano disfunzionali ed incongrui rispetto alle classiche tappe dello sviluppo psicologico. Conseguentemente il bambino non è in grado di comprendere, distinguere, codificare spontanemente, oppure utilizzare in modo coerente le informazioni che gli giungono dall’ambiente. E’ confuso e invaso da un intricato e spesso intollerabile insieme di sensazioni difficilmente gestibili. Questo suo vivere in un caos sensoriale gli impedisce di partecipare, relazionarsi, capire, apprendere, avere iniziative ed elaborare i dati conseguenti a queste esperienze come succede normalmente agli altri bambini così da preferire il permanere in un sorta di basso e ripetitivo livello esecutivo e recettivo. Questa enorme difficoltà di ricezione, di utilizzazione adeguata delle informazioni e di produzione diventa vuoto di informazioni e povertà di performance. Vuoto che si esprime in mancanza di interessi, di linguaggio, in solitudine, agitazione, ritardo intellettivo, ritualità, incapacità di relazione e comportamenti inadeguati se non proprio inopportuni. Questo non significa che i bambini con disturbi cognitivo-comportamentali, non desiderino liberarsene, né che le competenze carenti non le si possa insegnare loro,nè che vi siano limiti insuperabili ad un compenso.
Lo sforzo di tutti è di rendere chiaro ciò che viene richiesto e proposto e di condurre progressivamente questi bambini verso una selezione, un ordine nell’apprendere e una normalizzazione del vivere con se stessi e gli altri, eliminando ciò che è di disturbo in questo cammino sia che venga dall’esterno, sia che dipenda dal problema biologico-neurofunzionale condizionante.

SAPERE COSA “FARE”

Accogliere un bambino con autismo o malattie correlate significa adottare le dovute strategie, significa sapere cosa “fare”:

COSA RICHIEDERE ALL’AMBIENTE

LUOGHI, TEMPI E ATTIVITA’ DA EFFETTUARE
DEBBONO ESSERE SEMPRE PROGETTATI PRIMA

1 – STRUTTURAZIONE DEL LUOGO
Significa organizzare e definire stabilmente alcuni spazi “protetti” all’interno della scuola.
Luoghi specifici, utili ad una ottimale realizzazione delle attività da svolgere in un rapporto uno a uno;
uno – piccolo/grande gruppo, identificati secondo le caratteristiche del bambino e
gli obiettivi educativi per lui individuati.
“Protetto” significa: configurato, adeguato, tranquillo.
Significa OCCASIONALMENTE organizzare e definire rapidamente ulteriori “spazi protetti” per adeguarsi ad attività diverse, nuove. Significa anche individuare segnali convenzionali, a disposizione del bambino, che lo mettano “in sicurezza” rispetto a una condizione di difficoltà o di minaccia, quando occasionalmente è fuori dagli spazi protetti. La progressiva estensione in senso dinamico del concetto di spazio “protetto” consente l’elaborazione di una individualità nello sperimentare, nell’esplorare e di una flessibilità operativa assai utile per uno sviluppo psicologico futuro.

2 – STRUTTURAZIONE DEL TEMPO
Sulla base delle caratteristiche del bambino e degli obiettivi educativi per lui individuati si debbono progettare, condividere, valutare gli insegnamenti da proporre.
Questo significa organizzare e definire prima, in generale e nel quotidiano, i tempi, le attività da proporre e eseguire; come effettuare la loro misurazione, registrazione, nonchè programmare le valutazioni periodiche da effettuare sugli apprendimenti per elaborare nuove pianificazioni e strategie.
Bisogna preparare prima ciò che serve (attendere è difficile e le modalità di attesa e riposo vanno insegnate) e anticipare quanto da eseguire con opportuni elenchi e tabelloni, definendo con chiarezza inizio e fine di ogni attività. Ci si preoccuperà di introdurre flessibilità nella loro proposta, nel continuarle e sospenderle, coinvolgendo l’alunno nelle attività di riordino.

NB. L’organizzazione dello spazio e del tempo dovrà essere pianificabile, comprensibile e visibile anche per il bambino (calendari attività; tabelloni ecc…)

3 – STRUTTURAZIONE DELLE ATTIVITA’
In base alle competenze già acquisite da un bambino e valutate attentamente quelle in emergenza si definiscono gli obiettivi da raggiungere, le competenze su cui lavorare.
Per ogni competenza se si progetteranno alcune attività che la riguardino, si prepareranno i materiali e le strategie per meglio effettuarla.
È utile disporre di più attività per singola competenza, evitando di annoiare, o di prolungare eccessivamente una proposta, mettendosi nella condizione migliore per mantenere alta l’attentività e l’adesione a quanto proposto. È opportuno inoltre iniziare sempre con una proposta gradita e poi le novità. Si spieghi bene cosa verrà esattamente richiesto al bambino, visualizzando e verbalizzando chiaramente il nome e le modalità esecutive della nuova attività, l’accesso e l’uscita da questa nuova competenza.
L’esecuzione delle attività, la risposta ad esse, la partecipazione a quanto proposto deve essere puntualmente premiata (variando ed estinguendo progressivamente gli aiuti e i premi) prestando molta attenzione a quanto si sta realmente e magari inconsapevolmente premiando in quell’istante; e mano mano che l’impegno e le capacità si manifestano, si inseriscano punteggi (tabelle con gettoni adesivi) per ottenere gratificazioni finali (scelte dallo stesso bambino e consistenti in concessioni speciali che lo riguardino) o proponendo contratti in cui esito sia di grande soddisfazione.
Non bisogna mai dimenticare di enfatizzare enormemente il piacere di effettuare e concludere bene un compito affinchè divenga esso stesso il vero premio.


COSA RICHIEDERE ALLE PERSONE

1 – COSA E’ RICHIESTO ALLE INSEGNANTI

FIDUCIA in sé stessi e nel bambino
DEDIZIONE, DETERMINAZIONE & CONTINUITA’
PREPARAZIONE, FORMAZIONE e AFFRANCAMENTO DAI PREGIUDIZI
(Es. di pregiudizi radicati quanto falsi: handicap irreversibile; sempre ritardo mentale grave; averbalità; aggressività; asocialità; autolesionismo, bambini pericolosi, difficili, ecc. )
I pregiudizi confondono e impediscono il riconoscimento che l’autismo è una disfunzione e non un male senza soluzione. Avere nella scuola un bambino con autismo è come avere un bambino con diabete. Così come una classe intera è informata e si ferma di fronte ad un malore di un bambino con diabete per soccorrerlo, per la stessa ragione dovrebbe “fermarsi” se un alunno con autismo, non riesce a comprendere quanto gli è richiesto, per soccorrerlo.

2 – ELIMINARE il “NO” e la frase “QUESTO NON SI FA”

La negazione e basta… non serve a questi bambini.
Non possono riempire un vuoto con un vuoto. Ma vale per essi la sostituzione, l’alternativa. (ad es. Se un bambino ama rubare la gomma dagli astucci dei coetanei e magari romperla, ridendo felice, è perché qualcuno, in precedenti occasioni, lo ha rincorso, lo ha catturato togliendogli di mano il prezioso oggetto, con grande partecipazione emotiva della classe intera. Le caratteristiche assunte dall’esperienza, magari casuale, l’hanno resa interessante, rinforzandola. Per modificarla ora è necessario impoverirla riducendone gli effetti (estinzione per indifferenza), Responsabilizzata la classe intera sul problema e sulla strategia per risolverlo, risulterà opportuno lasciare che il bambino completi la sua azione nel disinteresse di tutti e appenna si sarà fermato fargli una precisa richiesta: “Dammi la gomma”. In una successiva occasione gli si darà l’opportunità di sperimentare lo stesso comportamento facendo in modo che prima egli formuli la richiesta: “Posso avere la tua gomma?” e si enfatizzerà questa modalità: “Bravo che chiedi la gomma. Eccoti la gomma”… Promettimi che non la mordi.”
Servirà poi offrire alternative: “Adesso vai alla lavagna ma non prendere la gomma dall’astuccio di Marco”, come anticipazione del comportamento corretto. “Bravo che non hai preso la gomma”.
E infine verificare se il comportamento problema si è estinto offrendogli opportunità di dimostrarlo senza più rinforzi.

Una azione negata va giustificata e subito sostituita con un’altra azione o con una proposta alternativa, altrettanto funzionale ma adeguata, giustificata, guidata, magari facilitata all’inizio, premiata.
Va sempre spiegato il perché non si fa l’azione negata.
Lo si può fare verbalmente oppure disegnando delle vignette che spieghino visivamente quanto va fatto piuttosto che quanto non va fatto, oppure in alternativa vanno spiegati gli effetti di queste due contrapposte scelte, sia sul bambino, sia su chi gli sta attorno.
(es. Non gridare perché tutti scappano mentre quando chiedi quello che vuoi tutti tornano
felici e sorridenti a consegnartelo
).

In certe situazioni la negazione può trovare accoglienza se la sua formulazione viene opportunamente anticipata con una spiegazione,
(es. non ci fermiamo perché il negozio oggi è chiuso).

Quando si deve far fronte a comportamenti “inaccettabili” vale sempre la regola dell’analisi attenta del fenomeno nel suo complesso, di ciò che lo precede e di ciò che lo segue; le vie di soluzione passano dall’estinzione, dalla sostituzione con alternative opportune, dall’anticipazione, dalla proposta di modalità corretta, dal contratto.
Questo significa che un comportamento problema non deve ottenere mai una attenzione “palese – emotiva” che lo riempia di valori, effetti, efficacia quel comportamento, involontariamente “rinforzandolo”.
L’attenzione ci deve essere per proteggere l’alunno ma “mascherata” da indifferenza.
(es. Il bambino in macchina batte la testa contro il finestrino, magari in seguito a urti occasionali a causa del movimento della macchina che in qualche maniera gli sono piaciuti, oppure perché vorrebbe il finestrino aperto, ecco che sarà opportune mostrare indifferenza per proporre pochi istanti dopo la conclusione dell’azione, con la massima calma e chiarezza si chiede alla bambina di sedersi bene e di allacciare la cintura.: “… brava che ti sei seduta bene al tuo posto. Se vuoi aprire il finestrino devi solo chiedere: Posso aprire il vetro? Non serve battere la testa”. Se la bambina non riesce a chiederlo gli si dà l’ordine: “Apri il finestrino” Poi gli si chiede di chiuderlo. Dopo averla gratificato per il comportamento corretto, un adulto si siede dietro con lei e la aiuta a formulare la richiesta di aprire il finestrino in varie occasione mettendola però contemporaneamente in sicurezza esecutiva).

Se la situazione vi sfugge o vi preoccupa, chiamate un esperto, oppure inviategli un video di quanto accade, prima, durante e soprattutto dopo.

COSA SI CHIEDE AL BAMBINO.

QUALSIASI COMPETENZA E’ ACQUISIBILE DA UN BAMBINO CON AUTISMO.
MEGLIO SE E’ UNA ABILITA’ o UNA COMPETENZA SPENDIBILE, FUNZIONALE, UTILE A MIGLIORARE LA PROPRIA INTEGRAZIONE PIUTTOSTO CHE DI RARA UTILIZZAZIONE.
CERTAMENTE CI VUOLE TEMPO E IMPEGNO MA TUTTO PUO’ ESSERE INSEGNATO.

“SE UN BAMBINO FALLISCE, NON E’ SBAGLIATO IL BAMBINO, MA LA RICHIESTA CHE GLI E’ STATA FATTA OPPURE SIETE SBAGLIATI VOI”.

SE C’E’ INSUCCESSO OCCORRE SEMPLIFICARE, SCOMPORRE MODIFICARE LA RICHIESTA PER RENDERLA ACCESSIBILE. RENDERE ESEGUIBILE UN COMPITO CONSENTE AL BAMBINO DI DIVERTIRSI E DI OTTENERE GRATIFICAZIONE DA CHI GLI E’ ATTORNO E DALLE COSE CHE FA.
RENDERE ESEGUIBILE NON SIGNIFICA TRASFORMARE LA VITA IN QUALCOSA DI STUPIDO, MA CONSENTIRE AL BAMBINO DI NON DIVENTARE UNO STUPIDO.

SE IL BAMBINO HA SUCCESSO OCCORRE ANDARE OLTRE:

1) con ALLENAMENTO,
2) ACCELERAZIONE,
3) GENERALIZZAZIONE
4) IMPLEMENTARE

NB. In molte situazioni accade che se un compito è svolto molto bene dal bambino, che risulta interessato e tranquillo per un discreto intervallo di tempo, l’identico compito (es. un puzzle) viene proposto di routine al bambino, e persino di continuo. Uno dei problemi di cui soffrono questi bambini è la ritualizzazione e la adesività, modalità che consentono loro di gestire apparentemente meglio quanto accade nel mondo altrimenti caotico e difficile che ruota attorno a loro, ma che li lega ad una routine devastante. La propensione al ripetersi e al permanere eccessivamente su una stessa attività, non li trasforma in geni e non va spronata in esclusiva, né tollerata ma invece usata come strumento per far lavorare meglio il bambino
(es. ti lascio fare il puzzle che ti piace tanto, un minuto, poi lo sospendiamo, lasciandolo lì in bella vista, per disegnare o per dire la filastrocca… e dopo tutte queste attività, lo riprendiamo per altri due minuti).

La flessibilità e l’armonia nelle competenze (e non l’eccesso) è un obiettivo importantissimo nella soluzione dell’autismo.
Possiamo usare il SE-POI, cioè se farai questo (attività desiderata dall’insegnante), poi potrai fare quest’altro (attività desiderata dal bambino).

La semplificazione degli insegnamenti non può significare lentezza. La lentezza nelle proposte esaspera anche i soggetti con disabilità, produce noia, aggrava il ritardo possibile. È importante mantenere tempi tecnici di esecuzione di un compito più vicini possibile alla normalità, accelerando progressivamente le modalità esecutive. L’allenamento aiuta l’apprendimento. La generalizzazione quando una competenza è realmente appresa non ha bisogno di esercizi specifici per manifestarsi anzi direi che è la dimostrazione stessa dell’apprendimento e della consapevolezza di quella competenza. Implementare significa progredire, lentamente ma progredire. Persino rischiare qualcosa in più, qualche piccolo fallimento, piuttosto che divenire eccessivamente stazionari.

PREREQUISITI

Il prerequisito di ogni richiesta al bambino, da parte delle insegnati o dei compagni, deve essere la sua ATTENZIONE che inizia con lo “sguardo reciproco”, anche se per pochi secondi (occhi negli occhi, mantenendo una corretta distanza). Durante o dopo lo sguardo reciproco (attentività ottenuta), si fanno le richieste. Le richieste possono essere verbali, oppure verbali associate ad immagini.


VERBALIZZAZIONE

Qualsiasi azione o richiesta va accompagnata o formulata “verbalmente” (es. “Guardami(da eliminare presto)… Consegna i quaderni alle tue compagne”) mostrando chiaramente, se necessario oppure solo inizialmente, il compito da eseguire. Utilizzare ulteriori supporti alla richiesta verbale, quali l’indicazione con l’indice, con lo sguardo, con la direzione della testa, con l’uso di un’immagine fotografica di quanto richiesto – è di aiuto ma questo va progressivamente ridotto. La richiesta deve essere formulata in modo chiaro, semplice, diretto, contestuale, senza ambiguità o doppi sensi, con modalità e velocità di voce normali e moderate. Nello stesso modo oltre ai suggerimenti si possono utilizzare rinforzi (“bravo”…; “campione”…; ecc.; quelli che si usano anche per i coetanei) e premi (specialmente gettoni di ricompensa per acquisire il diritto a una merendina, che potrebbe poi coincidere con quella che viene data a giusto orario, e a tutti). Anche nei soggenti non-verbali la vita richiederà costantemente “comprensione del linguaggio verbale degli altri” ed è per questo che verbalizzare ciò che si sta proponendo ha un peso abilitativo elevatissimo. Questo inoltre serve ad abituare il bambino ad essere “attento” a ciò che gli si propone, alle richieste, o a ciò che succede attorno a lui e che l’attenzione premia.

NB. In senso più generale non si premia l’azione effettuata ma l’attentività e un altro importante obiettivo è prolungarne i tempi di questa, progressivamente. Abituare il bambino a mantenersi attento significa consentirgli di partecipare, osservare e apprendere qualsiasi competenza sino alla migliore normalizzazione possibile.

Ogni richiesta spontanea fatta dal bambino, se formulata in forma verbale corretta, intelleggibile, va prontamente esaudita anche se esula dalla situazione in cui ci si trova o su cui ci si applica (es. sta disegnando e chiede di andare in bagno. Si interrompe e lo si porta subito in bagno). Questo per consentire a lui la comprensione dell’utilità del linguaggio verbale.
Qualsiasi richiesta fatta, se scarsamente o solo parzialmente verbalizzata, oppure addirittura non verbale, seppur comprensibile, va sempre trasformata in richiesta verbale intelleggibile; va espressa dall’operatore con voce chiara e in modo semplice; va suggerita; va richiesta in imitazione e solo poi eseguita.
Meglio rinforzare il linguaggio verbale con il linguaggio del corpo, dei segni, delle convenzioni, (es. rispondo sì, muovendo la testa; chiedo “perché?” usando il segno con la mano; ecc.). Secondo gli esperti oltre l’80% del linguaggio tra gli uomini non è verbale e pertanto questa dimensione della comunicazione va attentamente insegnata ai bambini, persino quelli autistici.

Ogni apparente distrazione, per seguire un accadimento attorno a lui (attenzione ad un fenomeno inatteso), con interruzione delle attività in essere, (es. passaggio di un aereo nel cielo; il girarsi al richiamo di un amico, ecc.) dovrà essere gratificata per far comprendere al bambino che l’attenzione va prestata anche al mondo attorno, anche contemporaneamente a ciò che si sta facendo.

La capacità di formulare parole corrispondenti ad immagini (esercizi iniziali) potrà successivamente divenire breve descrizione di ciò che è attorno. Le ecolalie non vanno utilizzate (estinzione) ma trattate come stereotipie, (es. Se un bambino formula continuamente la stessa domanda non è affatto interessato alla sua risposta ed inoltre perde il significato del chiedere e del ricevere una risposta).
Formulare VERBALMENTE descrizioni di ciò che si sta vedendo o facendo, oppure che si sta per fare; ovvero dare risposte a ciò che viene chiesto è l’avvio ad una comunicazione verbale completa.
Se la verbalizzazione dell’azione è troppo tardiva, si procede ugualmente all’azione, sfruttando la sua esecuzione come momento per riformulare, facilitandolo, la richiesta o la descrizione nel modo verbale e gestuale dovuto.
Successivamente, quando le richieste e la comprensione del linguaggio saranno raggiunte, e ci si rivolge al bambino per esaudire una sua richiesta, si potrebbero introdurre due opzioni-risposta affinchè lui scelga, facendo attenzione a porre la richiesta meno allettante per ultima: “vuoi una caramella o un mestolo?” (l’elemento disturbatore all’inizio d’essere completamente inaccettabile, estraneo alla proposta).
Il bambino ‘non molto attento’ seppur in grado di comprendere il linguaggio tende a recuperare e ripetere l’ultima parte dell’offerta ma il disappunto di non ottenere quanto realmente desiderato aumenterà la sua attenzione alla successiva formulazione della richiesta. Quindi non gli si offre solo la possibilità di effettuare una scelta autonoma ma lo si abitua ad elevare, ad un livello attentivo più adeguato, la verbalizzazione.

Qualsiasi richiesta fatta al bambino con disabilità, dovrà essere formulata dapprima verbalmente e se possibile associata con il linguaggio del corpo (es. “Ci sediamo per la lezione” e se intendo con ciò fermarmi in una stanza, mi debbo sedere); poi con suggerimenti fisici (es. indicare con lo sgardo; avvicinargli l’oggetto in questione), aiuti che saranno progressivamente eliminati.
Usate premi meno intrusivi possible (es. No ad alimenti; caramelle…) e diluite in molti gettoni-ricompensa le azioni per ottenere un premio.

MA COMUNQUE se il bambino, al terzo tentativo, non esegue quanto gli si richiede, LO SI FACILITA E SI COMPLETA SEMPRE L’ESECUZIONE DI QUANTO RICHIESTO. Questo per far comprendere il legame fra richiesta verbale e azione e per impedirgli la frustrazione nell’esecuzione fallita di un compito (cosa diversa dalla frustrazione prodotta dal corretto rifiuto di un capriccio… Frustrazione quest’ultima che non gli fa male e che sarà poi prontamente diluita con una nuova proposta).
Nella verbalizzazione per semplificare un concetto evitate esempi, metafore e allegorie. Potreste creare molta confusione. Anche frasi interrogative generiche: “Hai capito?”, ”Sei pronto?”, “Andiamo?” vanno sostituite con interrogazioni che facciano pensare: “Hai capito cosa facciamo ora o non hai capito?”, ”Sei pronto per andare a fare una passeggiata o ti aspetto?”, “Andiamo in chiesa o restiamo qui nel giardino?” Ricordate che anche altre frasi astratte o di rito sono da evitare perchè incomprensibili se non contestualizzate (es. Cosa provi?; Cos’è l’amore?; ecc.).


ADEGUATEZZA E COMPORTAMENTI PROBLEMA

Favorire qualsiasi partecipazione o relazione con altri purchè “adeguata”, “consona” alla situazione.

Favorire l’attenzione a ciò che fanno gli altri bambini.

Es.:
coinvolgerlo con frasi del tipo:

A) “Guarda che stanno facendo. Facciamo anche noi il girotondo?”
“Chiedi che si fermino!”. Chiedi: “Fermatevi, voglio giocare!”.

“Chiedi ora a Francesca e Michela che ti diano la mano”- ”Ok “Giro, giro tondo…”
D) Guarda cosa fa Giorgia, aiutala a raccogliere le foglie”.
E) “Guarda cosa scrive alla lavagna Michele” e, se particolarmente semplice e concreto quanto scritto, “scriviamo anche noi quello che ha scritto Michele”; oppure “disegnamo quello che ha scritto: es. APE,” ecc.)

Guidare verso comportamenti corretti, adeguati, circostanziati, convenzionali usando una immersione nel contesto gradualissima, attenta ad aumentare l’esperienza conformemente alla accettazione in adeguatezza di questa.

NB. Ricordare che il comportamento adeguato va richiesto e preteso non solo dal bambino con disabilità ma anche da chi sta attorno a lui, adulto o coetaneo che sia. Da comportamenti inadeguati di un coetaneo, o di un adulto (anche se in generale non appaiono così gravi perché noi siamo abituati a pensare come normodotati, capaci di una valutazione di merito retrospettiva) possono originare “per imitazione” o per lo stimolo sensoriale che li ha accompagnati, comportamenti problema, o comportamenti inadeguati che, una volta appresi, sono poi di difficile rimozione.
Un bambino con autismo che ti dà uno schiaffo è un bambino che lo ha ricevuto.

IMITAZIONE

Promuovete l’imitazione dei coetanei ogni volta che è possibile:

La possibilità-capacità di imitazione è una caratteristica innata e sempre presente nella condizione autistica per cui il binomio ATTENZIONEIMITAZIONE apre percorsi abilitativi immensi.
Usate come modello i suoi coetanei sia per ottenere comportamenti adeguati, sia per insegnare.

Dall’ingresso all’uscita della scuola potete creare una gara organizzata di esempi pratici.
L’imitazione è uno strumento meraviglioso. Qualsiasi cosa gli volete insegnare affiancategli due sue amichette, una per parte, e fategli vedere come gli altri fanno quella cosa.
Es.: – Siediti come è seduta Simona.
– Disegnate questa cosa sul foglio come disegna…
– Alzate tutti la mano quando volete rispondere alle mie domande.
– Jacopo alza la mano, come gli altri, prima di dirmelo.

Correggetelo gentilmente ma puntualmente se infrange regole per le quali i suoi pari risultano corretti evidenziando il loro comportamento.
Promuovete l’apprendimento del nome degli altri alunni e la competenza nel chiamarli per interagire in attività e relazione con i suoi pari.

Es.: – Saluta i tuoi amici. Ciao…
Consegna a Maria il quaderno… e dille che il voto del compito è…

Richiedete che dialoghino fra loro a turno. Predisponente compiti in cui siano descritti dialoghi. Insegnante che le domande corrispondono a risposte. Selezionate per lui quelle più semplici, quelle più concrete, e ponetegliele o fategliele porre, facendo rispettare i turni.

Come ti chiami?
Come stai?
Che classe fai?
Dove abiti?
Hai visto che tempo fa oggi?
Che bella maglietta hai! Di che colore è?
Mi piacciono i tuoi pennarelli nuovi. Me ne dai uno?
Daresti a Marisa quello verde.

Aiutatelo a chiedere sempre quello di cui ha o avrebbe bisogno.

Es: Ora la maestra darà ad ogni bambino uno strumento musicale.
Cosa si farà con questo strumento? Guarda cosa fa Amelia.
Si siede, mette lo strumento sul tavolino e aspetta il segnale della mestra.
Aiutatelo a dire:- Starò seduto e suonerò al segnale.-

Poi premiatelo: Bravissimo: la maestra ti dirà quando devi suonare.

Lavorate sull’espansione delle formalità di relazione insegnado i “saluti”, il sorridersi, lo sguardo reciproco nel dialogo, il modo di parlarsi, di mostrare gli oggetti, i compiti, facendo apprendere cosa dire quando ci si incontra, quando si va a passeggio, quando si va a fare la spesa, quando si fa un compito, quando si risponde alla mestra, come si dice quando non si capisce o si vorrebbe risentire quanto è stato richiesto.
Incoraggiate la conversazione tra loro insegnando a chiedere a un altro bambino di sedersi accanto a lui per la colazione o nella pausa gioco. Aiutatelo mentre conversa con gli altri bambini: ha bisogno di suggerimenti nell’interazione con i pari. Coinvolgete gli altri bambini e complimentatevi con loro per un buon lavoro come vi complimentate con lui. Se si presenta l’occasione in cui sia naturale che un pari lo corregga, incoraggiare il pari a farlo in modo chiaro, pacato e adeguato.
Es. Invece di dire “non spingere” dite “Bambini dovete toccarvi più piano”. Invece di “Non urlare,” direte “Parlate più piano”e fatene un esempio. Es. Se bighellona fuori dalla fila, dite: “Anita dì a Jacopo di sbrigarsi e prendilo per mano”.
Premiatelo sempre quando spontaneamente fa richieste o avvia lui per primo con qualcuno una conversazione durante un gioco o negli apprendimenti e lavorate per espanderla. Premiatelo quando lui nomina spontaneamente classificandoli gli oggetti che vede e riconosce. Espandete la competenza con descrizioni semplici di funzioni e caratteristiche secondarie.


TRANQUILLITA’, PACATEZZA, TOLLERANZA
e poi ricordate.

Se qualcosa non va o vi complica la vita… procedere con calma e ricominciare.

CHI CONTROLLA CHI?

Ricordare che il controllo della situazione, del progetto, degli obiettivi lo avete VOI e non il bambino. Serve autorevolezza in serenità. L’autorevolezza sta nell’assumervi la responsabilità di essere guida e nella chiarezza e nel valore di ciò che proponete. Lo scopo non è il controllo del bambino, il contenerlo, il far passare il tempo ma bensì: consentire al bambino ad esperienze utili, significative e produttive.

COSA RICHIEDERE AGLI ALTRI BAMBINI DURANTE LE ORE DI SCUOLA RISPETTO AL BAMBINO CON DISABILITA’:

Adeguatezza.

Fare attenzione a non urtarlo, non abbracciarlo, tironarlo, sbatterlo, spingerlo, evitare di urlare, ecc. ma essere “modelli di adeguatezza”, adoperando modalità comportamentali corrette, al fine di insegnare al bambino con difficoltà cognitivo-comportamentali come ci si guarda, ci si presenta, ci si parla; come ci si saluta, come si progetta assieme un compito, come lo si esegue, ecc.
Quindi informate la classe che mantenere un comportamento adeguato è un bene.
Che essere indifferenti a capricci, stereotipie o comportamenti impropri è un bene per il bambino con autismo; mentre è un bene dirgli bravo quando si comporta bene.

Spiegate prima, al bambino certificato, cosa succederà e come dovrà comportarsi (anticipare) e se inadeguato aiutatelo con vignette, con gli esempi dal vivo messi in opera dai coetanei e loro imitazione; con la riduzione esplicita del numero di gettoni premio guadagnati; con l’indifferenza assoluta rispetto a quanto non va bene. Abbiamo visto già come i comportamenti problema non vanno mai trasformati in momenti di comunicazione attiva, transitiva, oppure rinforzati con risposte che (anche se inavvertitamente) forniscono quanto desiderato dal bambino.
(es. Se ill bambino grida e subito si corre da lui, o ci si gira tutti verso di lui; se la classe ride rumorosamente ad un suo comportamento improprio… lui trasformerà tale risposta al suo comportamento in una possibilità interessante di attirare l’attenzione divertita degli altri su di sé, in un piacere, e memorizzerà quel modo per ottenere).
Sappiate inoltre che molti comportamenti problema vengono eliminati semplicemente “appesantendoli”: per esempio, una ecolalia (es. due coniglietti; due coniglietti…) si interrompe introducendo quesiti sulla stessa: “Come fanno i coniglietti a scappare dal lupo? Mostrami come corrono i coniglietti? Di che colore sono i coniglietti?Disegnamo due coniglietti”
o “introducendo un controllo dall’esterno” specie in stereotipie o comportamenti che terminano con un rinforzo (anche inconsapevole) per poi essere ripetute (Es. Il bambino appena fuori dalla classe corre a toccare tutti gli estintori della scuola, sino a che viene catturato o riceve l’ordine di non farlo. Poi ricomincia. Sarà bene non catturarlo, nè redarguirlo ma introdurre ordini attinenti. Ora esci e tocchi tre volte il secondo estintore mentre non tocchi il primo. Sei pronto, vai… Ora che l’hai fatto vieni qui e vestiti. Domani cambieremo la richiesta e ti lascerò toccare gli estintori in un altro modo (anticipazione e introduzione di scostamento temporale), ecc. Fino all’estinzione del comportamento.
Giochi vocali particolari con l’uso di una stessa parola accentuata impropriamente in una sua parte, tanto da farla sembrare un urletto, va riproposta in modo corretto… (es. “prin…” diverrà “Dì bene: principe”).
Giochi motori tipo stereotipie possono essere appesanti così da trovare soluzione.
(es. se il bambino con disabilità si sfrega la testa o ha altre attività motorie inopportune, ecco che gli si proporrà uno schema motorio più complesso da eseguire: fai questo, fai così ecc. secondo una attività motoria grossolana, di una certa durata, ma preparata prima, così da essere competenti, veloci ed efficaci quando ci sarà da proporla. Esistono attività utili anche agli altri bambini e che si possono eseguire assieme: mimare una poesia significativa).
Queste strategie possono irritare ma tale effetto significa anche che il bambino è agganciabile e comprende benissimo la richiesta che lo impegna diversamente.

Ogni comportamento problema va interrotto prontamente quanto adeguatamente.

Premiatelo quando è opportuno ed adeguato e siate indifferenti quando non lo è.
(Es. appena sta seduto bene e in silenzio durante la lezione della maestra. Di nuovo dopo un po’ di tempo).
Incoraggiatelo con complimenti quando si comporta adeguatamente

Quando il bambino realizza con successo qualcosa, andatene fieri e compiacetevi per un lavoro ben fatto da entrambi. Poi il giorno successivo, datevi un altro obiettivo, dimenticandovi del precedente successo. Compiacersi va bene ma si può ottenere di più.

L’importante è non pensare che solo cose banali e di modesta rilevanza possano essere proposte perché così si anticipa e si amplifica la realizzazione del divario tra questi bambini e i coetanei.Siate sempre presenti ma cercate di renderlo autonomo.

Fare bene non è così complesso come si è soliti pensare, né richiede un’enorme bagaglio formativo ma piuttosto un attrezzatura mentale “pronta” e una speciale attenzione nell’analisi di quanto succede e di come stanno andando le cose. Attenti anche alle soluzioni pratiche, alle piccole strategie da adottare, un particolare riguardo ai principi secondo cui ci si deve muovere.
Siate disponibili al confronto con gli altri operatori, con i genitori, senza paura di giudizi o critiche perché il lavoro da fare è molto e nessuno sa fare tutto da subito o da solo.

Quello che invece non si dovrebbe dimenticare ma che non viene mai detto, è che ogni volta che non ci si impegna, che si lascia andare… si è perduta un’occasione, un’opportunità di aiutare un bambino, domani un uomo, ad esistere oggi tra i bambini e domani tra gli uomini.

COSE DA NON FARE

Non permettete a voi stessi, come genitori, operatori, insegnanti di ruolo e di sostegno di rimane intrappolati nella routine della classe: i vostri obiettivi sono un po’ diversi da quelli degli altri docenti: le competenze e l’integrazione come occasione di normalizzazione con e attraverso coetanei.
Non permettetevi di utilizzare le stesse cose, gli stessi materiali, sempre nello stesso ordine, ogni giorno.
State attenti ad eliminare la rigidità degli alumni con disabilità e lavorate perché accettino meglio i cambiamenti.
Non permettete loro di utilizzare comportamenti inappropriati per attirare la vostra attenzione ma ricordate che per loro è naturale utilizzarli e non sono pienamente consapevoli della loro rilevanza o dei loro effetti. Gli effetti dei comportamento problema li costruite voi.
Non consentite anarchia, né confusione.
Completate sempre i compiti prefissati, magari riducendo i tempi di lavoro e preoccupatevi che si concludano o si sospendano nel massimo del successo.
Fate preparare e riordinare secondo modalità normali.
Coinvolgete altri bambini nelle stesse competenze.

Non permettete il permanere in solitudine, anche se quel particolare bambino sembra volerlo. Attivatevi per ottenere interazione: non imparerà mai a giocare, a studiare o a condividere qualcosa con gli altri se li evita e se non glielo insegnate.

Non costruite handicap sull’handicap.
Non cercate di evitare alcune situazioni solo perché ritenete che siano difficili per lui. Adattatele a lui.
Lavorate proprio sulle sue difficoltà, sfruttando la negatività per costruire positività, incoraggiando le sue capacità.
Non confondete la calma con la lentezza o la noia. Lavorate e insegnate a velocità normale. Non proteggetelo troppo. Costruite il suo diventare indipendente.

CONTINUITA’
E’ un obiettivo, non una certezza. Impegniamoci affinchè diventi un’opportunità.

Non dimenticate il confronto con i genitori.
Trasferite con coraggio un ottimo lavoro in un ambiente in cui magari non si fa altrettanto. Trasferite alle strutture, che non lo sanno ancora fare le corrette modalità apprese per effettuare e continuare un ottimo lavoro.
Comunque vadano le cose il confronto continuo è bene: il bambino ci guadagna.
FASE I
INTERAZIONE – ADEGUATEZZA

1) Aiutate anche fisicamente il bambino a partecipare a tutte le attività
Concentrate l’attenzione nel fargli imparare le prime regole essenziali
(mettersi in fila, stare seduto; stare in silenzio).
Non aiutatelo più… quando è capace.

2) Aiutate il bambino nell’apprendimento in parallelo e in gruppo.
Aiutate il bambino ad espandere la durata della attenzione e della relazione
Aiutate il bambino ad agire con gli altri bambini

3) Insistete sul “sapersi comportare” durante la lezione
Aiutatelo ad usare correttemente i materiali di lezione
Aiutatelo ad usare correttamente i quaderni e i libri
Aiutatelo a seguire la lezione alla lavagna.

4) Premiatelo molto per i comportamenti appropriati

La lezione della maestra, quando tutti devono stare attenti, è un momento molto difficile per i nostri bambini.
Inizialmente pretendete che il bambino sieda composto e in silenzio per pochissimo tempo. Prefiggetevi un obiettivo alla sua portata. Rinforzate moltissimo se raggiunge questo obiettivo poi lasciatelo distrarsi e uscite ma scegliete voi il tempo di uscita anticipando la scelta del bambino possibilmente. Assegnate compiti motori al bambino (Es. Consegnare quaderni fogli matite; cancellare la lavagna) frapponendo queste attività allo stare seduto.
Il giorno successivo pretendete l’attenzione alla lezione per più tempo (un minuto; due minuti) da cui voi estrarrete (con una strategia comune e condivisa con la mestra) un elemento chiaro per disegnarlo, continuando questa procedura finchè il bambino è capace di sedersi appropriatamente per tutto il tempo deciso (purché sia a lui utile) e di seguire parte della lezione.
Se i capricci disturbano la classe, appena questi si sono interrotti, potete tranquillamente allontanarvi con il bambino dalla classe (dovrete sembrare voi a decidere e non il comportamento del bambino ad avere specifiche conseguenze), ma solo per PROPORRE UN RIPOSO, che va insegnato, oppure un ALTRO LAVORO (magari più facile per lui); e subito dopo, in altra sede, qualcosa di più complicato; meglio se con un compagno presente, che funga da modello… ma mai “premiare” il suo comportamento negativo, rinforzandolo, con il disimpegno, o tollerando un comportamento inadeguato o solitario. Dovrete anche prevedere intervalli di riposo e insegnare ad attendere strutturando la situazione e usando specifiche posture.

FASE II
VERBALIZZAZIONE
1) Promuovete sempre l’uso del linguaggio verbale (e non)
Lavorate con il piccolo gruppo sui dialoghi formali e con la maestra e i compagni organizzate una brevissima lezione “finale” con domande e attività specifiche per il bambino con autismo, a cui partecipino in modo corale tutti, ma in cui il protagonista sia lui. Richiedete il contatto oculare quando parla o gli viene rivolta la parola, un saluto o una richiesta.
Aiutatelo a rispondere correttamente alla maestra e agli altri bambini.
A questo momento finale fate precedere e seguire un tempo breve di normali prestazioni molto adeguate al programma degli alunni. Insegnategli il modo in cui può chiedere agli altri qualcosa o direttamente alla maestra (alzare la mano).

2) Prefiggetevi il raggiungimento di comportamenti appropriati nella classe. Organizzate per seguire il lavoro del gruppo e in gruppo. Fate in modo che partecipi a progetti, competenze strutturate e libere. Insegnategli come essi si riordina la cartella, il banco, la classe.

3) Aiutate l’interazione.
L’insegnante di sostegno deve diventare l’amica degli altri bambini.
Gli altri bambini di conseguenza vorranno stare vicino a lei e quindi intorno al bambino in difficoltà. Il premio per un successo scolastico dei bambini normodotati potrebbe essere quello di poter stare con il bambino certificato, divenendo protagonisti di una esperienza comune. L’insegnante deve aiutare continuamente il bambino a partecipare, ascoltare e parlare con gli altri bambini in modo appropriato.

FASE III
Perseguire: ADEGUATEZZA, PRECISIONE, COMPETENZA E DURATA.

Nei casi più evoluti:

1) Prefiggetevi piu indipendenza durante le attività. Richiedete al bambino di guardare il tabellone calendario delle attività e di seguire la lezione, limitando i coetanei, per sapere cosa succederà o si farà dopo (non ditegli cosa deve fare). Richiedete al bambino più verbalizzazione e iniziate a pretendere che entri nei discorsi, dapprima con semplici parole chiave, inerenti e facilitate nella formulazione e poi spontanee, alzando la mano per partecipare alle discussioni di classe. Assicuratevi che il bambino canti tutte le canzoni, reciti le poesie, anche a turno, ecc. insieme alla classe.

2) Aumentate la frequenza dell’interazione spontanea con gli altri bambini. Incoraggiatelo a fare domande e a rispondere alle domande degli altri sempre piu elaborate. Pretendete che attiri l’attenzione degli altri prima di parlargli toccandoli o chiamandoli per nome. Incoraggiatelo a condividere. Promuovete speciali amicizie anche fuori orario scolastico con i compagni di classe. L’insegnante utilizzi il bambino come suo speciale aiutante in modo che gli altri lo ammirino per le sue qualità.

Riassunto delle regole generali

1. Discutere, Preparare, Condividere e Seguire un Progetto
-Strutturare l’ambiente
-Strutturare gli avvenimenti, modalità e tempi e i singoli esercizi
-Informare su ruoli e attività, le altre persone o bambini coinvolti
-Proporre con gradualità e strategie
2. Tranquillità, Disponibilità, Comprensione, Calma e Buon umore,
Lasciare i problemi a casa
3. Preparare e Predisporre gli strumenti; eventualmente coinvolgere il bambino nella preparazione e nel riordino
4. Non consentire tempi morti ma piuttosto strutturare le attese in maniera adeguata alla tolleranza del bambino, insegnando ad attendere, o a rispettare il proprio turno
5. Anticipare ciò che succederà e quanto si richiede
6. Cercare e ottenere lo Sguardo e l’attenzione; prolungare lo sguardo reciproco a 3 – 5 secondi
7. Perseguire: Adeguatezza, Precisione, Competenza, Durata e Coinvolgimento (motivazione)
8. Richiedere cose secondo obiettivi pre-definiti. Non produrre richieste esorbitanti le capacità e se irrosolte occorre semplificare
9. Formulare le richieste in maniera chiara, semplice, pacata, a tono di voce moderato. Verbalizzare sempre in modo da far comprendere ciò che si richiede e si compie
10. Pretendere, invogliare, attendere la risposta o l’esecuzione della consegna per tempi adeguati e poi completare
11. Individuare, visualizzare, definire inizio e fine degli esercizi da compiere
12. Facilitare i compiti. Avviarli e lasciarli compiere nella maggiore autonomia possibile
13. Introdurre nel rapporto uno a uno, il ruolo del compagno, sfruttando l’imitazione, la turnazione, lo scambio. Introdurre progressivamente il rapporto con il gruppo.
14. Fare in modo che ogni attività divenga un successo, un piacere
16. Ridurre progressivamente suggerimenti o premi
17. Favorire e premiare l’attenzione prestata a ciò che succede nell’ambiente, anche incidentalmente, al di fuori del compito.
Favorire e premiare qualsiasi richiesta (ad eccezione di premi organizzati secondo
gettoni premio) se formulata correttamente anche extra-situazione.
Favorire la spontaneità
19. Non creare esclusione dalle attività o rallentamento nell’esecuzione di richieste
Lateralizzare (favorire l’uso della sola mano destra – o sinistra, se mancino -) nelle
attività di rito
Seguire l’ordine di scrittura (da sinistra a destra; dall’alto al basso) nelle attività
grafiche e di lettura o interpretazione di immagini
22. Strutturare ma non ritualizzare. Proporre le attività della giornata o prodursi in
proposte alternative secondo strategie opportune
23. Premiare sempre i comportamenti corretti. Non considerarli mai ovvi e scontati.
24. EVENTUALI STEREOTIPIE non debbono significare interruzione di un programma
ma andranno trascurate o interrotte adeguatamente (per la loro gestione è opportune
rivolgersi ad esperti).
25. MAI REAGIRE IN MANIERA PUNITIVA AI COMPORTAMENTI PROBLEMA, NE’ MAI RINFORZARLI CON INTERVENTI ECLATANTI, nemmeno inavvertitamente, né renderli comunicazione fruibile o motivo di concessione di richieste (chi controlla chi?). Si agirà secondo le strategie comportamentali dettate dagli esperti
26. Riferire sull’andamento e confrontarsi
27. Essere pronti a ricominciare d’accapo ogni volta lo si renda necessario
28. Ricordare che la flessibilità del bambino va costruita attraverso la flessibilità degli
interventi. Essere coerenti con quanto proposto non significa non poter progettare diversificazione.