Scuola da riformare: Schola reformanda est!

Scuola da riformare: Schola reformanda est!

di Umberto Tenuta

 

Che la scuola sia da rinnovare è fuori discussione[1].

Lo si afferma da un millennio: dalla Riforma alla Controriforma, da Comenio a Rousseau, da Pestalozzi e Froebel a Gabelli e al Movimento delle scuole nuove, da Gentile a Gonella, dei Decreti delegati del 1974 alla Legge 59 del 1996, alle varie riforme del terzo millennio, comprese quelle in corso.

Ma perché e come va rinnovata la scuola?

È questo il problema!

 

Perché va rinnovata?

Con l’affermazione del principio dell’obbligo scolastico si è realizzato il passaggio dalla scuola di èlites alla scuola di tutti e, quindi, non solo al principio della frequenza della scuola da parte di tutti i giovani in età dell’obbligo, ma anche e soprattutto del principio del diritto all’educazione, che è diritto ha alla piena formazione della personalità, diritto al successo  formativo[2].

 

il successo formativo 

Il successo formativo consiste nella integrale e massimale formazione della personalità umana che genitori, scuola ed altre istituzioni educative, la società tutta (Sistema formativo integrato), sono tenute ad assicurare.

Quanto sopra assodato, resta da vedere come questo diritto può essere assicurato.

Al riguardo, non sono mancate e non mancano le proposte c le leggi!

Cerchiamo di riassumere alcune proposte che sono state avanzate, con specifico riferimento alle finalità che la scuola deve perseguire, alle modalità attraverso le quali le finalità possono essere perseguite, agli strumenti (tecnologie) che, più che i docenti, gli studenti possono utilizzare per realizzare la massimale, integrale e personalizzata formazione della loro personalità che è diritto al successo formativo.

 

Finalità 

Il passaggio da una scuola dell’istruzione alla scuola della formazione integrale della personalità comporta che il compito del sistema formativo integrato, del quale la scuola costituisce il centro unificatore, è quello di garantire l’acquisizione dei saperi (sapere), delle capacità (saper fare) e soprattutto degli atteggiamenti (saper essere)[3] da parte di tutti i giovani.

Occorre che la testa sia, non solo ben riempita, ma come affermava Gabelli, soprattutto ben formata, assieme a tutte le altre componenti della persona umana, corpo compreso[4].

Per perseguire e conseguire la formazione integrale della personalità, considerata nei suoi molteplici aspetti, non bastano le lezioni, le spiegazioni dei docenti, seppure supportate dai libri di testo, cartacei e digitali. Occorre, invece, che la scuola si trasformi in ambiente di apprendimento formativo, un ambiente in cui siano riprodotte le situazioni che, come nelle società primitive, garantiscano la formazione integrale della personalità, attraverso le esperienze di vita[5].

Se i saperi non servono più per riempire la testa, anche perché sono soggetti a rapida obsolescenza, ma debbono servire soprattutto perché, attraverso i processi della loro acquisizione, maturino gli atteggiamenti e le capacità che favoriscano la integrale, piena e mai compiuta formazione della personalità dei singoli studenti.

Vogliamo dire che non basta conoscere il cielo e terra, i mari ed i monti, i continenti e le città, i meridiani e i paralleli, perché gli studenti abbiano acquisito le competenze geografiche, le quali comprendono anche e forse soprattutto gli atteggiamenti di apertura alla conoscenza, non solo del paesaggio geografico, ma anche e forse soprattutto degli ambienti di vita sociale, civile, politica, culturale in senso lato.

Ma tali atteggiamenti non bastano, come non bastano le conoscenze geografiche, se non viene conseguita anche la capacità di approfondirle sempre più.

Ancora, non basta che gli studenti apprendano le nozioni matematiche, se essi non acquisiscono anche le capacità di utilizzarle per risolvere problemi, che non sono solo matematici.

E ancora, non basta se gli studenti non hanno maturato anche il senso della bellezza, della poesia[6] della matematica[7].

E, pure, l’apprendimento della matematica deve far maturare altre competenze disciplinari ed interdisciplinari (logiche, linguistiche, storiche…).[8]

Se questi sono gli obiettivi (sapere, saper fare, saper essere) che la scuola (nel contesto del sistema formativo integrato) deve perseguire e conseguire, e se il conseguimento di questi obiettivi deve essere garantito a tutti gli alunni, e non solo ai capaci e meritevoli[9], perché capaci e meritevoli non si nasce, ma si diventa.

Allora la riforma della scuola deve riguardare soprattutto le metodologie che l’apprendimento che, come abbiamo già accennato, non possono essere più quelle dell’insegnare (in-signare)[10] e dell’imprimere nella mente[11], dalla lezione (leggere), della spiegazione (explicatio), ma debbono fare largo spazio alle attività di ricerca/riscoperta/invenzione/costruzione dei concetti, attraverso la soluzione di problemi (problem solving)[12], lavorando assieme (cooperative learning)[13].

La cattedra, i libri di testo anche se i digitali, le lavagne di ardesia o le lavagne interattive multimediali (LIM), i banchi eccetera non bastano più.

Occorrono i tavoli, intorno ai quali possano stare seduti tre/cinque studenti[14] (alla fine degli anni ‘60 il Miur li fornì alle scuole dell’infanzia, con grande sorpresa di non pochi che pensavano ci fosse stato un errore: anziché i banchi, sarebbero stati forniti i tavoli della refezione!).

Abbiamo detto che gli alunni debbono essere impegnati nella soluzione dei problemi (problem solving).

Ma un problema nasce se c’è una domanda che si origina da bisogno, il quale non è sempre di natura materiale, come prevedeva il Decroly, ma può essere anche e soprattutto frutto della mera curiosità [15].

E allora?

<<Agli svogliati date uno scopo>>, grida Don Milani[16].

Il docente arriva, sale sulla pedana, siede dietro la cattedra, fa lezione.

Eh, no! direbbe Papa Francesco!

Il docente arriva, si impegna a conoscere gli alunni, non per valutarli, ma per conoscere i loro livelli di sviluppo e di apprendimento, le loro motivazioni ecc. e in base a questi elementi elabora, per i singoli alunni o per gruppi di alunni, i piani educativi personalizzati (PEP), e non le unità didattiche(UD).

Sulla base dei piani educativi personalizzati  si raggruppano gli alunni.

A questo punto, il docente predispone le tecnologie che gli alunni, e non lui[17], debbono utilizzare per affrontare e risolvere, attraverso il lavoro di gruppo, i problemi spontanei o suscitati di cui i singoli alunni o i gruppi di alunni sono portatori.

Si dirà che le tecnologie mancano!

Mancano sì, come quasi sempre mancano le cose di cui non si avverte il bisogno.

Forse, nelle scuole mancano i libri di testo, i gessetti, le penne, i quaderni……?

Si ha quello di cui si ha bisogno, perché lo si cerca, lo si domanda, lo si pretende!

Certamente, nelle nostre scuole mancano i materiali didattici! Ma non è anche vero che tante biblioteche per il docente e per gli alunni non sono utilizzate da tutti gli alunni?

Forse il problema della lettura nella scuola lo si risolve con i libri di lettura della scuola primaria e con le antologie nella scuola secondaria?

Forse il materiale didattico strutturato della Montessori[18] è molto utilizzato nelle nostre scuole?

E forse nelle nostre scuole abbonda, come facilmente potrebbe abbondare, il museo didattico[19] delle Sorelle Agazzi?

Suvvia, se nel commercio la domanda crea l’offerta −anche se purtroppo è vero pure il contrario−, nella scuola la domanda d9i materiali didattici comuni e strutturati è assente o molto scarsa.

Se mancano le aule, i banchi, i libri di testo, le lavagne, le cattedre, non si fa scuola, si sciopera.

Ma questo non avviene se mancano i materiali didattici!

Quale ingente somma è stata spesa per le LIM e verrà spesa per la digitalizzazione delle scuole!

La prima digitalizzazione è quella burocratica dei registri e degli uffici amministrativi delle scuole.

Non  sono ritenuti  necessari i tablet, i notebook, le audio-videoregistrazioni delle lezioni per tutti gli alunni, e non soltanto per gli alunni con difficoltà di apprendimento.

Evidentemente, prima di spendere enormi somme, come si è fatto con la fornitura delle LIM e dei PC, occorre valutare ciò di cui le scuole hanno veramente bisogno perché possa cambiare e risulti efficace, oltre che efficiente.

E, ancora,  quando le finalità formative delle scuole saranno state ben precisate e quando le metodologie e le tecnologie saranno state assicurate, non è forse necessario che i docenti, anziché impegnati a conoscere come gli strumenti digitali funzionano, occorre che siano impegnati a conoscere quali sono, non solo le finalità, ma anche le modalità e le strumentazioni attraverso le quali possano essere perseguite.

Ma chi aggiorna i docenti, e con essi anche i dirigenti?

Forse coloro che nelle aule non sono mai stati?

O forse coloro che dalle aule sono scappati, magari per stare seduti sulle cattedre universitarie?

E, ancora, forse coloro che conoscono bene le discipline, ma non come esse possano essere fatte apprendere dagli alunni delle diverse età?

Suvvia, prendiamo atto una volta per sempre e rifiutiamoci di accettare che l’aggiornamento dei docenti sia effettuato da enti accreditati, non si sa come.

Ma non si predicano, oggi, i vantaggi del libero mercato?

Che forse il libero mercato vale solo per le automobili e non anche per la formazione e l’aggiornamento degli operatori scolastici tutti, docenti, dirigenti, ispettori?

Ci  sono scuole di avanguardia, nelle quali hanno operato e si sono formati docenti veramente esperti.

Ci sono professionisti che hanno dedicato il loro tempo a vivere quotidianamente i problemi del fare scuola.

Lasciamo alle singole scuole, lasciamo ai direttamente interessati il compito di individuare gli esperti che vadano che nelle scuole, non per tenere conferenze, ma per impegnare i docenti nelle specifiche situazioni didattiche.

Offriamo ai docenti i materiali, anche digitali, per il proprio aggiornamento e lasciamo che siano essi a sceglierli, così come oggi fanno i giovani nella scelta degli strumenti digitali che meglio rispondono alle loro avvertite esigenze.

Quante  bambole, quanti trenini, quanti giochi oggi i genitori acquistano su pressante richiesta dei loro figli!

Perché le case ne sono piene e le scuole offrono uno spettacolo desolante con la loro povertà di materiali per l’apprendimento?

Osserviamo  un’aula scolastica: la cattedra (senza pedana, come segno di modernità anche nelle chiese!), una LIM (magari si ha la fortuna di vederne anche una di ardesia e non di plastica), due o tre file di tavolinetti biposti, le carte geografiche anche nelle classi prime della scuola primaria, i cartelloni dell’alfabetiere, e poi basta!

Si dirà che questa descrizione è estremamente pessimistica.

È vero!

Ma, allo scrivente è si è rivolta una madre inglese, abitante in una delle città più importanti d’Italia, la quale esprimeva tutta la sua grande preoccupazione perché il figlioletto di 7 anni la mattina rimaneva per quattro ore in un’aula dalle pareti grigie sulle quali erano appesi le comuni carte geografiche ed i cartelloni del sistema metrico decimale, mentre mancavano altri materiali. A casa il bambino era abituato a vivere in un ambiente ricco di colori, di oggetti da manipolare…

Ecco perché costituisce un problema di rilevante importanza cambiare le metodologie e le tecnologie educative, facendo ricorso ai modelli offerti dalle sorelle Agazzi e dalla Montessori (assunte come esempi significativi per i materiali didattici comuni e strutturati!).

Prima di finire, vorremmo aggiungere che, assieme alla forzata solitudine degli studenti nei banchi monoposti o biposti (ma con assoluto divieto di comunicare coi compagni!), occorre eliminare la solitudine dei docenti, non utilizzando le risorse professionali di cui ciascuno di essi è sempre portatore.

La metodologia del Team Teaching è molto importante, perché i singoli docenti possono avvalersi delle competenze dei colleghi e sentirsi valorizzati nell’offrire le proprie.

Ogni essere umano ed ogni professionista è portatore di competenze specifiche che può mettere a disposizione dei colleghi.

Come dice il Poeta latino, <<Fai che gli altri accendano la loro fiaccola alla tua. Nulla la tua fiaccola avrà  perduto, ma intorno a te sarà più luce>>. 

Assieme al Cooperative learning ben venga il Team Teaching[20].

E con essi, ben vengano il Problem solving e le tecnologie educative, comprese quelle digitali.

 

Ma, per ora, basta!

(Ci risentiremo! Mi farò ancora vivo!)



[1] In merito  cfr.; Gaudio A., Schola semper reformanda ?, in “Italianieuropei”, 2012, 3, 44-49

[2] <<Ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>>[FAURE E, (a cura di), Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, p. 249].D.P.R. 8.3.1999, n.275−Art.1(Natura e scopi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche) −…2. L’autonomia delle istituzioni scolastiche …si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.

[3]   In merito cfr.: Cresson, E., , Insegnare ad apprendere. Verso la società conoscitiva, Libro bianco su istruzione e formazione, Lussemburgo, Commissione Europea. 1995; TENUTA U., I contenuti essenziali per la formazione di base: homo patiens

[4] AAVV., A scuola con il corpo, Quaderni M.C.E., La Nuova Italia, Firenze 1974;AAVV., A scuola con il corpo, La Nuova Italia, Firenze 1974; AAVV., Il corpo nella dinamica educativa, Emme ed., Milano, 1976; ALBANESE A., PAVAN B., Quale Psicomotricità?, Ed. Il Cerro, Pisa, 1990. BERNARDI E., CANEVARO A., FERIOLI L., Il comportamento psicomotorio a scuola, Il Mulino, Bologna, 1982: BIAGINI A., Educazione Psicomotoria, Nicola Milano, Bologna, 1990: BORGEMINO L., Psicomotricità per apprendere: metodologia nella scuola per l’infanzia, Mandese, Torino,1984: BORGOGNO E.T. , Educazione psicomotoria nella scuola materna e elementare, Omega, Torino, 1988.; BORGOGNO E.T., Educazione psicomotori, Omega, Torino 1983; BRUSA, CONTI, FERRI, TINTO, Percezione e Psicomotricità, O.S. Firenze, 1979: COSTE J.C., La psicomotricità, La Nuova Italia, Firenze 1984: LE BOULCH J., Verso una scienza dei movimento umano. Introduzione alla psicocinetica, Armando, Roma, 1971: VAYER P., DESTROPER J., Il corpo nella dinamica educativa, Emme Edizioni, Milano, 1976; VAYER P., Educazione psicomotoria in età scolare, Armando, Roma, 1974; VAYER P., Educazione psicomotoria nell’età scolastica, Armando, Roma, 1977.

[5] Dewey, J., Scuola e società, trad. it. di Ernesto Codignola e Lamberto Borghi, La Nuova Italia, Firenze, 1993.

[6] <<Un matematico che non abbia un po’ del poeta non può essere un perfetto matematico>> (Karl Wierstrass).

[7] TEMA PER GLI ESAMI DI LICENZA LICEALE DEL 1996<<Matematici e poeti. In un saggio pubblicato a New York nel 1947 si legge: “La matematica è generalmente considerata proprio agli antipodi della poesia eppure la matematica e la poesia sono nella più stretta parentela, perché entrambe sono il frutto dell’immaginazione. La poesia è creazione, finzione: e la matematica è stata detta da un suo ammiratore la più sublime e la più meravigliosa delle finzioni” (D.E. SMITH, La poesia della matematica e altri saggi,).>> …

[8] In merito  cfr.: Insegnare matematica nella scuola del 2000, Gian Luigi Spada, Anna Maria Benini ((da “Progettazione curricolare e didattica delle discipline” , Armando editore, Roma, 2012).

[9] Su questa espressione della Costituzione repubblicana ci soffermeremo in un successivo saggio.

[10] Insegnare, da in − signo, tradurre in segni.

[11] L’insegnante non può imprimere le conoscenze nella mente degli alunni, come pure si prevedeva nei Programmi didattici del 1867 (<<Il maestro si astenga dal dare dimostrazioni che in quella tenera età non sarebbero intese. Si limiti ad imprimer bene nelle menti degli scolari le definizioni e le regole>> (LOMBARDI F.M., I Programmi per la scuola elementare dal 1850 al 1985>, La Scuola, Brescia, 1987, pp. 49-50.

[12] In merito al Problem solving cfr.: MOSCONI G., D’URSO V. (a cura di), La soluzione di problemi. Problem-solving, Giunti- Barbèra, Firenze, 1973; KLEINMUNTZ B.(a cura di), Problem solving Ricerche, metodi, teorie, Armando, Roma, 1976; DUNC-KER K., La psicologia del pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1969; WERTEIMER M., Il pensiero produttivo, Giunti- Barbèra, Firenze, 1965; DORNER D., La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione, Città Nuova, Roma, 1988. Per la problematica dell’ermeneutica, cfr: GENNARI M., Interpretare l’educazione. Pedagogia, semiotica, ermeneutica, La Scuo-la, Brescia, 1992; MALAVASI P., Tra ermeneutica e pedagogia, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

[13] In merito cfr. COMOGLIO M., Educare insegnando. Apprendere ad applicare il Cooperative learning, LAS, Roma, 1986; COMOGLIO M., CARDOSO M.A., Insegnare e apprendere in gruppo. Il cooperative Learning, LAS, Roma, 1996; COMOGLIO M. (a cura di), Il Cooperative learning. Strategie di sperimentazione, Quaderni di animazione e formazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1999; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., Discutendo si impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola, NIS, Roma, 1991; PONTECORVO C. (a cura), La condivisione della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze, 1993; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., (a cura), I contesti sociali dell’apprendimento.Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, 1995.

[14] <<Dovrà essere abolito quasi completamente l’attuale metodo di insegnamento in classe dove l’insegnante pontifica, in posizione di potere centrale, e dovrà essere sostituito con lo studio individuale ed a piccoli gruppi, usando materiale concreto ed istruzioni scritte, con l’insegnante che agisce come guida e consigliere>>(DIENES Z.P., Costruiamo la matematica, ED. O.S., FIRENZE, 1962, p. 27.) .

[15] In merito  cfr.: UMBERTO TENUTA, La motivazione ad apprendere, in www.edscuola.it/dida.html

[16] DON MILANI, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina ,  2007.

[17] <<soprattutto il corag­gio di non dire e questo è il punto più difficile tutto ciò che sa sulle questioni trattate>>[17](DELESSERT A., Alcuni problemi che interessano la formazione degli insegnanti di matematica, in: SITIA C.(a cura di), La didattica della matematica oggi, PITAGORA, BOLOGNA, 1979, p. 367).

[18] MONTESSORI M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 2000.

[19] AGAZZI R., Come intendo il museo didattico, La Scuola, Brescia, 1968

[20] In merito cfr.: BAIR M., WOODWARD R.G., La pratica del team teaching, Loescher, Torino, 1973; SHAPLIN J.T., OLDS H.F., Team teaching. Una nuova organizzazione nel processo educativo, Loescher, Torino, 1973;  TENUTA U., Pluralita’ dei docenti, in www.rivistadidattica.com