La BESbetica indomata

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La BESbetica indomata

di Claudia Fanti

 

Ma ci si rende conto di cosa sia l’inclusione per chi ha fatto del verbo insegnare una specie di religione?

Allora, prima di tutto, inclusione, parola che non mi piace per nulla, è semplicemente attenzione a qualunque persona mi si pari di fronte. Se si tratta di un bambino o di una bambina stranieri, non farò nulla che lo/la allontani dalla classe. La/lo farò interagire sempre e comunque con qualsiasi mezzo, mani, gambe, piedi, parole, giochi con i compagni della classe. Se invece dovesse essere un bambino o una bambina portatore di qualsiasi diversità fisica o psichica, avrò cura di interagire con insegnanti di sostegno e educatori cercando di capire le indicazioni loro, della famiglia e dei medici che li seguono, con modestia e umiltà, perché io sono nessuno in molteplici campi e perfino nel mio sebbene ce la metta tutta per studiare e aggiornarmi, ma Dio non sono!

Mi infastidiscono le ricette, i menù, perché nel momento in cui faccio ingabbiare me e bambine, bambini ritenuti “speciali”, ci irrigidiamo, non sperimentiamo, ci fossilizziamo, prova ne siano i tanti “copia e incolla” di documenti prodotti che girano fra insegnanti per “salvarsi” dalle nuove pretese burocratiche sui BES…

Io so soltanto che maestra sono e loro  bambini sono, tanti/e e profondamente diversi e per la tale evidente ovvietà, devo ascoltare e agire, evitando tutti gli ostacoli che mi pone di fronte l’amministrazione. So che bambini e bambine hanno la precedenza, e che se anche io mi arrabbio o ritengo ingiuste le politiche scolastiche devo andare avanti e al contempo lottare perché ognuno e ognuna abbia un posto a scuola e fuori.

I miei orecchi devono farsi enormi, le mie mani e le mie braccia devono farsi tentacoli, affinché io possa aiutare, affiancare mamme, papà e figli/e insieme.

So che, fra pari, bambine e bambini collaborano, lo sperimentiamo da anni e anni. Si affinano modalità cooperative che inevitabilmente includono, si migliorano e si perfezionano, senza alcun bisogno di marcare le differenze, bensì usandole per far sì che i singoli tutti se ne avvantaggino, a volte perfino senza l’apporto della famiglia, se ciò non è possibile.

Che se ne fa una scuola che io insegnante scriva relazioni e programmazioni differenziate quando non una volta quel bambino sarà quello del giorno prima?! All’amministrazione cosa cambia e a noi insegnanti? Se anche io domani non ci fossi più, chi mi dovesse sostituire, che farà? Andrà a leggere il mio “piano”…forse per un minuto, ma poi entrerà lui/lei in azione di relazione e le carte cambieranno. Gli assi andranno scovati nuovamente, perché insegnamento è relazione e rete di relazioni influenzate da ogni new entry!

Un insegnante oggi più che un tempo deve ricordare e rispondere per Costituzione alla propria coscienza, non a regolette di innumerevoli, contraddittorie circolari e direttive. Non deve escludere nessuno/a, deve farsi piccolo, ancor più piccolo di quanto non sia, e ringraziare mille volte chi ha fiducia e le/gli consegna figli/e. Deve essere debole con i deboli e forte con quei forti che le/gli stanno uccidendo la pedagogia sotto il naso.

Il  naso deve farsi alquanto selettivo per fare in modo che l’unico “verbo” che riconosce sia quello della Costituzione. L’insegnante sa che tutto passa, passano i ministri, i dirigenti, i partiti, le politiche, lo sa con grande esperienza e ha le prove di una vita a sostenerlo/a.

Il vero insegnante non è un buonista, è uno che insieme  con i suoi colleghi/e tenta di avviare ogni piccola persona che incontra a un’istruzione-educazione, la quale esalti quello che è in potenza e ancora non è riuscita a dare e a far emergere.

Il resto è sovrastruttura: programmi, Indicazioni, circolari, riunioni, commissioni, Bes, Invalsi, voti…sovrastruttura, quisquilie e pinzellacchere… se lui/lei, docente, non sa cosa e come fare per agire volta per volta. Tutto il resto è scempiaggine, finzione. Il docente sa che il proprio lavoro ha un’importanza capitale per la vita dei giovani che dovranno lottare al posto suo e quindi non demorde, non abbassa la guardia, si ingegna per superare difficoltà personali, insulti dei media e di famiglie che lo criticano aspramente su quotidiani e media in generale.

La politica in Italia non ha mai aiutato la scuola, sembra ritenerla passabile di attenzione nel momento di indagini valutative, ma prima e dopo in pratica se ne disinteressa, l’insegnante no: si allarma, si informa, si adombra, riprende e va in cerca, ricerca e si spinge oltre, ma non deve cercare la “gloria” minore di un vantaggio, bensì quella di strumenti e studi tramite i quali far volare gli altri. E si badi bene non occorre essere Don Milani, evocato da parti contrapposte e quando fa comodo, per insegnare, perché ogni persona che abbia competenze di pedagogia sa che cosa è necessario alle sue classi composte di tanti singoli profondamente diversi per esistenze e condizioni di partenza. Un Don Milani moderno sa che dovrà combattere con tanti nuovi miti, tante scorciatoie, tanti vuoti che non sono quelli di allora…anzi vi si sono aggiunti.