Insegnare? Se ne parla in gran segreto

Insegnare? Se ne parla in gran segreto

di Claudia Fanti

…Allora cosa può fare un docente che ancora ritiene di dover insegnare, come agisce dentro le contraddizioni? Cerca di puntare tutto sulle proprie competenze e sul proprio autoaggiornamento, e dice a se stesso: resisti, fai di ogni alunno che hai la tua forza, punta su lui/lei, seguilo e lasciati guidare dalla tua storia pedagogica. Non ti arrabbiare, la tua serenità e il tuo equilibrio ti serviranno per accogliere, non ti curare di Invalsi, Bes, registri da compilare, programmazioni virtuali, tecnologia che non funziona. Pensa a far vivere le persone in un contesto di senso, utilizza la valutazione formativa e le discipline per far ragionare, riflettere, rielaborare la vita, le esperienze di ogni ragazzo/a che hai di fronte, non ti avvilire davanti alle loro difficoltà, usale insieme con loro in modo che divengano la materia da cui partire per dar senso alla materia che stai insegnando. Se ti accorgi di Giovanni che dorme, chiedigli il perché, se Luisa urla, fermati e chiedile il perché…Se hai una classe difficile, a maggior ragione usa l’apprendimento cooperativo, usa il tanto vituperato “copiare” come una tecnica affinché i ragazzi e le ragazze si aiutino a vicenda, studia con loro, mettiti a disposizione per fornire materiali e strumenti, commenta con loro, spiega ogni passaggio di testi e problemi se non conoscono lessico specifico e sintassi della disciplina che insegni, non ti scandalizzare del livello di conoscenza dei vocaboli, sai che è basso, allora fallo volare.

 

Sarebbe così semplice fare il ministro della pubblica istruzione, ma lo si rende alquanto complesso vivendo tale status come vittima delle tendenze economiche e giornalistiche di grido. Non c’è ministro che negli ultimi anni non sia stato insieme vittima e carnefice di tendenze, senza scegliere una strada personale da percorrere. Infatti abbiamo assistito impotenti alla scalata di alcuni must: tecnologia, valutazione di sistema, merito, competenze europee, qualità, efficienza.

 

Anche sulla “quantità” ne abbiamo sentite di tutti i colori: da una parte proclami sulla necessità di espandere il tempo scuola fino a notte, dall’altra sulla necessità di ridurre ore della didattica di certe discipline, eliminare tempo pieno e tempo lungo, tagliare un anno del percorso di studi per far uscire gli studenti a 18 anni, tagliare nuove assunzioni, dare meno insegnanti di sostegno, formare mega agglomerati di scuole, eliminare dirigenti. Non si è capito un bel niente di tutta la partita della quantità: un saliscendi di proposte contraddittorie: volere la crescita diminuendo…infatti ormai è difficile orientarsi pedagogicamente, esprimersi…Non è che non si sappia che pesci pigliare, è proprio che i pesci non ci sono.

 

Se penso a una scuola che funziona, come insegnante la immagino ricca di stimoli culturali interni ed esterni all’edificio scolastico, guidata da dirigenti stabili e permanenti nella struttura che conducono; penso a docenti preparati dall’università e disposti alla formazione in servizio; penso a un sano turn over; penso a una collaborazione attiva tra scuola e università, fra scuola e mondo del lavoro; penso a una valorizzazione degli studenti in base alle diverse tipologie di intelligenze, situazioni di partenza; penso a docenti che collaborano e programmano insieme attività, a una suddivisione equa dei carichi di compiti e verifiche in corso d’anno; penso a docenti che si aggiornano vicendevolmente, a un insegnamento che favorisca la cooperazione, il dialogo, l’ascolto quotidiano senza chiusure e censure.

 

Facile? Sembra di no: paradossalmente i ministeri che si sono alternati negli anni sono sembrati sempre più intenzionati a creare barriere e burocrazia, ostacoli e appesantimenti con richieste via via più lontane dal buon senso. Se i docenti chiedono tempo pieno, si procede in direzione opposta; se ribadiscono l’importanza delle compresenze, le si fanno usare per le supplenze al fine di risparmiare; se si chiede semplificazione burocratica, se ne aggiunge altra fornendo strumenti inadeguati come pc e tablet su cui far correre il registro elettronico; se si chiede di ripensare la valutazione, si ottengono un irrigidimento e un’azione mirata a testare le competenze, a verificare, a procedere a colpi di test; se si ritiene di dovere puntare su insegnanti più giovani, si tengono in servizio quelli che ci sono fino a 67, 68 anni…

Se si chiedono risorse sul facile consumo, vengono spesi milioni di euro per lim, pc, tablet che una volta rotti non si sostituiscono; se si chiedono insegnanti di sostegno, la direttiva ci impone i “bes”…

 

A ogni richiesta di snellimento, la macchina si gonfia a dismisura e ora pare esplodere dopo una fase di implosione fatta di commissioni, controcommissioni, gerarchie interne di docenti che si affannano a far funzionare gli ingranaggi dell’organizzazione, non certo l’insegnamento di cui ormai nessuno parla più se non in gran segreto.