Sentenza Consiglio di Stato 18 febbraio 2014, n. 866

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N. 00866/2014REG.PROV.COLL.

N. 09003/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9003 del 2013, proposto da:
Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Federazione Lavoratori della Conoscenza Cgil, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Formilan, Francesco Americo, Vittorio Angiolini e Isetta Barsanti Mauceri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Filippo Aiello in Roma, via Cosseria n. 2;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III BIS n. 08843/2013, resa tra le parti, concernente silenzio-rifiuto sull’obbligo di emanazione dell’ordinanza con la quale sono stabiliti i termini e le modalità per le elezioni e le nomine dei componenti del consiglio superiore della pubblica istruzione;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Federazione Lavoratori della Conoscenza Cgil;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2014 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli e l’avvocato Angiolini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

– Considerato che, anche alla luce delle peculiarità del rito avverso il silenzio-inadempimento, sussistono i presupposti per definire nel merito il giudizio, atteso che il contraddittorio è integro, l’istruttoria è completa e le parti costituite sono state sentite sul punto;

– ritenuto, anzitutto, che:

a) la sentenza appellata, accogliendo il ricorso proposto ai sensi dell’art. 117 Cod. proc. amm. dalla Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL, ha accertato l’inadempimento da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica dell’obbligo di adottare l’ordinanza, prevista dall’art. 2, comma 9, del d.lgs. n. 233 del 1999, per regolare l’elezione e la composizione dei componenti del Consiglio superiore della pubblica istruzione e, per l’effetto, lo ha condannato ad adottarla nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione della sentenza stessa;

b) il Tribunale amministrativo regionale, disattendendo sul punto l’argomento opposto in primo grado dal Ministero a sostegno della legittimità dell’inerzia, ha rilevato che la disciplina dettata dal d.lgs. n. 233 del 1999 , sebbene in ipotesi in contrasto con il nuovo assetto di competenze tra Stato e Regioni sancito dalla normativa costituzionale sopravvenuta contenuta (in seguito alle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 3 del 2001) nel Titolo V della Costituzione, deve, tuttavia, continuare a trovare applicazione, in omaggio al c.d. principio di continuità dell’ordinamento, anche nel rinnovato quadro costituzionale, finché non vengano emanate disposizioni legislative conformi al nuovo riparto di competenze;

c) il Ministero ha proposto appello limitandosi a ribadire la contrarietà della disciplina dettata dal d.lgs. n. 233 del 1999 con il nuovo assetto costituzionale del riparto di competenze tra Stato e Regione, e, quindi, l’impossibilità di adottare, in forza di tale contrarietà, l’ordinanza di cui all’art. 2, comma 9, cit.

d) tale motivo di appello non rispetta il requisito della specificità dei motivi, in quanto non contesta specificamente la ratio decidendi della sentenza appellata: quest’ultima non ha negato la possibile o presunta contrarietà della disciplina legislativa statale al nuovo Titolo V, ma ha comunque ritenuto applicabile tale disciplina (ivi compreso l’obbligo di adottare l’ordinanza in oggetto), invocando il c.d. principio di continuità dell’ordinamento (in base al quale le leggi statali preesistenti alla riforma del Titolo V continuano a trovare applicazione fino a quando non sono modificate o abrogate);

e) il Ministero, quindi, avrebbe dovuto specificamente contestare nei motivi di appello la correttezza giuridica del principio della continuità normativa, non limitarsi a ribadire la contrarietà tra normativa statale e competenze regionali.

– Considerato, comunque, che, anche a prescindere da tali profili di inammissibilità, l’appello è infondato nel merito, non potendo lo Stato (nella specie il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) trincerarsi, per giustificare la propria inerzia applicativa, dietro ad un presunto vizio di incostituzionalità sopravvenuto della legge statale da attuare, vizio derivante, peraltro, secondo la stessa prospettazione del Ministero, dalla violazione di norme costituzionali dirette a tutelare le competenze della Regione rispetto a possibili sconfinamenti da parte dello Stato medesimo.

In primo luogo, infatti, l’Amministrazione non può rifiutarsi di applicare una norma legislativa sostenendone l’incostituzionalità, essendo il relativo scrutinio demandato in via esclusiva alla Corte costituzionale, con la conseguenza che la legge in ipotesi incostituzionale, fino a quando non venga dichiarata tale, vincola tutti i soggetti dell’ordinamento, ivi compresa la Pubblica amministrazione che è quindi tenuta a farne applicazione;

In secondo luogo, comunque, come più volte affermato dalla Corte costituzionale, le norme legislative statali preesistenti, in contrasto con il nuovo assetto di competenze Stato-Regione, non sono incostituzionali, ma “cedevoli”, nel senso che continuano provvisoriamente a trovare applicazione fino all’emanazione delle nuove disposizioni conformi al nuovo assetto di competenze e, in particolare, fino all’emanazione da parte delle Regioni delule attribuzioni legislative loro proprie.

Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in complessivi € 3.000.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento, a favore della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL, delle spese di giudizio che liquida in complessivi

€ 3.000 (tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Vito Carella, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/02/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)