Il tempo, le parole, i bambini

Il tempo, le parole, i bambini

di Claudia Fanti

Sulla questione si sono già spese fiumi di parole. Eppure una in più non credo faccia male.
La mia percezione di maestra sul campo, mi fa dire oggi più di ieri, che il tempo dedicato alle parole con i bambini e le bambine oggi è ben speso. Le classi, lo sappiamo tutti, sono popolate di alunni di ogni paese, di bambini dai mille volti. Uno solo ne contiene almeno dieci che faticano a mostrarsi pienamente, che nascondono in tanti modi, dai più plateali come le ribellioni a quelli più segreti come le “timidezze”, vissuti e stati d’animo. La fragilità di cui sono portatori è conosciuta a ogni insegnante che osservi attentamente la composizione della classe e dei gruppi.

Ebbene, in ogni situazione io mi trovi a operare, sia nella mia classe sia in quella di altri quando vado a coprire i “buchi” delle assenze dei colleghi, mi accorgo del fascino irresistibile della parola e dei gesti che l’accompagnano.

La lettura, la drammatizzazione della stessa, le fermate sapienti sui punti nevralgici di una storia accattivante, attirano come calamite ognuno e ognuna, chiunque e qualunque sia la sua provenienza. Se poi si volesse aggiungere il sottofondo musicale, il top dell’ascolto è facilmente raggiunto.

Su ogni apprendimento e su ogni attività, la narrazione vince, fa strage di cuori e di menti. Ma…guai a disperdere il patrimonio di pensieri nuovi che nascono nelle menti. Alt! Ci si deve fermare a coltivare ogni accenno di dialogo, ogni appuntamento con una nuova idea che fuoriesce dalle minime osservazioni dei bambini/e. Gli occhi e gli orecchi sono puntati, le braccia si alzano, i turni faticano a essere rispettati, ma poi lo sono e le teste si protendono verso il compagno che parla.

Da questi momenti nascono gli apprendimenti efficaci, quelli che durano,  purchè si faccia attività di raccolta di dati, insieme con i bambini/e, nel momento successivo delle eleaborazioni personali e dei gruppi, lavorando su quanto scoperto: in modo concreto se la materia lo richiede, o astratto se la materia è una di quelle che prevedono la produzione scritta di fiabe, racconti, argomentazioni, schematizzazioni…

E anche nel momento della raccolta di dati e delle produzioni, la strategia di usare la parola per nominare, spiegare, esprimere dubbi, perplessità, opinioni, è essenziale. Diversamente cade l’attenzione, le produzioni divengono meccaniche, sciatte, e nulla rimane se non un vago ricordo.

Noi ci troviamo nella situazione di un navigante sulla zattera: se ci sbracciamo per chiedere aiuto a mezzi che navigano troppo lontani, nessuno ci ascolta e ci troviamo con le energie disperse inutilmente, se invece ci rannicchiamo a riposare, a pensare al modo in cui potremo sopravvivere  per poi alzare le braccia al passaggio di un mezzo più vicino, forse verremo uditi e salvati.

Le idee quando nascono, vanno lasciate esprimere ad ognuno/a, vanno lasciate riposare, utilizzate al tempo giusto, allora le salveremo e i bambini le ricorderanno per sempre.

La frenesia, l’attivismo continuo, gli scarti improvvisi tra un’attività e l’altra sembrano, per il loro essere dinamici, apprezzati, tuttavia se volessimo guardare con onestà i risultati sul lungo periodo ci accorgeremmo che essi hanno prodotto sovreccitazione, agitazione, iperproduzione e forse pure entusiasmo, ma si sono risolti in apprendimenti poco profondi e giustapposti senza collegamenti di valore, senza formazione di mappe interiori da poter riutilizzare in altri contesti e ambienti di apprendimento.

Spesso la strada che si imbocca ora con le migliori intenzioni è questa della iperproduzione, per cui si affollano, insieme con i pensieri, pagine e pagine, fotocopie di esercizi cosiddetti di consolidamento, compiti su compiti: questa iperproduzione  può essere consolatoria per gli adulti perché seda le loro ansie da prestazione, ma diviene dispersiva o, peggio, rischia di portare proprio alla cosiddetta dispersione di molti bambini/e che si rifugiano nelle loro ansie segrete create da prestazioni malriuscite, frettolosamente agite, le quali lasciano una traccia di inquietudine dovuta alla sensazione di non avere ben compreso il senso del lavoro svolto.

Proprio oggi, mentre la maggioranza delle esperienze dei bambini e delle bambine si basa sul visivo e su stimoli luminosi, chiassosi e vissuti in modo solitario, divengono coinvolgenti e straordinariamente efficaci modalità di insegnamento basate sulla parola, sul racconto, sullo stare insieme conversando in modo  corale. Le emozioni fluiscono, gli sguardi si incrociano, i corpi si protendono nello sforzo di comprendersi a vicenda.

Tutto ciò che è parola, musica, corpo, rappresentazione attraverso il disegno, espressione di sentimenti acquista un enorme fascino per le classi.

Di contro, tutto ciò che in qualche modo ripropone stimoli conosciuti anche all’esterno della situazione scolastica, alla lunga stanca, viene considerato routine, esclude alunni/e che presentano varie tipologie di disagio.

Se una cosa adorano bambini e bambine è il “perdere tempo” parlando con la maestra di sé, della propria famiglia, delle proprio esperienze, dei giochi e dei pupazzi che amano, dei loro sogni, la notte, proprio di quelli che li impauriscono o che li fanno sorridere. Sono poi attentissimi se si raccontano loro le storie “antiche” della propria vita, di quando la maestra era una bambina, se si recuperano informazioni sul loro passato e le si condividono con compagni e compagne. Non c’è bambino/a che non ami rievocare attraverso i racconti dei familiari le storie dei nonni, dei bisnonni…

Non ho poi mai visto nessuno/a di loro “stancarsi” dinanzi alla storia delle parole, all’  etimologia, ai significati che esse nascondono anche in ambiti diversi da quello della materia “italiano”: la storia dello zero, quella del pi greco, delle cifre, dei simboli…

I bambini e le bambine con i quali lavoriamo ora amano proprio settori della conoscenza che oggi sembrano non essere di moda: sfogliano volentieri i libri, si entusiasmano nell’ascolto della musica classica, si emozionano ascoltando e imparando i versi di una poesia, restano affascinati dai “suoni” delle parole “difficili”, delle rime; chiedono di essere guidati nel gesto grafico e nella bella scrittura, nei suoi riccioli e ghirigori. Domandano l’attenzione dell’insegnante alle loro conquiste culturali. Sono attratti dai dipinti, dai colori, dal pongo, da una pianticella che cresce, da un insetto trovato in giardino…

Le tecnologie li appassionano per un attimo, ma il loro amore incondizionato va sempre di più all’ascolto della voce umana che narra e del corpo che sperimenta con mani e piedi e pelle la natura e l’incontro dialogico con i compagni e le compagne.

La dispersione oggi si affronta con un amore sconfinato per il bambino/a intero, per le sue emozioni, per la sua psiche, per la sua personalità, per la sua singolarità, per la sua provenienza, per il suo desiderio di essere protagonista fra altri protagonisti degli apprendimenti, si affronta se gli si offrono strumenti linguistici per narrarsi e narrare il suo pensiero e le sue esperienze. Così tutto può imparare, tutto può affrontare.

Chiunque si occupi di governare la scuola dovrebbe muoversi con il garbo di un danzatore, in punta di piedi, dovrebbe immaginare, come fa un artista, spazi e tempi liberi in cui tutto è possibile, in cui non esiste misura, costrizione e proibizione; dovrebbe tutelare la libertà di insegnanti e alunni/e affinché possano essere padroni del tempo degli apprendimenti e dei contenuti senza lacci e laccioli. Oggi più che mai la libertà di sperimentare, agire, dialogare per ex-ducere andrebbe protetta da qualsiasi invasione di territorio da parte di agenti esterni. Purtroppo avviene il contrario e il prezzo che paga e pagherà la società sarà altissimo in termini di disamore verso il sapere.