Nessuna differenza nell’emozione della conoscenza

Nessuna differenza nell’emozione della conoscenza

di Giovanna Donzella

 

Si ritiene che alcuni saperi vengano trasmessi, insegnati ed appresi mentre altri, come quelli matematici, imposti, inculcati e, pertanto, respinti o rifiutati.

Cos’è che rende tanto diverso l’insegnamento di una disciplina umanistica da una scientifica? Quale vantaggio ha un insegnante di lettere rispetto ad uno di matematica o di scienze?

E’ senz’altro una questione di metodo.

Nel primo caso, per le materie umanistiche che studiano l’uomo e la sua condizione, ossia storia, filosofia, religione, diritto ma anche letteratura, arte e le discipline linguistiche, si utilizzano principalmente strumenti analitici, critici e speculativi. Mentre per le materie scientifiche l’approccio è essenzialmente empirico e quindi basato sulla ricerca e la  sperimentazione.

Ma non è solo questo.

 

Le discipline umanistiche sono insegnate con un’impostazione prevalentemente storicistica: si fa sempre la storia della letteratura (italiana, inglese, francese, greca, latina, ecc.) o della filosofia, la storia dell’arte, della poesia e la storia  poi coincide con un’autentica narrazione storiografica.

Ma non si insegna la storia della matematica o della fisica, della biologia, della chimica,  bensì si insegna la matematica, la fisica, la chimica; e pertanto si studiano come discipline autonome, a sé stanti e astoriche.

In tal modo al docente di materie scientifiche viene a mancare uno strumento fondamentale per tutti  che è il racconto, la narrazione attraverso la quale conquistare l’attenzione di chi ascolta e che lo conduce nel contesto oggetto della narrazione stessa.

Ecco perché il docente di italiano ha un vantaggio rispetto a quello di matematica.

Egli può arrivare al cuore dei suoi alunni, li può far sognare ma, soprattutto, dà loro anche la possibilità di raccontare, di raccontarsi, accettandone o discutendone le idee espresse liberamente e correggendone solo la forma.

E, comunque, docente e discente parlano la stessa lingua.

Invece con l’insegnante di matematica non c’è dialogo, non c’è democrazia e tanto meno la libertà di espressione.

“Rigorosi razionalizzatori della realtà, pretendono che tutto sia sistemato secondo la più perfetta simmetria”. “Generalmente freddi sia con gli essere umani che con le altre razze di professori di matematica, i precisini nutrono grandi ambizioni: classificare e ordinare ogni cosa esistente, finanche la non-materia, e convertire tutte le specie di animali, vegetali, esseri umani e minerali non pensanti alla loro mania di perfezione, stile “il numerino dev’essere inscritto all’interno del quadratino””. (da Nonciclopedia)

Egli non considera che gli studenti che ha di fronte e a cui si rivolge sono gli stessi che seguono lezioni di letteratura, di filosofia, che leggono e ascoltano brani e poesie…

Però sa bene che quando si studia o si illustra l’Infinito di Leopardi si ritiene doveroso tener presente la biografia dell’autore, inquadrare storicamente l’opera del poeta, accennare alle principali e differenti interpretazioni dell’Infinito.

Tuttavia, quando illustra un teorema di geometria, come quelli di Pitagora, di Euclide e Talete, o un concetto matematico, come quelli di funzione, di limite o di derivata, ritiene di potersi esimere dal fare qualsiasi riferimento al contesto storico in cui fu dimostrato o introdotto il concetto studiato, né considera la vita dello scienziato né, tanto meno, la dimensione storica.

Così facendo si radica sempre di più un pregiudizio culturale in virtù del quale una verità scientifica, sia, dopo tutto, una verità posta al di fuori della storia.

Eppure molti dei grandi problemi matematici che l’uomo si è posto derivano dall’Antichità, e soprattutto dalla Grecia classica (ciò potrebbe suscitare  un certo interesse in uno studente del liceo classico, dove la matematica non è fra le materie preferite). Come, appunto, il concetto di “Infinito” con Eudosso, Keplero, Galilei, Cavalieri e così via fino all’analisi infinitesimale.

Alcuni fondamentali altri accessori, risolti o irrisolti, semplicissimi o difficili, hanno ossessionato gli studiosi spinti da una dimensione estetica ed emozionale, entrambi fattori essenziali per lo sviluppo di questa disciplina, lungo il succedersi di epoche e culture.

“Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti” Sir Isaac Newton.

“L’approccio storico offrirà l’opportunità per studiare in tutta la sua effettiva articolazione, il patrimonio tecnico-conoscitivo elaborato dall’umanità nel corso della sua storia, evidenziandone i momenti progressivi, accanto a quelli apertamente regressivi, secondo una dialettica dell’apprendimento critico che sarà tendenzialmente in grado di meglio valorizzare i contrasti, le difficoltà, gli impedimenti e i successi attraverso i quali la ragione umana ha tracciato il suo sentiero di sviluppo”. (Fabio Minazzi – CULTURA UMANISTICA E CULTURA SCIENTIFICA NELLA PRASSI DIDATTICA QUOTIDIANA)

Allora, incominciamo anche noi a raccontare, tenendo sempre ben presente quel principio secondo il quale:

Rigore e Comunicabilità sono Inversamente Proporzionali.

Tanto più faremo uso di un linguaggio tecnico, specialistico e ricco di simboli per introdurre un argomento, per far comprendere un concetto,  tanto meno saremo ascoltati, tanto meno i ragazzi avranno l’ardire di provarci e di confrontarsi.

Dopo, solo dopo, potremo puntare alla correttezza formale ed alla padronanza linguistica.

Potremo far uso di quel linguaggio fatto di simboli e parole che “è stato costruito dall’uomo con regole atte a renderlo inequivocabile e predittivo” (C.W. Tombaugh), applicabile alle altre scienze e che, comunque, si serve della lingua italiana.

Raccontando non voltiamo le spalle ai nostri alunni, rivolgiamogli sempre lo sguardo quando spieghiamo una formula, un esercizio, un teorema. Osserviamoli, scrutiamoli, cogliamo ogni minimo segnale di comprensione e, soprattutto, di incomprensione.

Oggi si può anche grazie alle nuove tecnologie e grazie alla LIM.

L’uso della tecnologia, inoltre, può dare un contributo importante per riavvicinare la scuola alla “bottega” come laboratorio del sapere, dove viene instaurato un dialogo costante tra sapere teorico e sapere sperimentale, ossia nient’altro che il metodo galileiano, in cui il dato sperimentale è condizione necessaria per arrivare a quella situazione in cui “intendi ragione e non ti bisogna sperienza”.

Riduciamo le distanze, scendiamo dalla cattedra, giriamo tra i banchi, sediamoci accanto a loro perché anche la gestione dello spazio fisico è un elemento didattico fondamentale.

Costruiamo insieme la lezione, partendo da ciò che già conoscono, seguendo un percorso che cambia direzione, a seconda delle loro richieste,  ma non punto di arrivo; un percorso che non può e non deve  più essere rigidamente predefinito.

Imparare in un contesto aperto, sapersi correlare agli altri sul piano delle emozioni, dell’ideazione e del fare è una capacità di importanza crescente e non si riferisce soltanto all’ambito professionale e produttivo ma anche alla sfera personale e sociale.

Noi insegnanti discutiamo, correggiamo, consigliamo in modo trasparente, orientiamo ma non sovrapponiamoci agli scambi in atto, lasciando consumare qualche errore comunicativo in modo tale che possa essere sperimentato e superato sulla base delle reazioni che innesca.

Solo così ci sentiranno parte della classe e noi parte del tutto, non più una razza a parte.

Nessuna differenza, dunque, fra docenti delle diverse discipline, poiché tutti lavorano per assicurare ad ogni studente il successo formativo. Tutti con un unico obiettivo quello di formare giovani cittadini autonomi attraverso un apprendimento critico e attraverso un’efficace mediazione didattica che migliori la motivazione allo studio e all’impegno e li renda consapevoli dell’importanza dei valori, ponendoli alla base non solo dell’apprendimento ma  di un personale progetto di vita.

 

Il miglior punto di partenza per un apprendimento significativo e stabile è l’attenzione alla persona, prima ancora che alle sue prestazioni, e quindi l’ambiente di apprendimento, che deve favorire i rapporti interpersonali, basandoli sul rispetto reciproco.

Pertanto, la scuola come “società della conoscenza” secondo la definizione data da Delors e Cresson tra gli anni ’80 e ’90; l’insegnante come mediatore di conoscenza, mediatore didattico, capace di creare ambienti di apprendimento nei quali il clima relazionale con gli studenti e tra gli studenti possa favorire le condizioni per far appassionare ai saperi; l’alunno come parte attiva ed altrettanto responsabile del processo di apprendimento; le discipline al servizio della persona  come occasione per conoscere se stessa e ciò che effettivamente sa fare.

Dante ci proponeva un ideale di umanità basato sullo sviluppo ed il bilanciamento di Intelletto e Amore, oggi vi è un generale consenso sul fatto che i processi educativi debbano avere luogo nel campo creato da due poli: quello cognitivo e quello affettivo.

Da  questo non si può prescindere, perché non bastano più le conoscenze, non bastano più le abilità, occorrono le competenze e non unicamente disciplinari ma comunicative, sociali e civiche.

Senza un’esperienza, un legame, un vincolo non si ottiene sapere o conoscenza, e tanto meno competenza, ma solo addestramento alla ripetizione. La capacità di conservare e organizzare le informazioni è pur sempre un’abilità apprezzabile però dobbiamo fare di più. Ecco perché Domenico Chiesa ci invita a considerare le discipline come “campi di significato”, e ci ricorda che già Dewey diceva che “l’istruzione è intellettualizzare l’esperienza”.

Coinvolgimento, motivazione e fiducia sono alla base di tutto ciò e sono il risultato delle relazioni educative che si sviluppano nel rapporto docente-discente, che influiscono sulla natura dell’apprendimento e sul grado di fiducia dell’alunno nelle proprie capacità.

Thomas Gordon, psicologo clinico, ha rivolto la sua attenzione alla relazione insegnante-alunno. Egli ritiene che “…ancora più importante di ciò che si sta insegnando è il modo in cui l’insegnamento viene impartito”. Ciò sottolinea l’importanza del lavoro svolto da parte del docente, che deve mettersi in gioco come insegnante, impostando una relazione d’ascolto imparziale, così che i ragazzi possano avere nella scuola punti di riferimento non solo per la conoscenza, ma anche per i problemi della propria esistenza e possano creare legami e relazioni con insegnanti e compagni.

Tale interazione docente-studente è in primo luogo di tipo affettivo e diventa significativa solo se da ambo le parti viene percepita una chiara volontà di disponibilità verso l’altro e  una ferma volontà di raggiungere risultati condivisi.

E’ necessario , allora, che l’insegnante sia sempre consapevole della natura dei messaggi che manda siano essi verbali che non verbali, altrettanto importanti, quali il silenzio, lo sguardo, la postura del corpo, i gesti, che possono esprimere approvazione o disapprovazione, elogio o rimprovero, considerazione positiva o negativa, ansia o rabbia, simpatia o antipatia.                 Questo indica la necessità di un dialogo corretto come problema costante da tenere presente all’interno di un rapporto positivo.

Così, per aiutare un allievo a migliorare è necessario allearsi con la sua persona anche quando lo si critica, in modo da trovare un’intesa e un’alleanza per giungere a fargli adottare nuove decisioni. Ad esempio, durante lo svolgimento di un compito può essere data una pacca sulle spalle come incoraggiamento; nella correzione dei compiti, l’espressione “tu sei…” con l’aggiunta di una definizione o di un giudizio negativo, può essere sostituita dalla modalità più corretta e rispettosa: “il tuo compito oggi è…”.

Certo, la comunicazione quasi mai è perfetta, spesso si determinano in essa “circoli viziosi”, “percorsi negativi”, “conflitti”  che sono molto difficili da spezzare. L’unica maniera è il cercare di modificare il modo di relazionarsi all’interlocutore e di comunicare con esso attuando una continua analisi del nostro rapporto comunicativo con l’altro. Essa richiede il porsi in sintonia, il capirsi, l’entrare in contatto profondo; in una parola è richiesto un atteggiamento di profonda empatia o comprensione empatica.

Non è, però, con le battute che risolviamo la questione,  battute che a volte fanno ridere solo noi, fatte con lo scopo di renderci simpatici all’interlocutore, ma che puntualmente sortiscono l’effetto contrario, proprio a causa della “massiccia presenza di elementi acidi all’interno delle nostre cellule cerebrali” e, adesso, mi riferisco soprattutto ai docenti di matematica.

Assunto fondamentale di questo approccio è impostare la comunicazione sull’ascolto attivo e la modalità ottimale risulta quella assertiva che aiuta l’alunno a diventare responsabile e capace di affrontare gli ostacoli e di superare gli insuccessi motivandolo nella costruzione di un personale progetto di vita.

I punti cardine di tale percorso sono individuabili nei concetti di: discriminazione, ossia la capacità di analizzare e capire i nostri stati mentali e quelli di chi ci sta di fronte; di empatia, appunto, cioè la capacità di capire i messaggi emotivi e razionali del nostro interlocutore; di espressività , infine, vale a dire la capacità di far comprendere all’altro le nostre emozioni non solo con l’utilizzo di un linguaggio chiaro ma anche con il corpo.

Non dimentichiamo che le nostre emozioni passano soprattutto attraverso il corpo più che attraverso il linguaggio; come dice un famoso detto, “il linguaggio può anche mentire , il corpo no”, considerato sia nei suoi aspetti statici e di “apparenza” come l’abbigliamento, i lineamenti fisici, la pettinatura,… e sia in quelli dinamici, come le espressioni facciali, la mimica del corpo nel suo complesso, i gesti e le azioni che compiamo.

In questo senso uno sforzo maggiore è richiesto ai professori di matematica: “… generalmente riconoscibili per l’aspetto untuoso con eventuale naso adunco e, a prima vista, per la grande cura che dedicano al proprio look: non sono infrequenti giacche, cravatte, camicie inamidate e chi più ne ha più ne metta”.(da Noenciclopedia)

La cura della nostra immagine rivela anche il rispetto e la considerazione che abbiamo verso le persone che incontriamo: i nostri alunni. Curiamo il nostro aspetto, senza eccessi, che sia adeguato al contesto. La scuola è un luogo di lavoro, è un luogo di relazioni ed anche l’abbigliamento, la pettinatura dichiarano il nostro stato d’animo e il nostro modo d’essere verso l’altro. Tutto ciò fa apparire sereni ed una persona che si mostra serena mette l’interlocutore a proprio agio, lo predispone all’ascolto e lo apre al dialogo.

L’adulto che voglia realmente offrire un tipo di comunicazione che sia di aiuto e di supporto al percorso di crescita e di autonomizzazione del minore dovrà sentirsi coinvolto dalle emozioni del ragazzo, dovrà anch’egli mettersi in gioco nelle emozioni stesse, vivendole e condividendole, pur mantenendo la consapevolezza della propria funzione e del proprio ruolo.

E il docente, che comunica con gli studenti, mette in comune ciò che sa o pensa, creando ponti fra quanto sanno già e quanto devono ancora apprendere.

Ma prima, sopra ogni cosa, comunica la passione per il proprio lavoro, la fiducia che ripone in loro, il piacere di condividere l’esperienza vissuta e la voglia di farne sempre altre, il desiderio che ciò che fa possa far nascere una proficua curiosità e la speranza che tutto questo sia solo l’inizio.

Una comunicazione, dunque, che presenta due livelli, secondo P. Watzlawick, uno dei più grandi psicologi del ‘900: uno di contenuto, l’informazione veicolata, ed uno di identità, le persone in gioco e i loro rapporti sociali e psicologici.

Una comunicazione fatta di stimoli e risposte, che , al di là della sua struttura semantica e sintattica, veicola inevitabilmente l’implicito, ossia quei significati aggiuntivi, non espliciti, soggetti ad interpretazione da parte del destinatario della comunicazione stessa e che, pertanto, può generare reazioni puntuali, cioè equivoci, atteggiamenti difensivi, conflitti.

Tuttavia, con una semplice frase, possiamo dare istruzioni su come interpretare ciò che si dice e su come andare al di là di ciò che si dice.

Non c’è differenza. Non deve esserci alcuna differenza. Che egli si rivolga ad un alunno in una lezione individuale o che si rivolga ad una intera classe.

La comunicazione interpersonale diventa allora idealmente dimostrazione di attenzione e di rispetto per i membri del gruppo; ricerca di chiarezza e di trasparenza; possibilità di conoscenza e di valorizzazione delle competenze e delle risorse di tutti; coinvolgimento diretto e personale nel progetto associativo.

Tutto ciò influenza il clima classe, ossia la percezione collettiva che gli alunni hanno del loro stare insieme in classe con i diversi insegnanti, la loro motivazione e il loro impegno.

Tutto ciò può essere garantito da:

1. chiarezza degli scopi di ciascuna lezione, sia rispetto al programma più ampio di cui ciascuna lezione è parte, sia rispetto alle finalità e agli obiettivi della scuola;

2. ordine nella classe, cioè mantenimento della disciplina e comportamenti civili;

3. equanimità, vale a dire assenza di favoritismi e coerenza fra riconoscimenti e risultati attesi;

4. partecipazione, quindi, possibilità per tutti gli alunni di partecipare attivamente alla lezione attraverso la discussione, le domande, il lavoro su materiale predisposto dall’insegnante e altre attività simili;

5. sostegno, nel senso di supporto educativo ed emotivo agli alunni.

E gli alunni sono pronti a “fare” se comprendono il senso del “fare” che non è sempre legato al contenuto ma è sempre legato alle relazioni.

Tanti sono i modi di comunicare, ma a volte la via più semplice, quella più diretta, sono le parole.

Anche l’insegnante di matematica ha bisogno di parole.

Oggi, contrariamente a quanto si riteneva in passato e portava a dire che un testo di matematica era più bello perché con poche parole, anzi, meglio senza; oggi, che dalle lunghe telefonate, le lunghe chiacchierate si è passati ai brevissimi SMS, ancora più brevi perché scritti con mezze parole o con lettere mescolate a simboli, abbiamo bisogno di parole, sempre più parole per spiegare i concetti.

E tuttavia, è bene non dimenticare l’esortazione di Misone, uno dei Sette Sapienti di oltre due millenni e mezzo fa, ricordato da Platone insieme a Talete:

“Indaga le parole a partire dalle cose, e non le cose a partire dalle parole”

 

Perciò, facciamone buon uso.

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Bibliografia

Scuolainsieme, bimestrale di cultura e informazione scolastica-ANNO XIX n.3 Febbraio/Marzo  e n.4 Aprile/Maggio 2013

L.Pacifico, “La comunicazione non verbale”, ed. Xenia(2008)

M.Corsaro, “La comunicazione non verbale. Analisi del linguaggio corporeo”, ed. Aracne(2011)

Watzlawich P. Beavin J.H.Jackson D.D., “Pragmatica della comunicazione, astrolabio”, 1971

Meazzini P. “L’insegnante assertivo. Psicologia e Scuola”,95, Giugno/Luglio (1999)

Wikipedia, l’enciclopedia libera – comunicare con il gruppo.

P.Greco “Scienza e democrazia. La comunicazione tra ricerca e politica nell’era della conoscenza”(seminario del 24/10/2014 Università del Salento – Dipartimento di Matematica e Fisica ).