… E se i pari sono dispari?

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…E SE I PARI SONO DISPARI ?

prof. Giovanni Soldini[1]
Dirigente Tecnico MIUR – USR Marche

 

Interazione tra pari, interazione tra dispari.

21 è un numero dispari; è il numero della Sindrome di Down, o Trisomia 21 ! … ma due 21 fanno 42, che è un numero pari!

 

L’inclusione: considerazioni iniziali

Il percorso che va dall’inserimento all’integrazione all’inclusione di alunni disabili nelle classi comuni è iniziato 37 anni fa (L.517/77) e costituisce oramai un dato di fatto del nostro sistema scolastico da cui non si può prescindere. La nostra legislazione e il nostro sistema scolastico sono ritenuti (a ragione) dagli altri Paesi Europei, specialmente  in quelli in cui prevalgono le classi e le scuole  speciali,  modelli da imitare .

Una delle ragioni che ha dato impulso all’inserimento di alunni disabili nelle classi comuni è sicuramente quella di dare loro la possibilità di trarre  beneficio da un ambiente inclusivo, in cui si possa apprendere non solo grazie agli insegnanti, ma anche grazie alle interazioni con i pari.  La classe è un luogo fertile per lo sviluppo di significative relazioni tra pari che possono aumentare le possibilità di successo nel conseguimento di obiettivi formativi e cognitivi, aumentare la fiducia in se stessi. Tuttavia, per studenti con gravi disabilità, queste interazioni possono non avvenire con naturalezza senza un adeguato supporto.

La strategia più comune che viene comunemente usata nelle nostre scuole è quella di allocare risorse specifiche, e precisamente un docente per attività di sostegno e/o un assistente per l’autonomia che affianca l’alunno in attività da svolgere nella classe comune. Tuttavia alcuni studi (*Giangreco, 1997)[2] hanno mostrato che la presenza dell’adulto può avere un effetto negativo sulle relazioni  e interazioni tra pari, in quanto considerata una barriera fisica tra l’alunno disabile e i compagni.

Un secondo problema deriva dal fatto che spesso gli alunni in situazione di handicap sono allontanati dalla classe per andare a svolgere attività specifiche in un’aula diversa, fatto questo che non favorisce certamente l’interazione tra pari; è un processo di “degenerazione strisciante” [3] che vede passare la scuola da una situazione di integrazione piena a varie forme di segregazione in attività e spazi dedicati solo ad alunni con disabilità.

Un ulteriore aspetto da tenere in debita considerazione è il fatto che alunni con disabilità sono considerati in modo negativo sia dagli alunni che dagli insegnanti (Bryan,1981), anzi sono proprio gli insegnanti ad evidenziare maggiormente questa distanza, questo essere “altro da sé” (cfr. Griglie di repertorio di *Kelly)[4]. Eppure è indubbio che la loro presenza in classe è un arricchimento per tutti!

 

Tutoring e interazione sociale

Un deficit comportamentale spesso osservato in alunni con grave ritardo mentale è il loro isolamento dai compagni. Poiché molte abilità fondamentali sono  apprese e rafforzate nel contesto dell’interazione sociale, la promozione di interazioni di alunni disabili con i loro pari è stato l’obiettivo di molti programmi di intervento. I risultati di questi studi – afferma Giulio Lancioni[5] (Professore ordinario di Psicologia Generale,Università di Bari) – dimostrano che il comportamento sociale di soggetti con ritardo mentale può essere migliorato.

L’esperienza maturata presso l’Istituto d’Arte di Macerata (oggi Liceo Artistico) in oltre 20 anni di integrazione di alunni in situazione di handicap dimostra che è possibile sviluppare i processi cognitivi di questi alunni “dispari” utilizzando in modo adeguato la strategia del tutoring, cioè dando un compito educativo ad un “pari”. In questa direzione va il progetto “Un alunno per amico”, che ha focalizzato l’attenzione soprattutto sugli aspetti psicologici, relazionali e motivazionali che sono il presupposto di ogni apprendimento.

La procedura di tutoring,  consiste nell’affidare ad allievi responsabilità educative nei confronti di altri allievi.

La procedura di tutoring,  persegue principalmente 3 obiettivi:

1. Favorire l’apprendimento – E’ questo  l’obiettivo principale della procedura, in quanto si tratta di una strategia per migliorare l’acquisizione sia in alunni che non hanno ancora affrontato determinate aree di insegnamento, sia in alunni che hanno difficoltà di apprendimento e/o ritardo mentale. Il più delle volte il soggetto disabile è avulso dalle attività di classe; il linguaggio dell’insegnante non è compreso, i contenuti delle lezioni presuppongono delle conoscenze che l’alunno non ha e l’apporto  dell’insegnante di sostegno è il più delle volte limitato, in termini di tempo.

Nell’interazione tra pari i progressi sono possibili quando le differenze di livello cognitivo non sono “estreme” (si veda il concetto di zona di sviluppo prossimale elaborato da Vigotskij). In questo caso non solo i soggetti di livello inferiore progrediscono, ma pure quelli di livello superiore[6].

Il tutoring consente invece di avere un insegnamento individualizzato che, partendo dai bisogni reali del bambino, utilizza un linguaggio adeguato avvalendosi di conoscenze da lui possedute; il soggetto sente più vicino a lui un pari che gli è simile per status, altezza, linguaggio, ecc. e ciò migliora l’applicazione, l’attenzione al compito.  Il tutoring inoltre permette la moltiplicazione di esercizi su una data abilità, producendo così sovrapprendimento e generalizzazione e facilitando così una acquisizione stabile[7].

Da notare infine che il tutoring è fondamentale per l’acquisizione di appropriate abilità sociali in situazioni concrete e, in alcuni casi, per la riduzione di comportamenti problematici.

2. Favorire lo stabilirsi di relazioni sociali positive tra alunno disabile e gruppo classe –

Troppo spesso ci si dimentica che per avere integrazione non è sufficiente che il bambino disabile sia inserito nella classe: i due poli della relazione (alunno disabile e gruppo classe) devono entrare in relazione; il tutoring promuove attivamente la relazione tra alunno disabile e gruppo-classe, specialmente se viene realizzata una procedura di rotazione dei tutor.

3. Favorire la responsabilizzazione degli alunni. Nelle nostre scuole i ragazzi sono chiamati a svolgere un solo ruolo legittimo, quello di studenti, e pertanto devono posticipare per un lungo periodo la loro identità sociale. Con il tutoring, trasferendo loro delle responsabilità per aiutare altri alunni, soprattutto più giovani e con ritardo mentale,  si favorisce il passaggio da un ruolo che richiede solo compiti esecutivi ad uno che comporta compiti decisionali. Incentivare la responsabilità significa giungere ad una partecipazione sempre più attiva degli studenti alle attività scolastiche  e quindi produrre una democratizzazione del rapporto educativo.

Per attuare la procedura di tutoring,  non è sufficiente affiancare un ragazzino ad un altro e dirgli, per esempio, “aiutalo in matematica!”. E’ necessario definire precisamente quali sono gli obiettivi scolastici e sociali che si intendono raggiungere, sia per il tutor che per il tutee, è necessario formare i tutor attraverso un training  incentrato non solo sui contenuti specifici oggetto di insegnamento-apprendimento ma anche che su abilità generali concernenti il rapporto con il compagno, le modalità di rinforzo delle risposte corrette e di estinzione di quelle errate.  Questi obiettivi devono scaturire da una valutazione precisa delle abilità e dei deficit dei soggetti e devono rispondere alle loro esigenze.

E’ stato osservato (*Cloward, 1976) [8] che spesso i maggiori beneficiari di un programma di tutoring sono i tutor, in quanto aumenta il loro senso di responsabilità, un atteggiamento positivo nei confronti della scuola e degli insegnanti, aumenta l’autostima e il prestigio nei confronti dei compagni, e, in definitiva, migliorano le loro prestazioni scolastiche.

Nella scelta di un tutor ottimale le caratteristiche di personalità sono più importanti delle caratteristiche intellettive o delle prestazioni scolastiche; i tutor ottimali non sono necessariamente i più bravi della classe, quanto piuttosto coloro che perseverano in un compito, che hanno facilità ad iniziare e mantenere un rapporto interpersonale, che sanno gratificare il compagno senza assumere comportamenti punitivi o arroganti.

Qual è il ruolo dell’insegnante di sostegno in tutto questo? Egli è il coordinatore di tutta la procedura: in sintonia con l’attività di classe e in collaborazione con gli altri docenti, dovrà scegliere obiettivi, preparare i materiali, verificare il lavoro fornendo le opportune correzioni e istruzioni, attuare dei periodi di istruzione individualizzata per quei contenuti che non possono essere direttamente insegnati dai tutor , ma solo in un secondo momenti da questi consolidati e generalizzati.

 

Reverse tutoring

In un interessante studio di *Eiserman, Shisler, Osguthorpe[9]  vengono presentate 4 forme di Tutoring: si tratta sostanzialmente di un tutoring con ruoli invertiti in cui cioè l’alunno disabile è il tutor  e non il tutee (l’assistito)! Ecco le forme di reverse tutoring oggetto di studio:

1. bambini con handicap (ritardo mentale e disturbi dell’apprendimento) insegnavano ai loro compagni normali il linguaggio dei segni;

2. bambini con handicap aiutavano bambini normali più piccoli a leggere;

3. bambini con handicap aiutavano bambini più piccoli con handicap simili a leggere;

4. bambini con handicap aiutavano compagni con gli stessi handicap a leggere.

I risultati della ricerca furono i seguenti:

–   dopo una preparazione adeguata e con il controllo dell’insegnante l’alunno con handicap può operare efficacemente come tutor;

–  egli è in grado di trasmettere contenuti didattici, di controllare l’attività del compagno assistito e di dare un riscontro tramite feedback;

–  la conoscenza della materia trattata aumenta sia per il tutor che per il tutee;

–  alunni disabili e socialmente isolati sperimentano, assistendo compagni non disabili, una maggiore accettazione ed integrazione;

–    genitori, insegnanti e tutee riconoscono nel tutoring con ruoli invertiti un’efficace strategia operativa valida nel processo educativo degli alunni con handicap.

Questa ricerca ha empiricamente testato il motto latino “Qui docet, discet” (Chi Insegna, Impara!)  ed è giunta alla conclusione che ciò è possibile con alunni disabili che svolgano la funzione di tutor. In particolare, quando questi studenti hanno svolto il ruolo di tutor nell’insegnamento della lingua dei segni, sia essi che i loro compagni hanno appreso molto da questa esperienza; e così, anche alunni con difficoltà di apprendimento e di comportamento che avevano agito da tutor nella lettura hanno fatto segnalare rilevanti progressi nelle proprie abilità di lettura!

Nell’Istituto d’Arte di Macerata sono state efficacemente sperimentate queste procedure; in particolare ragazzi sordi che insegnavano la LIS ai loro compagni di classe, ragazzi ciechi che insegnavano il Braille, ragazzi con difficoltà di apprendimento che aiutavano bambini più piccoli a leggere o comunque raccontavano loro delle fiabe, nell’ambito del progetto “Nati per leggere” realizzato presso il reparto di pediatria dell’Ospedale di Macerata.

 

Conclusioni

Se le dinamiche abile-disabile (o pari-dispari, se volete!), adulto-disabile, adulto-disabile-TIC (come nel caso della Comunicazione facilitata, ad esempio), o adulto-disabile-animale (vedi Pet-Therapy) sono oggetto di studio da anni, non altrettanta attenzione è stata data alla… “interazione tra dispari”, cioè all’interazione tra alunni disabili! È questa a tutti gli effetti una interazione tra pari, tra pari che forse sono un po’ meno pari di altri, ma non per questo l’interazione è meno significativa. La nostra esperienza – che dovrà essere supportata da ulteriori ricerche – ci porta ad affermare che le interazioni tra alunni disabili sono molto importanti non solo da un punto di vista meramente sociale e relazionale, ma anche da un punto di vista cognitivo. È stato osservato come in attività manipolative semplici, che non richiedono particolari abilità a livello logico-astratto, ma che tuttavia rappresentano un compito di problem-solving, l’imitazione e l’emulazione del “pari” (o del “dispari”, se preferite) ha stimolato la ricerca di una soluzione al problema e in molti casi tale soluzione è stata il frutto di una collaborazione tra i due “dispari”.

… Ma  – si sa!- due dispari fanno un pari!

 

 

Bibliografia

 

Bryan, Donahue, Pearl,  Learning Disabled Children’s Peer Interaction during a Small Group Problem-Solving Task”, Learning Disability Quarterly, vol.4, No.1, 1981, pag. 13

Giorgio Bissolo,  HD n.6, 1985, pag. 22, Tecnoscuola Editrice, Gorizia

Cloward R. D., “Teenagers as tutors of academically low-achieving children: impact on tutors and tutee”, in ALLEN V. (a cura di ), Children as Teachers, Academic Press, New York, 1976, pp. 219-229

Giangreco, 1997, in Julie N. Causton-Theoharis Increasing peer interactions for students with severe disabilities via paraprofessional training“,  Exceptional Children, Summer, 2005   FindArticles.com. 21 Oct, 2010. http://findarticles.com/p/articles/mi_hb3130/is_4_71/ai_n29191724/

Dario Ianes,  “L’evoluzione dell’insegnante di sostegno”, ed. Erickson, Trento, 2014 , p. 53

Giulio Lancioni, “Normal Children as Tutors to Teach Social Responses to Withdrawn Mentally Retarded Schoolmates: training, maintenance and generalization”, Journal of Applied Behavior Analysis, n. 1, 1982, pagg. 17-40

Claudio Merini, “L’alunno con handicap e il gruppo-classe: indagine sugli aspetti sociali dell’integrazione”. HD n. 41, Giugno 1991, pag. 2-12, Tecnoscuola Ed., Gorizia

Osguthorpe, Eiserman, Shisler,  “Hadicapped Children as Tutors, Brigham Young University, 1986



[1] Dirigente Tecnico MIUR – USR Marche -,  già Supervisore SSIS e docente a contratto c/o UNIMC e docente Istituto Statale d’Arte “G. Cantalamessa”, Macerata

[2] Giangreco, 1997, in Julie N. Causton-Theoharis , “Increasing peer interaction for students with severe disabilities via paraprofessional training”, Exceptional Children, Summer 2005, http://findarticles.com/p/articles/mi_hb3130/is_4_71/ai_n29191724

[3] Ianes, D., 2014 , “L’evoluzione dell’insegnante di sostegno”, ed. Erickson, Trento, p. 53

[4]Claudio Merini, “L’alunno con handicap e il gruppo-classe: indagine sugli aspetti sociali dell’integrazione”, HD n. 41, Giugno 1991, pag. 2-12, Tecnoscuola Editrice, Gorizia

[5] Giulio Lancioni, “Normal Children as Tutors to Teach Social Responses to Withdrawn Mentally Retarded Schoolmates: training, maintenance and generalization”, Journal of Applied Behavior Analysis, n. 1, 1982, pagg. 17-40

[6] Clotilde Pontecorvo, “Apprendere in gruppo a scuola: prodotti e processi”, Età evolutiva, n. 24, , Giunti-Barbera, Firenze, giugno 1986, pp. 44-106

[7]  Giorgio Bissolo, HD n.6, 1985, pag. 22, Tecnoscuola Editrice, Gorizia

[8] Cloward R. D., “Teenagers as tutors of academically low-achieving children: impact on tutors and tutee”, in ALLEN V. (a cura di ), Children as Teachers, Academic Press, New York, 1976, pp. 219-229

[9]  Osguthorpe, Eiserman, Shisler, , “Hadicapped Children as Tutors, Brigham Young University, 1986