L. Levi, La notte dell’oblio

Degli Ebrei sempre sospesi…

di Antonio Stanca

fotoLia Levi ha ottantatré anni, vive a Roma dove è giunta nel 1938, quando aveva sette anni, con la famiglia di origine ebrea. Era nata a Pisa nel 1931. A Roma ha studiato, si è laureata, si è sposata, ha avuto figli, ha svolto la sua attività di giornalista, sceneggiatrice, scrittrice. Per molti anni ha diretto “Shalom”, la rivista mensile degli Ebrei di Roma che lei ha fondato. Al 1994, quando era sessantenne, risale l’inizio della sua produzione narrativa. L’ha continuata fino a tempi recenti scrivendo anche libri per ragazzi e ottenendo numerosi riconoscimenti. Del 2012  è uno degli ultimi romanzi, La notte dell’oblio, che nel 2013 è stato ristampato dalla casa editrice E/O di Roma nella serie Tascabili (pp. 193, € 9,00). Anche qui ritorna quella che è sempre stata la sua maniera di scrivere, cioè “il racconto della storia”. La Levi tende a dire, nella sua narrativa, di quanto è successo agli Ebrei presenti in Italia durante la prima metà del Novecento, delle tristi situazioni che hanno vissuto dopo le leggi razziali del 1938 che limitavano la loro vita in ogni aspetto e preparavano quella che sarebbe stata una vera persecuzione. Erano state anche le situazioni vissute da lei fin da bambina, dalla sua famiglia e spesso queste si possono intravedere nei romanzi, spesso una nota autobiografica è da essi contenuta. Non è rimasta, però, la sua narrativa un semplice riflesso della realtà, non si è limitata ad una funzione di trascrizione, di riporto di vicende accadute dal momento che le ha sempre mostrate percorse, animate da idealità, aspirazioni diverse. Ha sempre avviato un confronto la Levi tra quanto avveniva e quanto si sarebbe voluto che avvenisse, tra rassegnazione e speranza, necessità del corpo e voci dell’anima, urgenza della realtà e richiami dell’idea. E’ stata la rappresentazione di questo confronto e del disagio che procurava a chi lo soffriva a far superare al suo “racconto della storia” quei limiti che lo avrebbero fatto rimanere una semplice cronaca. Era il disagio sofferto dagli Ebrei, da gente che viveva lontano da quanto era suo, che doveva adattarsi a circostanze nuove e quello avrebbe mosso la scrittura della Levi, l’avrebbe trasformata in un’indagine continua di pensieri e sentimenti. In qualunque posto siano giunti gli Ebrei hanno mostrato di volersi ritrovare, riunire. Così potevano continuare a praticare i loro usi, i loro costumi, coltivare la loro fede, salvare le loro cose dall’esterno che le minacciava. Questa condizione sospesa tra sé e gli altri ha voluto rendere la scrittrice con la sua opera, di essa ha voluto fare il suo motivo ricorrente.

Anche ne La notte dell’oblio la Levi dice di una famiglia ebrea, i genitori, Giacomo ed Elsa, e due ragazze adolescenti, Milena e Dora, che vivono nella Roma fascista, che hanno sofferto le privazioni iniziate con le leggi razziali e che ora, durante la seconda guerra mondiale, sono fuggiti, si sono nascosti in una canonica non molto distante dalla città. Questa è occupata dai tedeschi che, considerandosi traditi dagli alleati italiani, commettono ogni genere di efferatezza. Giacomo ha un negozio a Roma e col commesso continua ad avere rapporti anche per ricevere da lui quanto gli spetta delle entrate del negozio perché necessario al mantenimento della famiglia. Si reca, quindi, di nascosto ogni mese nella città per avere dal commesso la sua parte dei guadagni ma una volta viene scoperto dai tedeschi, arrestato e deportato. Di lui non si saprà più niente, la famiglia perderà il negozio che diventerà proprietà del commesso. Si sospetterà di questi. Alcuni parenti vorrebbero fare delle indagini ma Elsa li ferma perché è convinta che in tal modo si creerebbe in casa un’atmosfera di misteri, sospetti, paure, rivelazioni e che questa sarebbe dannosa per la crescita e la formazione delle figlie. Rinuncia, quindi, e fa rinunciare gli altri ad ogni tipo d’inchiesta e affronta il disagio economico che ne è conseguito iniziando a lavorare da sarta. Continuerà a farlo quando, liberata Roma dalla forze alleate, tornerà con le figlie nella loro casa romana. Si farà conoscere Elsa per il suo lavoro, sarà apprezzata, la sua diventerà una sartoria nota e grazie ai guadagni le ragazze potranno studiare. Dopo le scuole superiori Milena, la più bella, la più sicura di sé, si sposerà, contro i voleri della madre, con un uomo d’età avanzata e di condizioni agiate. Dopo pochi anni, però, dopo la fiammata iniziale il matrimonio naufragherà né servirà a salvarlo la nascita di un figlio. Dora, più timida, più schiva, più remissiva, continuerà a studiare, completerà gli studi universitari, inizierà a svolgere qualche lavoro ed infine s’innamorerà di Fabrizio, un ragazzo molto semplice, molto spontaneo. Col tempo penseranno di sposarsi ma la scoperta che Fabrizio era figlio di quel lontano commesso che aveva fatto arrestare Giacomo sconvolgerà Dora, l’intera famiglia e lo stesso Fabrizio. Cesserà ogni pensiero relativo al matrimonio, ne deriverà una situazione sospesa, indefinita e così si concluderà l’opera.

Ancora una volta le vicende vissute da una famiglia ebrea e da quanti, congiunti ed altri, le erano vicini nell’Italia del primo Novecento erano state dalla Levi narrate con il suo linguaggio semplice, chiaro, molto scorrevole, ancora una volta le aspirazioni di alcuni Ebrei erano venute a confrontarsi con una realtà ben diversa, erano state da questa sopraffatte. Non sarebbero, tuttavia, cambiate, identiche sarebbero rimaste poiché rispetto a quella realtà erano più forti, venivano da lontano, erano di gente antica, l’avevano sempre distinta e non avrebbero accettato di modificarsi pur a costo di far rimanere eternamente sospeso chi le nutriva.