La graduatoria delle scuole che bocciano oltre il 50% di alunni

da Tecnica della Scuola

La graduatoria delle scuole che bocciano oltre il 50% di alunni
di Pasquale Almirante
Il record va però agli istituti tecnici e ai professionali, ma scendono le bocciature nei licei. Tra le grandi città spiccano per insufficienze Napoli, Roma, Palermo e Milano
Ma la graduatoria cambia di anno in anno: ci sono anche scuole che dal 2012 al 2013 hanno recuperato il 50% dei respinti. A pagare il sacrificio più grande, in termini di bocciature, sono gli istituti di frontiera.
Skuola.net stila la mappa delle scuole dalle bocciature eccessive, prendendo in esame i risultati di fine anno di oltre 600 scuole superiori nelle 10 città più popolose d’Italia.
E al primo posto con il minor numero di promossi c’è l’istituto professionale di Napoli “Melissa Bassi”, intitolato alla giovane vittima di attentato davanti a una scuola di Brindisi.
In questa scuola gli ammessi alla classe successiva sono addirittura meno della metà, appena il 45,50% contro una media nazionale per indirizzo dell’80,60%.
Nei primi 5 posti si piazzano altrettante scuole di Napoli per poi passare alla sesta posizione conquistata dal Bertarelli di Milano: un istituto professionale in cui lo scorso anno è stato promosso il 57,20% dei ragazzi.
A seguire il tecnico ed economico Luxemburg di Roma e il Duca Abruzzi di Palermo, rispettivamente con il 58,90% e il 60,90% di promozioni contro una media di indirizzo dell’85,20%.
In nona posizione anche Firenze con il suo istituto professionale Sassetti-Peruzzi che vanta il 61,70% di ammessi.
Percentuali bassissime, soprattutto se paragonate alle medie nazionali che, suddivise per indirizzo, superano comunque l’80% mentre quelle regionali vanno ben oltre con l’87,10% di promossi in Campania, l’87,70% in Lombardia, l’89,10% nel Lazio, 87,30% in Sicilia e 86,90% in Toscana.
Se invece si le graduatorie si compilano per indirizzo ecco che, con percentuali ben più alte, tra i licei classici il minor numero di promossi esce dal Platone e dal Plauto di Roma con 87,90% e 89,50%, a seguire il Gioberti di Torino con il 90,10% e il Marco Polo di Venezia con il 90,50%.
Per quanto riguarda invece lo scientifico spiccano per bocciature il Natta di Milano e il Primo Levi di Torino, rispettivamente con l’81,50% e l’85,70% di promossi.
L’istituto Serra di Napoli invece dal 2012 al 2013 ha bocciato il 40,30% in più dei ragazzi e l’Agrario di Palermo lo ha aumentato del 37,90%.
Tuttavia dall’analisi dei numeri si evince che non è la collocazione geografica a influire sul rendimento, la famigerata discriminazione Nord-Sud, ma la condizione sociale e il contesto dove queste scuole si trovano ad operare. E infatti spesso sono le scuole di frontiera quelle con il maggior numero di fallimenti, le scuole delle periferie degradate, quelle dove lo Stato è lontano in termini di servizi e di controlli, di lavoro e di opportunità. Pochissime le responsabilità dei docenti, ovviamente, ma tutta colpa di un sistema che non argina la dispersione scolastica e che non riesce a capire il valore e l’importanza dell’istruzione.
Su Leggo.it, leggiamo l’intervista al vicepreside della scuola “Bassi” di Scampia, che immediatamente e correttamente dà tutte le responsabilità al fenomeno della dispersione: “In realtà non si tratta di bocciature ma di dispersione scolastica. Il contesto sociale complesso conta molto e la scuola riesce a fare quello che può”. E il fenomeno ha proporzioni “enormi. Basti pensare che alla prima classe si iscrivono 30-35 studenti ma poi arrivano a fine anno solo 10-12 ragazzi. Nel 2013 ad esempio si sono iscritti in 740 ma non hanno frequentato in più di 400. Solo per la frequenza ne perdiamo tantissimi”.
E infatti, aggiunge il dirigente: “capita anche che formiamo classi a settembre con tanto di insegnanti che poi devono andar via perché non ci sono studenti. E negli ultimi anni il fenomeno della dispersione è ulteriormente peggiorato, sono i genitori stessi che non ci aiutano”.
Tuttavia, dice ancora il vicepreside: sono in tanti quelli che si diplomano “e poi cercano lavoro come tutti. C’è anche chi sceglie di andare all’università: il nostro è un indirizzo commerciale e i ragazzi spesso scelgono economia o giurisprudenza. Anche qui abbiamo le nostre soddisfazioni: che siano da esempio per tutti”.
Ma rimane sempre una domanda enorme e assai inquietante che il Governo e il Miur dovrebbero mettere in primo piano e porsi ogni giorno: dove vanno, che fanno, chi frequentano, come trascorrono le giornate questi ragazzi delle periferie urbane non andando a scuola?