La stagione delle sperimentazioni

SALUTO A UN’AMICO SCOMPARSO E RIFLESSIONE SULLA STAGIONE DELLE SPERIMENTAZIONI

di Mario Fierli

 

La recente scomparsa di un caro amico, Franco Bozzuto, mi ha spinto a una riflessione retroattiva (ma non solo) sulla stagione delle sperimentazioni nata negli anni ‘70, della quale lui è stato uno degli interpreti principali. Franco è stato preside dell’ITIS Cobianchi di Verbania per molti anni e, insieme a sua moglie Carla, uno dei punti di riferimento culturali e sociali della sua città.

Gli anni ‘70/‘80 sono stati caratterizzati dal fiorire di un grande numero di sperimentazioni autonome, cioè promosse e progettate, come prevedevano i Decreti Delegati, dalle singole scuole. Da una parte queste erano stimolate dal dibattito, acceso da tempo, sulla riforma della secondaria superiore e, dall’altra, erano il tentativo di dare alla stessa esempi-pilota. Ma, soprattutto, erano il canale verso il quale si mobilitavano e convergevano molte avanguardie intellettuali e pedagogiche. Nelle sperimentazioni, infatti, si incontravano riflessioni sui fondamenti culturali e sui fini formativi della scuola e progetti per tradurre gli stessi in curricoli innovativi. Sia pure in forme diversissime alcuni principi erano comuni alle sperimentazioni:

-la ricerca di percorsi formativi che unificassero cultura e professionalità

-la conseguente messa in discussione della distinzione fra Licei e Tecnici

-l’innovazione pedagogica e didattica delle varie discipline e la ridefinizione dei loro rapporti.

 

Il Cobianchi era uno degli Istituti Tecnici Industriali di grande tradizione, ricchi di competenze e strutture, che sono stati a lungo il punto di riferimento per il mondo delle imprese di un vasto territorio. Al contrario di molti di questi Istituti, però, il Cobianchi aveva accettato la sfida dell’innovazione e della ricerca di un nuovo profilo culturale informato ai principi rammentati. Sul piano didattico vorrei ricordare la forza e la serietà con si attuava il “metodo dei progetti”: i progetti affidati a gruppi studenti venivano da vere consegne della realtà territoriale, fino a reali committenze di istituti di ricerca e imprese.

Le sperimentazioni autonome ebbero molto successo, in parte, forse, per la qualità e l’impegno dei docenti, ma certamente perché la loro offerta formativa andava incontro a una domanda reale, sia per la varietà delle opzioni, sia per la novità di alcune di esse. In particolare perché offrivano quella ibridazione fra istruzione tecnica e liceale e delle relative culture di cui ho detto. Il Ministero esaminava i progetti ed imponeva eventualmente modifiche sulla base in quanto garante dell’equivalenza del titolo di maturità sperimentale a uno dei titoli esistenti. Anche se non mancavano istinti centralisti di ostilità verso le deviazioni dal quadro tradizionale, bisogna dire che il ruolo di controllo e negoziazione fu condotto dal ministero con una metodica interessante: tutte le scuole con sperimentazioni affini venivano riunite ogni anno in seminari di confronto e verifica a livello nazionale.

Quale è stato il lascito delle sperimentazioni? Sul piano culturale molto rilevante. Dalla creazione di un’avanguardia di veri e propri docenti-ricercatori fino all’influenza sugli editori scolastici: molti libri di testo di nuova generazione nacquero proprio nel contesto della sperimentazione.

Il progetto nazionale di sperimentazione “Brocca” propose una sintesi delle sperimentazioni e la loro messa a sistema, scegliendo la loro linea di base: l’avvicinamento di cultura e professione, la rottura della dicotomia tecnici-licei, emblematicamente rappresentata dal nuovo liceo scientifico-tecnologico e dall’introduzione della filosofia in tutti gli indirizzi. Nell’elaborazione dei nuovi curricoli i docenti delle sperimentazioni autonome furono gli attori principali. Alla sperimentazione “Brocca” aderirono tutte le scuole con sperimentazioni autonome. Alcuni aspetti innovativi, soprattutto didattici, rifluirono anche nei paralleli “Progetti assistiti” dei Tecnici e del Licei e nel “Progetto 92” dei Professionali, promossi separatamente per i diversi ordini e quindi ancorati alle loro finalità storiche.

La sperimentazione Brocca non si tradusse in una riforma. La riforma Berlinguer, che intendeva ristrutturare tutto il sistema scolastico, per quanto riguarda la secondaria superiore valorizzava la cultura delle sperimentazioni autonome e della “Brocca”. Le commissioni che furono istituite per i vari indirizzi avevano ancora al centro le loro idee e i loro attori.

La riforma Moratti, come si sa, interruppe il percorso della Berlinguer. E anche sul piano del metodo di definizione dei percorsi scelse consapevolmente una strada di rottura, emarginando le esperienze e gli esponenti delle sperimentazioni. Una rottura ancora più netta è avvenuta con il riordino “Gelmini”.

Rimane a questo punto una domanda: come possono le scuole avere, oltre alla responsabilità dell’autonomia didattica, anche quella della creazione di percorsi curricolari? Sarebbe almeno in parte possibile se si applicasse il dettato della legge sull’autonomia. L’articolo 8 prevede che a livello nazionale siano definiti i piani di studio per la maggior parte, ma non tutto, dell’orario scolastico, mentre per la parte residua (per esempio il 20%) tutte le scuole debbono decidere discipline e contenuti. Invece di questa norma ne è stata applicata, dalla riforma Moratti in poi, un’altra che permette, alle scuole che lo vogliano, di “modificare” il curricolo nazionale. L’operazione è però in pratica molto difficile anche perché, soprattutto nei tecnici, sono stati posti vincoli proibitivi.

Non so se oggi la restituzione di “uno spazio bianco” alle scuole potrebbe riattivare un processo di innovazione dei curricoli dal basso. O se, forse, è oramai tempo di passare direttamente a una fase successiva che rimetta in discussione tutto l’assetto curricolare tradizionale.