Pontecorvo: per anticipare servono più docenti e una diversa didattica

da ItaliaOggi

Pontecorvo: per anticipare servono più docenti e una diversa didattica

La psicopedagogista spiega i rischi e le opportunità di andare a scuola prima. Vietato generalizzare

Alessandra Ricciardi

Clotilde Pontecorvo, professore emerito di Psicologia evolutiva alla Sapienza, tra i maggiori esperti di psicopedagogia in Italia, ha condotto una ricerca sulla continuità educativa con bambini di 4-8 anni. E ha un’idea ben precisa di quali siano le opportunità e le difficoltà di un anticipo dell’inizio della scuola. «Servono condizioni organizzative puntuali, molta competenza da parte dei docenti, oltre che la disponibilità dei bimbi».

Domanda.

Iniziamo dalle condizioni organizzative.

Risposta. La più importante è che, quando nella classe entrano bimbi più piccoli, oltre all’insegnante della primaria sia presente anche quello dell’infanzia. Questo perché il bambino più piccolo ha bisogno di muoversi, non si può pensare a lezioni frontali, sarebbe assurdo. Ovviamente anche l’insegnamento della lettura e della scrittura vanno calibrati sull’autonomia e creatività dei bambini. E, inutile dirlo, servono anche spazi adeguati, una classe con file di banchi è improponibile.

D. Cosa significa modificare l’insegnamento della lettura e della scrittura?

R. Non si comincia con l’alfabetario e l’insegnamento formale. Il lavoro va svolto a piccoli gruppi in classe, con grande possibilità di comunicazione tra i bambini. Che vanno lasciati liberi di produrre le parole nel modo in cui loro le sentono, è molto importante il livello sonoro nella scoperta della scrittura e della lettura.

D. I docenti della scuola dell’infanzia e primaria sono preparati per lavorare in questo modo?

R. In termini generalizzati direi di no. Ci sono molti insegnanti sperimentatori nel nostro paese disponibili a farlo, ma non direi che c’è la competenza diffusa. E poi c’è anche una certa resistenza da superare, perché l’insegnante che non conosce abbastanza bene l’idea vuole fare come si è sempre fatto.

D. Oggi è anche vero che i bambini arrivano a scuola con competenze che vent’anni fa non i loro genitori non avevano.

R. Hanno spesso già una certa padronanza dello scrivere e del leggere, ma hanno comunque necessità di tempi e di modalità di apprendimento giusti. Una scuola elementare che costringe a 5 anni a stare fermo in un banco non fa il bene del bambino.

D. C’è il sospetto che voler anticipare di un anno possa essere una mossa per ridurre il personale.

R. Questo modello di scuola richiede presenze professionali doppie a valenza diversa nei primi anni della scolarità elementare. Un diverso impiego dei docenti, ma non è che si elimina la scuola dell’infanzia.

D. I bambini che iniziano prima a scuola hanno rendimenti più alti?

R. Non c’è relazione tra l’età di inizio della scolarità e il rendimento. Io ho visto che la possibilità di andare a scuola prima anni fa era prerogativa di famiglie di alto livello sociale, desiderose di introdurre i bambini a leggere e scrivere prima, ora invece è più richiesta dalle famiglie più modeste. Non so quanto il ministro sia consapevole che la richiesta a volte risponde a esigenze pratiche.

D. La sperimentazione che risultati ha avuto?

R. Risultati positivi, perché i bambini più piccoli messi con quelli più grandi hanno livelli di sviluppo più alti. Ma generalizzare non si può, serve molta flessibilità.

D. Insomma, lei è favorevole o contraria a un anticipo dell’inizio della primaria?

R. Non lo sosterrei in modo generalizzato quando le nostre scuole mancano di molte condizioni accettabili. Vorrei prima di tutto che i bambini stessero bene a scuola a qualsiasi età. E che non vivessero condizioni che possano produrre fallimenti. Io proporrei di procedere con molta prudenza e dopo aver ben ponderato, con esperti, i pro e i contro. Anticipare di un anno solo per consentire l’uscita anticipata a 18 anni, come negli altri stati europei, non è una buona ragione dal punto di vista psico-pedagogico.