5 ottobre Informativa su avvio anno scolastico in Senato

Il 5 ottobre si svolge in Aula al Senato l’informativa del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sull’avvio dell’anno scolastico

Illustre Presidente, onorevoli senatori, avviare un anno scolastico è sempre un’operazione di estrema complessità. Quest’anno, peraltro, la sfida era ancora più impegnativa. Si trattava, infatti, di applicare per la prima volta una riforma organica che cambia, anzi ha cambiato, completamente il volto della scuola superiore italiana. Nuovi indirizzi, nuovi orari, una riorganizzazione totale dell’offerta formativa attesa da decenni e poi, come ogni anno, i soliti adempimenti: gli uffici regionali erano chiamati ad occuparsi di rispondere alle domande di mobilità del personale docente, del personale tecnico-amministrativo e poi gli organici, le cattedre, le immissioni in ruolo, le supplenze. Insomma, una mole di lavoro considerevole, che è stata svolta però in maniera esemplare. Quindi, credo che la sfida di aprire regolarmente l’anno scolastico sia stata vinta.

Non sono mancate certo, come sempre, polemiche e contestazioni, ma sono state nella sostanza smentite le pessimistiche e spesso strumentali previsioni di un caotico e magari ritardato inizio dell’anno scolastico per effetto dell’applicazione dell’articolo 64 della legge n. 133 del 2008 e degli interventi legati all’attuazione e alla messa a regime della riforma del primo e del secondo ciclo.

Colgo dunque l’occasione per ringraziare da questa autorevole sede istituzionale le strutture ministeriali, gli uffici scolastici regionali e territoriali e tutte le istituzioni scolastiche per avere assicurato con impegno encomiabile il tempestivo svolgimento delle complesse operazioni propedeutiche all’avvio dell’anno scolastico. Ritengo che soprattutto a questa maggioranza di uomini e donne, dirigenti scolastici, insegnanti motivati, vada rivolto il nostro ringraziamento quando si parla di scuola italiana.

Ma prima di entrare nel merito delle misure che hanno accompagnato necessariamente l’entrata in vigore e poi l’attuazione della riforma della scuola superiore in quest’anno scolastico, non voglio eludere il tema delle risorse attorno al quale sono nate polemiche aspre, che hanno diviso e continuano a dividere gli schieramenti e anche il Paese. Voglio partire da un’analisi, credo oggettiva, contenuta all’interno di un documento di inquadramento del sistema scolastico: mi riferisco al Libro bianco redatto durante il precedente Governo dal quale risulta, da una lettura attenta, evidente a tutti una sproporzione nella gestione delle risorse tra l’impiego del 97 per cento delle medesime per le spese correnti ed il risultato di riservare un misero 3 per cento alla qualità, agli investimenti.

Si è molto discusso sull’entità dei tagli al personale docente e amministrativo. Si è più volte lamentata una cura eccessiva, una razionalizzazione non sopportabile per la scuola. Nulla di tutto ciò, perché, se si va a vedere effettivamente la portata di quella manovra, si scopre che a fronte dei 42.000 tagli previsti dal precedente anno, ben 32.000 erano legati ai pensionamenti, e quindi la manovra di fatto si riduce da 42.000 a 10.000 tagli, e anche quest’anno i tagli sono stati di ammontare pari a 25.000 posti ma, considerati ancora una volta i pensionamenti (questi ammontano a 23.000), la differenza è presto fatta, nel senso che il taglio è di 2000 posti: certo non pochi, ma si tratta pur sempre di una manovra che continuo a pensare assolutamente sopportabile e indispensabile per invertire un trend di crescita della pianta organica non proporzionato al fabbisogno effettivo di posti da insegnante o da dirigente scolastico richiesti dalla scuola italiana.

Voglio ricordare inoltre che, per dare risposte concrete a coloro che si sono ritrovati esclusi a seguito delle riduzioni di organico effettuate da questo Governo, in considerazione dell’attuale situazione lavorativa ed in risposta alle legittime aspettative del precariato conseguente all’adozione degli ultimi due provvedimenti economici, sono stati siglati accordi con le Regioni per autorizzare 16.000 immissioni in ruolo di personale. Ciò sta a significare che il precariato frutto della manovra del 2008-2009 è stato completamente assorbito.

Si è poi molto discusso, anche a livello europeo, del fatto che il Governo, anche a seguito dell’approvazione dell’ultimo provvedimento economico in materia di pubblica amministrazione, ha previsto il blocco degli stipendi e degli scatti di anzianità; ci si dimentica però di ricordare che è stata fatta un’eccezione importante per la scuola, e ciò è stato possibile grazie al fatto che, a parte i tagli, la misura prevista dal Governo (e cioè il risparmio del 30 per cento da reinvestire nella scuola) produrrà a medio termine un risparmio strutturale di un miliardo di euro, da destinare finalmente agli investimenti nella qualità e non più alle spese fisse. I primi risparmi racimolati hanno consentito agli insegnanti di non perdere gli scatti di anzianità: la scuola è cioè l’unico comparto della pubblica amministrazione a non subire il blocco degli scatti. Credo che questo, insieme alla previsione di nuovi posti di lavoro, rappresenti un elemento importante. Infatti, anche in un momento di congiuntura economica difficile, di crisi internazionale, siamo riusciti a prevedere 10.000 nuove immissioni in ruolo (spesso dimenticate), 6.500 nuove immissioni in ruolo di personale tecnico amministrativo, 170 nuovi posti di dirigente scolastico, ed è stato inoltre bandito un concorso per dirigente scolastico (per la prima volta sulla base di prove selettive e non più soltanto con concorso per titoli) per 2.800 posti.

Quanto al tema che, forse, più mi addolora, e cioè sentir parlare di tagli rispetto alla disabilità e di tagli relativi agli insegnanti di sostegno, invito gli illustri senatori a consultare le risultanze dell’ufficio dati e dell’ufficio statistiche del Ministero, piuttosto che quelle degli uffici scolastici regionali, per constatare quanto vi sto dicendo, ovvero che sono stati immessi in ruolo 3.500 nuovi insegnanti di sostegno in più rispetto all’anno precedente. Credo che anche questo sia un segno importante da sottolineare.

Ciò non significa aver risolto tutti i problemi o negare il problema del precariato. Al riguardo mi sono pronunciata più volte: nel nostro Paese esiste un problema legato al precariato, alla precarizzazione dei giovani, ma non è imputabile all’attuale Governo, né alla finanziaria, con l’articolo 64 relativo al piano di razionalizzazione del comparto della scuola, bensì è il frutto di anni nei quali la scuola è stata trattata come un ammortizzatore sociale (Applausi dal Gruppo PdL)…

ADAMO (PD). Sono i tagli della Moratti!

GELMINI, ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. … anni in cui sono stati distribuiti posti di lavoro che nei fatti si sono tradotti in posti di attesa nelle graduatorie.

Cercare di ribaltare la realtà, attribuendo ad un provvedimento dell’attuale Governo l’esistenza nelle graduatorie ad esaurimento di 220.000 precari dotati di abilitazione e di altre 300.000 persone presenti nelle graduatorie di istituto senza abilitazione, credo sia una cosa non vera che, peraltro, non aiuta il mantenimento di una coesione sociale che è competenza di ciascuno di noi: sicuramente di chi ha incarichi di Governo, di chi siede nei banchi della maggioranza, ma anche dell’opposizione.

E allora io invito ad analizzare, a riflettere, a dibattere su un tema delicato come quello della scuola (che appartiene al Paese e non è né di destra né di sinistra) non con la lente dell’ideologia o del pregiudizio, ma andando a guardare i numeri. Lì si scoprirà che ci sono sicuramente delle ombre, ma anche molte luci. Mi riferisco ad alcuni provvedimenti che sono stati messi in campo per alleviare il precariato. Voglio ricordare in proposito la disponibilità che è stata assicurata in maniera bipartisan da molte Regioni (penso alle Regioni Calabria, Campania, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Veneto, Lazio), con ciascuna delle quali sono stati siglati accordi per 7, 10 o 20 milioni di euro, a seconda dei casi, e si è sicuramente cercato – e in parte ci siamo riusciti – di alleggerire la situazione dei precari. È chiaro che tale situazione non è stata risolta; è chiaro che il fenomeno del precariato resta sullo sfondo e resta un problema enorme per la realizzazione dei giovani, per la loro autonomia decisionale, per la loro prospettiva di crescita, di carriera e di autonomia dalla famiglia.

Ma questo non è – lo ribadisco – il frutto di una cattiva finanziaria, bensì è imputabile, credo, ad un sistema che, per troppi anni, non ha calcolato i fabbisogni di posti di lavoro (quindi di insegnanti) della scuola. Questo ha determinato da parte delle università, in perfetta buona fede, una moltiplicazione delle facoltà destinate a formare i nuovi insegnanti, e di conseguenza, poi, un’attesa interminabile ed inaccettabile nelle graduatorie. Noi cosa abbiamo fatto? Questo Governo ha voluto innanzitutto non essere corresponsabile dell’insorgenza di nuovo precariato. Per questo abbiamo cominciato a governare i numeri e a cambiare il regolamento sulla formazione iniziale dei docenti. Sappiamo che non può esistere una buona scuola senza dei bravi insegnanti: se è vero che le idee camminano sulle gambe degli uomini, la scuola cammina sulle gambe degli insegnanti. Rafforzare queste gambe è stato allora il primo obiettivo che ci siamo posti, con un nuovo regolamento per la formazione iniziale che prestasse attenzione alla qualità della didattica e alla qualità dell’insegnante: non solo sapere e conoscere la singola materia, ma anche saperla insegnare. In che modo? Attraverso il tirocinio: da un lato, attraverso uno studio teorico e, dall’altro, attraverso molte ore di lezione e di pratica nelle classi, con un docente tutor destinato ad accompagnare il percorso formativo e la pratica del giovane insegnante.

Ancora una volta, abbiamo rivolto attenzione alla disabilità. Abbiamo disegnato un nuovo tipo di docente, in grado di padroneggiare la propria disciplina, ma anche – ed è la prima volta in Italia – di avere una preparazione di base sulle disabilità. Noi non abbiamo formato solo gli insegnanti di sostegno, ma abbiamo preteso che tutti gli insegnanti avessero una particolare attenzione e una particolare preparazione di base sulle disabilità. Ci siamo preoccupati che i nuovi insegnanti avessero una buona preparazione in lingua inglese e fossero in grado di utilizzare le tecnologie informatiche della didattica.

Abbiamo inoltre pensato ad un numero programmato, cioè alla possibilità di sfornare tanti insegnanti quanti quelli di cui ha bisogno la scuola, con un 30 per cento in più che ci deriva dall’esperienza, perché è evidente che non c’è una piena sintonia fra coloro che iniziano il percorso all’interno delle nuove facoltà di formazione degli insegnanti e coloro che poi si laureano, si abilitano e quindi entrano nel mondo della scuola. Per questo motivo, abbiamo previsto il 30 per cento in più, ma non più di questo!

Inoltre, se da un lato, abbiamo garantito gli scatti di anzianità, dall’altro pensiamo che un sistema di formazione veramente qualitativo debba puntare al superamento dell’avanzamento per anzianità. Sottolineo che il nostro Paese, insieme alla Grecia, è rimasto uno dei pochi in Europa (se non l’unico) a non prevedere una valorizzazione della professione dell’insegnante, giacché l’avanzamento è legato soltanto al trascorrere del tempo. Ebbene, noi riteniamo che tale sistema, che oggi abbiamo garantito alla scuola anche in un momento di blocco degli scatti di anzianità, debba essere superato se vogliamo avere realmente una scuola di qualità ed insegnanti preparati e motivati. Per tale motivo, stiamo ragionando anche al tavolo sindacale per individuare una via che possa essere il più possibile condivisa: si può trattare di una strada contrattuale o normativa, ma certamente dobbiamo pensare alla valorizzazione del corpo insegnante. Pertanto, dobbiamo individuare un percorso che premi il merito e gli insegnanti migliori e non riservi i medesimi trattamenti ad insegnanti buoni e a quelli cattivi: dobbiamo imparare a premiare coloro che lo meritano, cioè gli insegnanti capaci, e a non penalizzarli come gli insegnanti che capaci non sono. (Applausi dai Gruppi PDL e LNP). Infatti, un sistema che non premia il merito e che non valorizza i risultati alla fine penalizza gli insegnanti migliori e soprattutto i nostri giovani e i nostri studenti.

Desidero affrontare anche un altro tema, spesso trattato sui giornali. Ascoltando la televisione e leggendo i giornali sembra che tutte le nostre classi siano sovraffollate, cioè siano formate da un minimo di 30 alunni. Sembra che da quando vi è il Governo Berlusconi non esista una classe formata da 20 alunni! Ebbene, ho cercato di capire se questa rappresentazione corrispondesse al vero oppure fosse – come ritenevo – un po’ ingigantita. Ancora una volta vengono in aiuto i numeri. Per quanto riguarda le classi sovraffollate, si tratta di un problema reale, ma di dimensioni molto più modeste di come taluni lo dipingono. Le classi costituite da un numero di alunni superiore a 30 (si fa presente che esse sono esclusivamente quelle dell’istruzione secondaria superiore) rispetto al totale delle classi rappresentano lo 0,4 per cento: questi sono dati che ho raccolto dai singoli uffici scolastici. Inoltre, ho scoperto che sono molto più numerose, cioè il 2,5 per cento, le classi che hanno meno di 12 alunni: queste, però, non vengono mai attenzionate dalla stampa o dai media.

RUSCONI (PD). Abolisca la montagna del bresciano!

GELMINI, ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Lascio a voi le conclusioni del caso. Io mi limito ad evidenziare che vorrei un Paese nel quale non vi fosse neanche una classe con più di 20-25 alunni; tuttavia credo abbiano fatto bene il Governo e, soprattutto, la Conferenza Stato-Regioni a trovare un accordo sul dimensionamento scolastico. Infatti, in molti casi forse è meglio avere una classe sovraffollata piuttosto che tenere in funzione una scuola pericolosa, non sicura. Quindi, il dimensionamento scolastico, che tra l’altro (come sottolineato dalla Conferenza Stato-Regioni) è di competenza degli enti locali, è un atto dovuto e doveroso se vogliamo garantire un’edilizia scolastica conforme alla normativa europea, nella quale non vi siano rischi, non solo con riferimento agli elementi strutturali, ma anche agli elementi non strutturali. Purtroppo il nostro Paese è distante dal raggiungimento di questo obiettivo.

Sottolineo poi che per il Governo l’edilizia scolastica costituisce una priorità nazionale, tanto che fin dall’avvio della legislatura ci siamo attivati con numerose iniziative, anche di sostegno finanziario, dirette a favorire i compiti degli enti locali. Innanzitutto, come dicevo, abbiamo attivato un tavolo tecnico con la Conferenza Stato-Regioni per la condivisione dell’anagrafe, perché vi era un problema di aggiornamento e di informatizzazione dell’anagrafe sull’edilizia scolastica e vi era anche un problema legato al completamento dei dati. Avevamo a disposizione, infatti, solo i rischi relativi agli elementi strutturali e, dopo la vicenda dolorosissima di Rivoli, ci siamo accorti che l’anagrafe non conteneva i rischi riferiti agli elementi non strutturali.

Abbiamo quindi proceduto con un lavoro sinergico con le Regioni, con gli uffici scolastici regionali e anche con i Comuni e le Province, a seconda della competenza sulla scuola primaria e secondaria di primo e secondo livello, a fare anche dei sopralluoghi. Pertanto, l’80 per cento del patrimonio edilizio scolastico italiano è stato oggetto di sopralluogo con tecnici del Comune o della Provincia, a seconda dei casi, con un referente regionale e anche con un referente del Ministero delle infrastrutture e del Ministero della pubblica istruzione, al fine di avere una ricognizione puntuale della situazione prima di decidere dove andare ad investire.

È chiaro che il fabbisogno è molto oneroso, ma nel frattempo è stato però attivato il piano straordinario di messa in sicurezza delle scuole nelle zone a rischio sismico. Si è disposto l’utilizzo di 20 milioni annui per la sicurezza delle scuole, derivanti dai risparmi sulle cosiddette spese per la politica. Si è proceduto alla definitiva assegnazione agli enti locali, attraverso un accordo con l’INAIL, di 70 milioni di euro; sono stati opportunamente reperiti un miliardo di euro dal fondo FAS per l’edilizia scolastica, di cui 226 milioni sono serviti alla ricostruzione delle scuole in Abruzzo e, del resto, dopo faticose trattative, è stato quantomeno ripartito il primo stralcio, di circa 300 milioni, e stiamo procedendo al secondo stralcio, in accordo con il ministro Matteoli e con il sottosegretario Mantovani, al fine di posizionare queste risorse, dando la priorità agli interventi più urgenti, così come risulta dall’anagrafe ormai aggiornata.

Come dicevo, oltre l’80 per cento degli edifici scolastici sono stati visitati da squadre tecniche appositamente costituite, che hanno verificato tutti gli elementi di pericolosità di carattere non strutturale. Con i primi risultati è stato predisposto un piano straordinario d’intervento. La Commissione bilancio della Camera sta peraltro procedendo alla ripartizione, a parte il miliardo di euro, di altri 300 milioni. È chiaro che non sono cifre esaustive e sufficienti per far fronte al fabbisogno di miglioramento dell’edilizia scolastica; sono però cifre importanti che, se verranno compartecipate dagli enti locali, potranno produrre un effetto moltiplicatore e diventare somme ancora più ingenti.

La difficoltà sta nel velocizzare i tempi d’impiego di queste risorse, però credo che, anche in fase di stesura del piano per il Mezzogiorno – ne abbiamo già discusso con il ministro Tremonti e con il ministro Fitto – dovremo liberare risorse per migliorare in modo particolare il patrimonio edilizio scolastico del Mezzogiorno, e stiamo trovando anche alcune formule per recuperare risorse da enti privati, perché non esistono buone scuole se non sono sicure. Questo è un impegno complessivo: si tratta di orientare le proprie risorse dando la priorità assoluta a questo tipo di investimento. Si tratta anche in alcuni casi di decidere se sia più conveniente la ristrutturazione di una scuola fortemente disagiata e compromessa, o la costruzione di un nuovo polo scolastico; sicuramente l’investimento in questo settore è sacrosanto e assolutamente urgente.

Nel frattempo, nelle direttive europee (e anche nel pacchetto di direttive della cosiddetta Europa 20-20-20) si legge un cambio della conformazione degli ambienti di apprendimento. Ora, pur non intendendo parlare della scuola digitale, oggi presente solo marginalmente nelle nostre scuole, il 15 per cento degli alunni oggi può disporre della cosiddetta LIM, la lavagna interattiva multimediale: certamente stiamo svolgendo azioni importanti in questa direzione, anche con l’aiuto del Ministero della funzione pubblica e di importanti aziende internazionali. Il piano di diffusione delle lavagne interattive multimediali infatti procede e, alla fine di quest’anno scolastico, saranno oltre 40.000 le classi dotate di una lavagna interattiva multimediale; un milione di studenti potrà apprendere le diverse materie attraverso questa nuova tecnologia e sono già stati formati 300.000 insegnanti per l’utilizzo di questo nuovo metodo.

È evidente che ci troviamo in una fase di start up, cioè ancora iniziale, ma comunque credo si tratti di un fatto importante, anche perché l’obiettivo è di far sì che la rivoluzione digitale tocchi anche le famiglie; ciò significa, in sostanza, poter seguire l’andamento scolastico del proprio figlio attraverso Internet, consultare la pagella, prenotare colloqui con i professori, ricevere un sms quando il figlio è assente da scuola. Insomma, è destinato a finire anche uno dei rituali più longevi che si consuma ogni giorno nelle nostre scuole, l’appello, e attraverso la carta dello studente, che ogni alunno già da anni possiede, si potrà entrare ed uscire da scuola ed essere registrati automaticamente. In questo caso, quasi la metà delle scuole superiori è stata dotata degli strumenti necessari.

Quindi, si tratta di un percorso ancora lungo, che abbiamo appena avviato; un percorso che potrà giovarsi delle risorse frutto dei risparmi che abbiamo potuto accumulare e accumuleremo grazie alla famigerata legge finanziaria: grazie a quel miliardo di euro, che dal 2012 sarà una misura strutturale a disposizione delle scuole, anche la scuola digitale e l’informatizzazione della scuola potranno compiere notevoli passi in avanti.

Abbiamo, inoltre, avviato e cercato di potenziare il sistema di valutazione. È noto che da tempo esiste l’INVALSI, un’agenzia di valutazione e di somministrazione dei test. Ebbene, intendiamo rafforzare i suoi poteri e la sua struttura e affiancare un corpo di ispettori che possa, dal centro, verificare precisamente l’andamento dell’apprendimento e della qualità dell’istruzione nelle scuole prese a campione. Infine, vogliamo attivarci affinché l’INDIRE possa diventare l’agenzia di formazione degli insegnanti.

Ebbene, il nuovo sistema di valutazione (come accade con l’università attraverso l’ANVUR), con l’istituzione di un’agenzia deputata alla formazione e all’aggiornamento degli insegnanti e attraverso sperimentazioni già messe in campo per comprendere qual è il meccanismo incentivante premiale migliore (se quello di distribuire risorse incentivanti alla scuola piuttosto che ai singoli insegnanti), è destinato a cambiare la scuola italiana e ad avvicinarla all’Europa, così come ci viene chiesto ripetutamente dai documenti OCSE.

In conclusione, mi sento di dire che il piano di razionalizzazione era già stato scritto nel Quaderno bianco. Ci siamo assunti la responsabilità di attuarlo. I primi risultati gli insegnanti già li vedono quest’anno, non avendo il blocco degli scatti di anzianità ed essendosi liberate risorse per la qualità. Non sono peraltro convinta che si possa ridurre il tema della scuola esclusivamente ad una questione di risorse: è un problema di riforme, ed è legato alla modalità con cui le risorse stesse vengono spese.

Se riusciamo ad evitare gli sprechi, a cambiare le regole, a migliorare l’impianto formativo per la scuola secondaria di primo e soprattutto di secondo grado, come abbiamo fatto – capitalizzando tra l’altro una riforma, quella sull’istruzione tecnica, portata avanti dal precedente Governo – credo che l’insieme di queste misure a medio termine consegnerà al Paese sicuramente una scuola migliore. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP).