Censis: “Scuola inutile per il lavoro”

da tecnicadellascuola.it

Censis: “Scuola inutile per il lavoro”

Il Censis certifica che la scuola è percepita non solo come incapace di attivare un ascensore sociale, ma addirittura come inutile: si lavora o non si lavora indipendentemente da quanto si è studiato

Tra i ventenni che sono riusciti a trovare un lavoro solo il 16,4% ha surclassato le condione della famiglia di provenienza, mentre il 29,5% è però sceso al di sotto: dunque ascensore sociale al contrario.
I ragazzi in pratica, dice il Censis, non credono più alla scuola, e al sapere in generale, quindi si iscrivono sempre meno e abbandonano sempre di più.
Il 27,7% dei ragazzi all’interno di un percorso scolastico abbandona prima di concludere gli studi e che rappresenta 10 punti in più della media Ue con indici in crescita.
Il Censis calcola che siano stati 164 mila i ragazzi che hanno lasciato la scuola nell’ultimo anno e ben 2,8 milioni negli ultimi 15 anni: una massa di non-qualificati enorme con una età inferiore a 30 anni.
e costituiscono un problema sociale e una immensa perdita di risorse umane per la collettività.
Ad abbandonare gli studi, inoltre, sono soprattutto i ragazzi provenienti da famiglie con baso titolo di studio. Su 100 abbandoni, 28 riguardano ragazzi che hanno genitori con la terza media, e solo meno di 3 ragazzi con genitori laureati.
Più studio uguale più lavoro o lavoro migliore appare dunque irreale, mentre il mercato dice il contrario: i lavori non qualificati sono gli unici ad essere aumentati negli anni della crisi, dal 2009 a oggi, essendo cresciuti del 16,8%. Per contro, quelli che richiedevano una qualificazione media (per esempio il diploma) sono scesi del 3,9% e quelli per soli laureati del 9,9%. Un diplomato su tre che abbia un’occupazione, fa un lavoro dequalificato rispetto al suo titolo di studio e la percentuale sale a quasi il 37 per i laureati.
Il Censis dice inoltre che la sottoccupazione riguarda il 43,7% dei laureati in «discipline deboli» come lettere, sociologia, scienze politiche e simili, ma il 57,3% riguarda invece le lauree spendibili come economia e statistica e addirittura il 33% ingegneria.
«Tra i 30-34enni, gli italiani laureati sono il 20,3% contro una media europea del 34,6% – dice la ricerca – E l’andamento delle immatricolazioni mostra un significativo calo negli ultimi anni. Rispetto all’anno precedente, nell’anno accademico 2011/2012 si sono registrate circa 9.400 immatricolazioni in meno (-3,3%). Il tasso di passaggio dalla scuola all’università tra i 18-19enni è sceso dal 50,8% del 2009/2010 al 47,3% del 2011/2012. Anche tra chi si iscrive all’università emergono presto segni di stanchezza e disaffezione. Nel 2011/2012 ha abbandonato gli studi tra il primo e il secondo anno il 15,4% degli iscritti alle lauree triennali e il 10% degli iscritti alle lauree a ciclo unico. Solo uno studente su quattro arriva a conseguire il titolo alla fine dei tre anni canonici e il 43,6% si laurea in un corso diverso da quello di immatricolazione. La quota di immatricolati che arrivano a conseguire il titolo triennale è ancora molto bassa, intorno al 55%, mentre nei Paesi dell’Ocse si arriva in media al 70%».
Paradossalmente tuttavia chi può manda i figli a studiare nelle scuole straniere o direttamente all’estero, tra il 2007 e il 2011, è aumentato e il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è cresciuto del 51,2%, passando da 41.394 a 62.580. In pratica quando si dice che solo il 10% della popolazione italiana detiene il 50% della ricchezza, è un dato che anche sugli ambiti della cultura e della formazione trova conferma