Pregiudizi? Una risata vi seppellirà. L’ironia per conoscere la disabilità

da Redattore Sociale

Pregiudizi? Una risata vi seppellirà. L’ironia per conoscere la disabilità

L’handicap non riguarda la persona, ma l’ostacolo che le si costruisce intorno. Nel volume “Mi girano le ruote” la trentanovenne varesina Angela Gambirasio bacchetta stereotipi e luoghi comuni sulla disabilità. Con l’aiuto di un’arma fuori dagli schemi: l’ironia per superare la diffidenza

BARI – “Come ti è successo? Perché sei diventata così? Questa è una domanda che davvero non sopporto di sentirmi rivolgere, perché capace di creare la distanza”. Angela Gambirasio, 39 anni, colpisce fin dal primo scambio di parole per la schiettezza e l’abilità di arrivare al cuore delle questioni, tralasciando ciò che le appare superfluo. Ed è così che si racconta a Sara Mannocci, nell’intervista per il numero 6 di SuperAbile magazine, la rivista sulla disabilità edita da Inail. Ha circa 15 anni quando smette di camminare, a causa della progressione della patologia che le aveva consentito fino a quel momento di muoversi, seppur male, attraverso l’uso di tutori. “Molti non sanno rapportarsi alle persone con disabilità – sottolinea – ma noi siamo come tutti gli altri, non è una questione di definizione”. Varesina, una laurea in psicologia messa in pratica presso il Centro per l’orientamento dell’Università degli studi di Milano, in questo periodo sta attraversando l’Italia per presentare il suo “Mi girano le ruote. Una storia che non si regge in piedi”, il percorso della sua vita raccontato in chiave ironica per sfatare alcuni dei pregiudizi e luoghi comuni sull’essere disabili.

Si tratta della chiave che ispira anche il suo blog “Ironicamente diversi”. Il libro come è nato?
Non c’è stata l’intenzione precisa di dare vita a un libro. Ho sempre scritto molto, da quando ero bambina, come un modo per interpretare le cose intorno a me. Poi ho capito che, usando l’arma dell’ironia, riuscivo a far capire meglio agli altri quello che vivevo, superando la barriera di diffidenza. Il materiale scritto l’ho trasferito via via in un blog che ha cominciato a essere conosciuto, poi c’è stato l’incontro con le editrici che mi hanno proposto di pubblicare un volume. Il blog ha continuato a esistere in modo autonomo, aggiornato periodicamente.

Quali sono i pregiudizi con cui ha dovuto scontrarsi finora nella sua vita?
I media veicolano ancora un’immagine distorta della disabilità. In realtà l’handicap è l’ostacolo costruito intorno alla persona, non la persona stessa. Rimossi gli ostacoli, le persone sono uguali. Posso avere difficoltà, per esempio, a provarmi e comprare un vestito, se manca un camerino adeguato, altre volte la realtà diventa tragicomica facendo scoprire a chi è in sedia a rotelle un mondo ignorato da chi cammina. E poi ci sono le barriere culturali: quando vado al mare tutti pensano che la persona che mi sta accanto sia mio fratello, e non mio marito. Non si aspettano, forse, che essendo disabile, io possa avere accanto un compagno, magari anche un bell’uomo. Sarebbe normale invece aspettarsi di trovare vicino a me un’altra persona con disabilità.

L’ironia è un’arma di difesa?
Sì, all’inizio sicuramente lo è stata, ma oggi il mio sforzo è di educare gli altri a conoscere la disabilità, ad avvicinarsi, facendo capire che noi stessi come persone disabili siamo in grado di riderci su. Nel libro il capitolo che preferisco è quello che raccoglie le varie storie che ho inventato per spiegare di volta in volta come sono finita su una sedia a rotelle. Tanti, anche se non tutti, si sono resi conto che era una presa in giro.

Ha affermato che durante la sua crescita non ha mai frequentato centri o associazioni, e che il contatto con altre persone disabili è stato limitato solo al periodo della fisioterapia. Oggi qual è il suo atteggiamento?
Ho sempre sentito la necessità di dimostrare che ero come gli altri, quindi vivevo il fatto di stare insieme ad altri disabili come una ghettizzazione. Continuo a pensare che l’associazionismo funziona se riesce a non rimanere chiuso in se stesso, quindi non per mettere i disabili insieme, ma “usando” la disabilità per aprirsi e comunicare con l’esterno.

I pregiudizi, lo abbiamo visto, permangono. Secondo il suo punto di vista negli anni non è cambiato nulla nel modo di rapportarsi alla disabilità?
C’è più coraggio, da parte delle stesse persone disabili, nell’esigere il rispetto dei propri diritti, non in senso pietistico o di carità. La legge c’è già, non è da cambiare ma da applicare. Uno scalino, quindi, va abbattuto non in risposta a un sentimento di bontà ma perché è illegale che sia lì. Un grande aiuto è stato dato attraverso l’associazionismo, ma non può bastare solo quello.

Che cosa ha dato alla sua vita questo libro?
Devo ammettere che prima ero molto concentrata sul lavoro e non ho mai pensato di poter invece trovare soddisfazione anche in un altro modo, di contribuire ad aiutare persone in difficoltà. Qualche passo importante lo si sta facendo con l’idea della pagina Facebook “ Adotta una barriera e abbattila”: l’invito è a impegnarsi concretamente, con i propri mezzi, creando rete e smuovendo le amministrazioni, a far rimuovere un ostacolo della vita quotidiana e a condividere una foto dei risultati ottenuti. Piccoli successi che concorrono a incrementare la “bacheca dei miracoli”. A Venezia, per esempio, non è troppo lontano dalla realtà il progetto di una gondola accessibile alla sedia a rotelle, mentre ad Alberobello, in Puglia, esiste oggi una mappa con i percorsi senza barriere per visitare i trulli ed è possibile anche prenotare carrozzine motorizzate in grado di affrontare le strade del paese in salita. Davvero, con la buona volontà qualcosa si riesce a fare.