Più fondi agli istituti migliori. Premiati gli Its i cui studenti trovano un lavoro coerente

da ItaliaOggi

Più fondi agli istituti migliori. Premiati gli Its i cui studenti trovano un lavoro coerente

Toccafondi: il sistema funziona meglio se c’è contaminazione tra pubblico e privato

Alessandra Ricciardi

La valutazione e il merito entrano negli Its, gli istituti tecnici superiori post secondari, la cui durata di studi è di due anni. Arrivati alla fine del primo biennio quest’anno, da settembre si cambia: i finanziamenti non saranno più a pioggia, ma diversificati in base a una serie di parametri, uno dei quali è l’occupabilità degli studenti al termine del percorso di studi.

La revisione dei criteri di finanziamento è stata sancita da un accordo tra stato e regioni.

Una vera rivoluzione, che si ispira al modello anglosassone, in un settore dove da tempo la valutazione delle scuole è tema assai dibattuto e finora rimasto al palo. Ne parliamo con Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’istruzione che ha seguito in prima persona l’intesa.

Domanda. Mentre si discuteva di riformare la scuola, di aumenti ai prof e orari di lavoro, voi zitti zitti…

Risposta. Non so se zitti zitti… la trattativa con le regioni non è stata facile, alla fine si è trovato un buon compromesso che consente di misurare l’efficienza e l’efficacia dei risultati e di distribuire i fondi in base ai traguardi raggiunti.

D. A quanto ammontano gli stanziamenti?

R. Sono 13 milioni del Miur, a cui si aggiungono i fondi regionali che devono essere pari almeno al 30% delle risorse statali. Arriviamo così ad almeno 17 milioni. Non sono pochi per un sistema con numeri limitati, gli studenti sono 5400. Ma c’è bisogno di molti laboratori e percorsi esterni, anche all’estero.

D. Quali sono i nuovi criteri di assegnazione delle risorse?

R. Il 20% andrà in relazione alla popolazione, residente nella regione, con età compresa fra i 20 e i 34 anni; il 70% sulla base dei ragazzi ammessi al secondo anno e di quanti sono stati ammessi all’esame finale; il 10%, ossia circa 1,7 milioni, a titolo di premialità per quegli Its che hanno ottenuto un punteggio pari o superiore a 70 secondo criteri che riguardano, fra l’altro, l’occupazione dei diplomati.

D. Come sarà valutata l’occupazione?

R. È un parametro che sarà monitorato dall’Indire e misura l’occupabilità coerente con gli studi fatti dai ragazzi a 6 mesi e 12 mesi dal diploma.

D. Premiare alcuni istituti non significa punire altri, che magari hanno maggiori difficoltà e che andrebbero aiutati?

R. L’intento è che il premio abbia anche un effetto moltiplicatore. E poi c’è bisogno che sia le imprese che l’istituto scolastico siano veramente convinti di andare avanti con un progetto Its, non ha senso fare tanto per..

D. Quanto ha contato che gli Its siano organizzati attraverso una fondazioni in cui sono presenti anche soggetti diversi dalla sola scuola, dall’impresa all’università?

R. È stato molto importante, gli Its sono la prova che la contaminazione pubblico-privato funziona, che migliora un sistema altrimenti ingessato. Ci sono state imprese che hanno deciso di investire di più, di aprire i loro laboratori. In generale, si fa il 50% di docenze esterne e il 30% di ore di tirocinio attivo, è uno schema di grande apertura al mercato e di flessibilità didattica.

D. Che risultati ci sono stati?

R. Oltre il 60% dei diplomati ha già trovato lavoro, con alte percentuali di contratti a tempo indeterminato.

D. Quali i settori migliori? E le regioni più virtuose?

R. Funziona molto bene il made in Italy, le nuove tecnologie e la mobilità sostenibile. Buoni risultati ci sono stati non solo al nord, Veneto e Lombardia non fanno notizia, ma anche in Marche, Toscana, Lazio, Campania, Puglia. Funziona lì dove ci credono imprese, docenti e dirigenti.

D. La formazione professionale di primo livello è invece in crisi. Il modello degli Its è esportabile?

R. Deve essere un modello per riformare tutta la formazione professionale. Il punto è che i tecnici e i professionali devono poter far fare ai ragazzi quello che si insegna loro nelle lezioni teoriche. C’è sempre chi ribatte che la scuola è la scuola e lavoro e lavoro, il problema che è così a scuola si rischia di non imparare. Non voglio tornare allo schema dei tecnici del dopoguerra dove si sapeva usare il tornio ma non si sapeva parlare. Ma non si può neanche andare avanti con scuole tecniche dove ci sono 13 materie teoriche il primo anno e 14 al secondo anno. Dove non ci sono laboratori e il tornio gli studenti lo vedono solo in figura.