M.G. Dutto, Acqua alle funi, per una ripartenza della scuola italiana

Mario Giacomo Dutto, Acqua alle funi, per una ripartenza della scuola italiana, Vita e Pensiero, Milano, 2013, p. 240, € 19,00

di Maurizio Tiriticco

 

duttoLa metafora che segna l’incipit del volume è evidente! E indica l’intento dell’autore: Se una situazione è difficile, non è necessario, a volte, ripartire da zero, ma intervenire con intelligenza e determinazione là dove come è possibile e necessario. In effetti, la nostra scuola non è a pezzi, ma a macchia di leopardo: vi sono situazioni difficili, ma anche situazione di eccellenza! Quindi – ritiene l’autore – occorre guardarsi da visioni palingenetiche e mirate a riordini totalizzanti, ma intervenire con sagacia. “Acqua alle funi non significa modificare l’impianto, sostituire l’impalcatura e ripartire da capo, ma semplicemente raccogliere un suggerimento per spingere il colosso di pietra nella sua giusta posizione… La ripartenza che siamo venuti fin qui tracciando mira a fare delle nostre scuole, dalle sballottate imbarcazioni in mare aperto di oggi, i velieri di gamma di domani capaci di solcare oceani” (p. 220).

Personalmente, sono convinto che – l’ho detto e l’ho scritto più volte – non si può ripartire, se non si ha un disegno chiaro di dove si vuole andare e, soprattutto, da dove veniamo. La frammentazione della nostra scuola, in gradi e ordini, si è sviluppata nel corso dei decenni fin dalla primissima legge Casati! E tutta la nostra politica scolastica si è sviluppata nel corso degli anni aggiungendo pezzo a pezzo percorsi a seconda delle necessità culturali e occupazionali che nel Paese si presentavano di volta in volta. Un disegno unitario è sempre mancato, almeno fino alla fine del secolo scorso quando due ministri, Berlinguer prima e Moratti successivamente, intesero por mano a un riordino – con criteri e fini diversi, date le diverse impostazioni politiche e culturali – che investisse la totalità di una scuola che ormai, nella società della conoscenza e dell’apprendimento per tutta la vita, non poteva non essere un vero e proprio sistema. E non fu un caso che, in ambedue le loro leggi delega, il progetto intende costruire un “sistema educativo di istruzione e formazione”, istruzione generalista, potremmo dire, e formazione professionale.

In effetti lo stesso Dutto, pur non credendo a riordini sistematici complessivi che, forse, richiederebbero tempi lunghi e presenterebbero, forse, più problemi di quelli che occorrerebbe risolvere, non rifugge da una visione di insieme: “Ridurre a quattro anni il secondo ciclo, scelta ragionevole, peraltro già praticata nei licei italiani all’estero, può essere di stimolo per gli studenti. L’allentamento delle rigidità nel percorso scolastico, con anticipi nell’ingresso nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, è la risposta ai tempi diversi e ai ritmi di crescita degli studenti” (p. 230). Giacomo Dutto è troppo intelligente e ne sa troppo di scuola per non riconoscere che acqua alle funi può nascere solo dalla consumata esperienza e dall’intuizione di quell’operaio di cognome Bresca, che di costruzioni ne sapeva forse più di un ingegnere! E non da interventi a pioggia e, certamente, approssimati, anche se giustificati da una sorta di “disegno Intelligente”! Intelligente quanto si vuole, ma così difficile a costruirsi!.

L’acqua alle funi di Dutto vuole quindi essere in primo luogo un invito a una riflessione attenta sullo stato della nostra scuola, che a occhi superficiali potrebbe apparire in uno stato tale per cui occorrerebbe ricominciare tutto da capo! Ma è proprio il “da capo” che per l’autore non avrebbe senso. Anche perché il “da capo” richiederebbe un’intelligenza sistemica e una prospettiva lungimirante propria di una classe politica di alto profilo. E richiederebbe anche tempi lunghi e risorse non indifferenti. E così non è! Allora occorre ripartire da quello che c’è di buono. E di questo “buono” ne abbiamo tanto e diffuso in tutta la penisola. Lo sa Dutto e i tanti appassionati insegnanti di cui disponiamo. Basta sfogliare l’ultimo libro di Luigi Berlinguer, dal titolo più che significativo: Ri-creazione, una scuola di qualità per tutti e per ciascuno (Liguori, Napoli, 2014) [1]. L’autore riferisce di iniziative e di sperimentazioni di estremo interesse, diffuse su tutto il territorio nazionale. Si tratta di “obelischi” che la sagacia, l’intuito e la determinazione di tanti insegnanti e dirigenti hanno eretto con dispendio di tante energie e, soprattutto, intelligenza… e di tanta acqua da dare alle corde!

Quindi, ri-creare e ri-partire costituiscono atteggiamenti, consapevolezze, intenzioni, che danno poi luogo a iniziative di alto profilo. Dutto ci offre una sorta di sillabario della ripartenza consapevole e mirata. In primo luogo la consapevolezza che “la scuola è questione di tutti: l’educazione tocca le diverse età e determina la qualità della vita” (p. 5); è l’incipit del volume. Tuttavia, “andare a scuola non ha lo stesso significato per ciascuno” (p.5). La dispersione è ancora altissima; e un Paese avanzato non la può assolutamente tollerare. Apprendere tutti e per tutta la vita è una vera e propria parola d’ordine per la società della conoscenza. Di qui la primazia dell’insegnamento e del sistema educativo di istruzione e formazione. E si susseguono i diversi capitoli: gli errori commessi e da evitare; i risultati da raggiungere per competere anche a livello mondiale; le decisioni da assumere, anche per incentivare e moltiplicare le buone pratiche. Sono interessanti le considerazioni sulla leadership educativa dei dirigenti e sulle “energie sconosciute” (p.150) che la stagione dell’autonomia ha fatto emergere e che a tutt’oggi restano in una certa misura disattese. Non manca un discorso sulla valutazione e sulla necessità di non farne l’unica ragione di fondo dell’insegnare/apprendere. Forse occorre valutare meno, ma valutare meglio (p. 173).

Particolare importanza assume l’intervento educativo nelle primissime fasce di età. Anche se possiamo vantare un’ottima scuola dell’infanzia, non possiamo fare a meno delle “politiche che occorre adottare per l’intera fascia di età fino ai 6 anni, come investimento per le future risorse umane” (p. 184). Ed è importante sottolineare come e perché “alcuni programmi di testing internazionale hanno, seppur in modo indiretto, posto a 15 anni la prima tappa significativa per verificare lo stato di salute dei sistemi scolastici misurando, a tale età, capacità, conoscenze e competenze di ogni singolo studente” (p. 185). A questo proposito, è opportuno sottolineare gli obiettivi che l’European Qualifications Framework ha posto a tutti i sistemi educativi, istruttivi e formativi dei 28 Paesi dell’UE, obiettivi che il nostro Paese ha fatto propri con l’Accordo quadro del 20 dicembre 2012. Ed è una sfida che dobbiamo accettare e che non possiamo assolutamente perdere.

Particolare importanza assume una rinnovata riflessione pedagogica, anche perché a volte è sembrata prevalere una sorta di pedagogia dell’amministrazione: la circolare ministeriale che veicola e avalla certe procedure e non altre; una cm che finisce spesso con il sostituirsi a quelle pratiche dell’insegnare/apprendere di cui la scuola deve essere ed è responsabile nell’autonomia delle sue scelte. “Serve un ritorno alle origini, non cronologico bensì culturale e, si direbbe, filosofico. Il termine ‘pedagogia’ può essere fuorviante e spostare attenzione su diatribe circa le basi epistemologiche delle scienze della formazione o le distinzioni e le gerarchie rispetto ad altre discipline o ambiti disciplinari. Sarebbe improprio lasciarsi prendere da questa pur interessante prospettiva, mentre potrebbe rivelarsi fruttuoso rispolverare letture classiche, da Comenio a Jean-Jacques Rousseau, da Pestalozzi a Gabelli, da Sant’Agostino a Quintiliano, a Socrate” (p. 205). Costituiscono quei fondamentali su cui poi procedono le ricerche più recenti e avanzate, dagli Jakobson ai Wigotsky, dai Bruner ai Gardner, per non dire dei nostri, da Mario Lodi a Loris Malaguzzi, da Don MIlani ad Aldo Visalberghi, a Raffaele Laporta.

Sono gli autori che fanno dell’insegnante prima di tutto un esploratore, un suscitatore di emozioni e di ricerche. “L’interesse, la curiosità e la scoperta sono i fattori che possono riconciliare gli studenti di oggi e di domani con un’esperienza scolastica guidata da insegnanti capaci di alimentare la passione per il sapere”.

Potremmo anche avere la migliore legge sulla scuola, ma quant’è più importante disporre dei migliori insegnanti! Per “produrre” i migliori studenti! “Uno studente che trova e coglie la sua opportunità è una persona che percorre la strada del successo formativo ed è una ricchezza per il Paese. Non è fiducia illusoria: è l’unico modo in cui la scuola può interpretare la propria responsabilità e ritrovare il gusto di sé”. E’ l’expedit dell’ottimo saggio che introduce il volume: “Ragione e passione. Verità, responsabilità e fiducia per scuola”, di Renata Viganò.

In conclusione, si tratta di un volume che delinea problemi, li delimita e li illumina, anche in forza di un corposo corredo di note e di citazioni. Problemi che non si possono risolvere, se prima non si è riflettuto sullo stato delle cose e sui passi che occorre percorrere!

 

[1] Vedi la mia recensione al volume di Luigi Berlinguer in www.edscuola.it