“La buona scuola” è una grande occasione

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“La buona scuola” è una grande occasione

di Stefano Stefanel

“La buona scuola” è una grande occasione per l’Italia e per la scuola italiana. L’accoglienza che la proposta governativa ha ricevuto da alcuni dei migliori commentatori di settore (Giancarlo Cerini, Antonio Valentino, Raffaele Iosa, Franco De Anna) induce ad un certo ottimismo, anche perché gli “scalmanati” innamorati dei propri preconcetti stanno attaccando dai vari siti con una virulenza che spero possa limitare l’impatto della loro protesta. Peccato perché tra i più accaldati contestatori pronti a citare la Costituzione a loro uso e consumo ci sono molte persone valide e competenti, che scambiano la difesa del penoso status quo della scuola italiana per il progressismo della loro giovinezza.
Credo sia importante da qui a novembre entrare nel dibattito con proposte, interventi, osservazioni in modo da far uscire un provvedimento che incida veramente sull’esangue sistema scolastico italiano. Anche perché ci sono in “La buona scuola” elementi che riprendono alcuni punti cruciali delle Riforme Moratti e Gelmini, senza demonizzare nessuno, ma cercando di comprendere anche le buone ragioni di quelle riforme: opzionalità e mantenimento della riforma del secondo ciclo sono i due elementi significativi su cui è bene ragionare. E l’inclusione nel progetto di elementi culturali anche “non di sinistra” io credo sia una cosa positiva.
L’assunzione di 148.000 precari è un azzardo anche perché tra questi si annidano di certo molti problemi che cadranno sulle scuole, molti di loro sono in graduatorie obsolete e inutili (stenografia, come notato da Andrea Ichino sul Corriere della sera del 14 settembre 2014), molti sono rigidi e incapaci di agire funzionalmente. Io credo che un qualche filtro prima di assumerli sarebbe necessario, perché lavorare dentro un organico funzionale significa essere flessibili, capaci di ascoltare le esigenze della scuola, trasversali e non disciplinari. Però l’operazione è interessante e il tentativo di eliminare le graduatorie permanenti degno solo di appoggio. Ed ancora più interessante l’idea che si assumano docenti non per allungare ancora gli insegnamenti obbligatori, ma per costruire organici funzionali per ampliare l’offerta formativa in capo all’autonomia scolastica.
L’idea dell’organico funzionale d’istituto deve però essere integrata  con una rivisitazione del tempo scuola (io sono un fautore del monte ore annuale), delle possibilità opzionali da fornire agli studenti (quindi meno tempo obbligatorio e più scelte), delle competenze reali dei nuovi assunti (che sono legati a classi di concorso fuori da ogni realtà). Inoltre il sistema di valutazione dei docenti poggia su tre gambe molto solide (lavoro in classe, formazione, lavoro di sistema), ma su strumenti valutativi fatiscenti.
Veniamo dunque sul punto che maggiormente produce il vociare tuonante della forte componente di sinistra della scuola: il ruolo dei dirigenti scolastici. Il dato che deve essere scontato è l’obbligatorietà di una loro valutazione secca e unilaterale da parte del ministero. Ritengo che basterebbe fissare cinque punti quantificabili in forma neutra e un’analisi reputazionale da tarare in  maniera da coprire gli spazi per arbitri e vendette per avere una valutazione attendibile e a costi bassi. Faccio un breve esempio: se cinque categorie si esprimono ogni anno in forma anonima sul lavoro di un dirigente scolastico (docenti, ata, studenti, famiglie, enti locali) la valutazione è negativa solo quanto tutte e cinque le categorie si esprimono in forma negativa. Negli altri casi si restituisce al dirigente la valutazione in modo che verifichi il perché di certe negatività. Io ritengo che se cinque soggetti su cinque danno valutazioni negative sul lavoro di uno di noi sia giusto non ricevere l’indennità di risultato e quindi non poter valutare il personale.
Qualsiasi meccanismo valutativo è complicato e costoso, Una valutazione data dal dirigente scolastico invece è rischiosa ma non costa nulla. Ovviamente si obietta che così i “servi del padrone” avrebbero voto alto e l’indipendenza dei docenti andrebbe in soffitta. L’idea che il dirigente valuti il personale è da Charter School, ma l’idea che un Nucleo interno valuti i colleghi mi pare ancora più rischiosa, perché dopo trent’anni in una scuola uno ha idee sui colleghi che nessun questionario può scalfire. Anche in questo caso ritengo sia possibile una valutazione motivata del dirigente scolastico collegata ad una valutazione reputazionale costruita come per il dirigente scolastico. E’ un discorso complesso, ma se si connette la valutazione dei docenti a piani economici faraonici, ad autovalutazioni, a sistemi che garantisccono il lavoratore ma non l’utenza allora non se ne farà niente.
Esiste poi nel documento “La buona scuola” un elemento trasversale che può spostare la riforma in un senso o nell’altro: se i richiami ad alternanza scuola-lavoro, laboratorialità, musica, arte, economia, sport, coding, ecc. creeranno nuovi faraonici, lunghi, stancanti quadri orari obbligatori renderemo ancora più difficile l’adeguamento della nostra scuola alle esigenze europee. Se invece tutte le suggestioni culturali e contenutistiche del documento saranno indicazioni per una flessibilità didattica e di offerta formativa lasciata alle scuole avremo fatto il grande salto di qualità. Una scuola con tante offerte, tante possibilità e pochi obblighi è una scuola che si apre al futuro. Un tempo piene nazionale e obbligatorio sarebbe invece la trasformazione di una proposta fortemente innovativa in una nuova “scuola etica e oppressiva”.
C’è però nel documento del governo qualcosa che manca: l’abolizione del valore legare del titolo di studio, una follia solo italiana che parifica le buone scuole con  i diplomifici, facendo scambiare, ai vocianti difensori del passato, la costituzione per una sorta di difesa di un sistema scolastico che ci sta portando alla bancarotta e alla disoccupazione di alcune generazioni di ragazzi.