MINORI. Autismo, indicatori di disagio visibili già a 6 mesi

MINORI. Autismo, indicatori di disagio visibili già a 6 mesi
A giornate Ido propone neuropsichiatri infantili a corsi preparto
(DIRE – Notiziario Sanità) Roma, 19 set. – “La neuropsichiatria infantile si allinea a questo filone di ricerca e di approccio clinico che cerca di anticipare non tanto la diagnosi, perche’ a 6 mesi non si tratta di fare diagnosi, ma di individuare quelli che possono essere i segni di vulnerabilita'”. Cosi’ Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile operante a Palermo e relatrice del convegno promosso a Roma dall’Istituto di Ortofonologia, commenta il metodo Infant Start sperimentato in California per il trattamento precoce dell’autismo (a 6 mesi).

INDICATORI DEL DISAGIO VISIBILI GIA’ A 6 MESI – “Noi cerchiamo di individuare – e gia’ a sei mesi lo si puo’ fare – quali possono essere gli indicatori di disagio nel neonato/ lattante. Segni che si possono esprimere a diversi livelli- spiega la neuropsichiatra infantile- non mi riferisco solo ai segni specifici di autismo, ma anche ad una disarmonia che si puo’ manifestare nel movimento, nelle posture, nella mancata intenzionalita’ a muoversi o nella scarsa variabilita’. La base e’ sicuramente una buona conoscenza della neurologia classica neonatale- afferma- da cui poi ci muoviamo per poter andare a valutare l’uso funzionale di quel movimento che si puo’ individuare gia’ nel bambino cosi’ piccolo”. CON BUON ACCUDIMENTO NON SI ESCE DALL’AUTISMO – L’osservazione del neuropsichiatra infantile “prevede anche una valutazione della relazione madre-bambino o, comunque caregiver-bambino, per valutare gli indicatori dell’intersoggettivita’ che ci fanno comprendere che un bambino possa essere portatore di una vulnerabilita’ che lo espone al rischio psicopatologico. Noi sappiamo che l’autismo, come altre patologie, ha una base genetica- sottolinea Vanadia- ma sappiamo anche quanto incida il fattore ambientale, che nei primi mesi di vita si condensano proprio nei messaggi inviati, nei bisogni attesi, nelle proposte e non inviati dai caregiver. Avere un neonato/lattante che non attiva la responsivita’ materna, o la attiva in modo disarmonico perche’ lancia dei messaggi parziali o differenti da quelli che un genitore si potrebbe aspettare- spiega il medico- vuol dire avere di fronte un bambino che merita di essere interpretato e di avere uno spazio in cui qualcuno si ponga la domanda di qual e’ il suo bisogno e tenti di dargli una risposta adeguata. La verita’- chiarisce – non e’ che con un buon accudimento si esca dalla diagnosi di autismo, ma che alcuni bambini che hanno degli indicatori che potrebbero far pensare all’autismo in realta’ non sono affetti da questa patologia, mentre potrebbero essere esposti al rischio di evoluzione in un disturbo della sfera neuropsicocomportamentale, in un disturbo neuroevolutivo che potrebbe avere dei segni clinicamente sovrapponibili all’autismo sul quale però è possibile intervenire modificando la storia, uno per tutti il Disturbo della regolazione della pro cessazione sensoriale”.

COME SOSTENERE LE FAMIGLIE – “Non esistono ricette ne’ per i genitori ne’ per i bambini. Chiaramente nei primi mesi di vita tutto si basa su un accudimento che diventa anche abilitativo. Un accudimento- ripete l’esperta- che e’ contenimento, contatto e stimolazione. La madre ha bisogno di essere accompagnata in questo percorso, non guidata ne’ istruita”.

COME AVVICINARE LA NEUROPSICHIATRIA INFANTILE ALLE FAMIGLIE – Vanadia propone “l’integrazione di neuropsichiatri infantili formati gia’ nei corsi preparto e nelle neonatologie, laddove- conclude- questo trauma incomincia e dove c’e’ maggiore bisogno di una sensibilizzazione guidata che non faccia paura, di uno spazio di ascolto, confronto e conforto. Vogliamo che le famiglie possano uscire dai nostri colloqui piu’ consapevoli e rilassate”.

(Wel/ Dire)