M. Bozza, Gli aquilotti non volano

Michele Bozza, Gli aquilotti non volano
esperienze ed esternazioni di un maestro artigiano
editrice Youcanprint, Tricase, (Le)

di Roberto Sacchetti

 

bozzaÈ il saggio di Michele Bozza, già maestro di scuola primaria, operatore psicopedagogico e docente di esercitazione didattica nei trascorsi istituti magistrali.

 

L’autore, attraverso la metafora degli aquilotti che non spiccano il volo, afferma che la scuola primaria è in una condizione sofferente, tanto da essere inutile, se non diseducativa.

Insegnare a ogni singolo bambino contenuti culturali tratti dalla sua esperienza, seguendo modo e tempi corrispondenti alla sua psicologia di apprendimento, sono alcuni principi normativi che l’insegnante ha l’obbligo di osservare nella sua azione didattica. Essi sono ignorati e sostituiti da un insegnamento programmato, insignificante, che si basa sulle capacità di apprendimento di un alunno di media capacità, annoiando i più dotati e mortificando i meno pronti, dichiarati affetti da disturbi di apprendimento.

Il progetto educativo che gli insegnanti elaborano è carente di congruità, formazione. Esso è possibile soltanto se si segue il percorso di sviluppo delle esperienze del bambino, con l’adulto che interviene in funzione di facilitatore.

Basta un solo insegnante, afferma l’autore.

Lo Stato, spinto dalle associazioni di categoria e con il compiacimento dei governi, continua a immettere nella scuola primaria docenti senza alcun progetto educativo credibile, fattibile, come se la scuola primaria fosse una istituzione per il collocamento.

È impossibile che un numero esagerato di docenti, fino a raggiungere il numero di nove, possa coinvolgere il bambino e porlo in una condizione di apprendimento significativo, formativo. In tanti, essi si dividono le discipline, pur non essendo abilitati a insegnarle.

Il bambino non ha bisogno delle discipline. Queste sono il punto di arrivo e non di partenza. Il bambino non è maturo per questo tipo di insegnamento. Ha bisogno di esplorare, fare, scoprire, ricercare per maturare le sue esperienze. È un costruttivista prima di essere logico. È pronto ad acquisire i contenuti disciplinari intorno all’età di undici anni, soltanto dopo aver compiuto queste esperienze esplorative.

Il bambino è costretto a eseguire compiti che non vuole fare. Nella maggior parte delle ore, è impegnato nelle esercitazioni di grammatica e aritmetica, inutili, valide soltanto come esercizi di memorizzazione, a fronte dello scambio comunicativo nelle relazioni con i coetanei e gli adulti, e delle esperienze quotidiane ricche di stimoli per lo sviluppo della logica.

Le modalità di insegnamento sono il silenzio, l’immobilità e l’esecuzione di schede imposte, preconfezionate, che l’editoria professionale sforna a scopi commerciali.

Povero bambino! È sottoposto a un calvario.

La sua croce è la cartella, del peso da quattro a otto chilogrammi, prima di raggiungere il golgota, piena di quadernoni, libri e arnesi per scrivere e disegnare.

L’autore ha piena convinzione che l’istruzione e l’educazione non siano il risultato della scolarizzazione. Il bambino impara al di fuori della scuola. Gli è connaturale il bisogno di apprendere.

Il percorso risiede nel bambino stesso. Fatto di curiosità, interesse, riflessione, domande, e non di contenuti programmati. Per attraversarlo, ha bisogno di essere libero.

Molte famiglie, dal 5% di quelle italiane al 25% di quelle statunitensi, raccolgono la sfida seguendo il modello di educazione familiare o quello di non-scuola, che lascia libero il bambino nel suo percorso naturale di apprendimento.

 

Il saggio è rivolto

  • agli insegnanti, al fine di riflettere sul loro modo di insegnare;
  • ai genitori degli alunni, per rendersi consapevoli di quanto la scuola dei figli sia perdita di tempo, sacrificante, mortificante, se non addirittura dannosa, specialmente quando li dichiara affetti da disturbi riguardanti il comportamento o le capacità di apprendimento;
  • ai docenti di scienze della formazione primaria, convinti che la preparazione dei futuri docenti possa avvenire con l’insegnamento di teorie;
  • ai responsabili del tirocinio, per stimolarli a creare classi-pilota, monoclassi o, meglio, pluriclassi che consentono relazioni tra gli alunni di diversa età, in cui i tirocinanti siano protagonisti;
  • agli studenti, che dovrebbero contestare, rompere quel contratto accademico di fiducia, scontato, sottaciuto, e richiedere una preparazione professionale valida per insegnare.