Perché sono per Matteo, nonostante tutto

Perché sono per Matteo, nonostante tutto

di Maurizio Tiriticco

La nostra Repubblica democratica è fondata sul lavoro! Nessuno ne dubita, ma… il lavoro non è un atto di fede! La Costituzione non è un vangelo, proprio perché si tratta di un documento che nasce da una visione laica della vita e non fideista. Il lavoro è un diritto e un dovere in una società democratica e va tutelato, sollecitato e, soprattutto, promosso: non c’è alcun dubbio! Anche perché la libertà e l’eguaglianza dei cittadini in uno Stato democratico e laico costituiscono il suo stesso fondamento. Si tratta di principi di civiltà, prima di tutto, oltre che costituzionali, che il Governo, con la G maiuscola, investito da una maggioranza parlamentare, deve perseguire e garantire… sempre.
Il lavoro, però, non è “dato”, ma è e deve essere “costruito” giorno dopo giorno. Il fatto che dal ’47 ad oggi le lotte per il lavoro ci siano sempre state dimostra che non è sufficiente l’articolo uno di una costituzione a garantirlo. E tutti coloro che sostengono che questo articolo uno sia solo un’affermazione fine a se stessa dimostrano che leggono una carta costituzionale come se dovesse essere un testo sacro. In effetti, la “sacralità” della nostra Carta non viene dall’alto, ma da un “patto terreno” che cittadini liberi, dopo secoli di invasioni, dominazioni, divisioni, monarchie e dittature, hanno sottoscritto per garantire a se stessi a alle generazioni future un avvenire di stabilità sociale e di sicurezza personale.
Ed è un patto che in effetti si costruisce giorno dopo giorno e in contesti che cambiano giorno dopo giorno. Il mondo globalizzato non è più quello della cortina di ferro e della paura dell’atomica. E nei Paesi cosiddetti avanzati gli stessi processi lavorativi sono profondamente cambiati. Non c’è attività, oggi, che non richieda quote alte e significative di conoscenze e di competenze. D’altra parte, però, in forza delle immigrazioni forzate, coesistono purtroppo larghe fasce di lavoro nero, di nuovo bestiale sfruttamento che credevamo di avere finalmente liquidato. Si tratta di contraddizioni assolutamente tipiche dell’età contemporanea che investono l’intero pianeta e con le quali occorre adottare strategie sempre nuove per combatterle e superarle.
A fronte di queste complesse contraddizioni a volte si oppone la miopia di certi quadri dirigenti che adottano strumenti di analisi che non sono più funzionali a comprendere, ad aggredire e risolvere problemi che giorno dopo giorno si fanno sempre più impellenti. Mi sembra che a volte si guardi a certi problemi più con l’occhio del prima che con quello del dopo. Un solo esempio: abbiamo sempre detto che la garanzia del lavoro sicuro è data dal contratto a tempo indeterminato e, se poi si tratta di un lavoro pubblico, la garanzia diventa certezza. E su questa consapevolezza si sono innescate da sempre tutte le aspettative della offerta di lavoro e l’intero assetto normativo e contrattuale: nonché il “pezzo di carta” che ti garantisce per la pensione e per la vita. Oggi, però, in contesti produttivi totalmente diversi rispetto a ieri, tale consapevolezza ha ancora ragion d’essere? O non costituisce un freno rispetto a traguardi nuovi che dobbiamo raggiungere?
In altri termini, non si rischierebbe di rincorrere un “passato” che ormai, giorno dopo giorno, va a morire? La globalizzazione è una sfida che nuovi gruppi dominanti sovranazionali ci impongono. E allora, più che difendere ad oltranza un posto di lavoro che non esiste più, non occorrerebbe “inventare” lavori “altri”? E così raccogliere e vincere le nuove sfide? Le nostre città, i nostri beni culturali, le nostre spiagge non potrebbero essere l’oggetto di una nuova sfida che, se sapessimo raccogliere e promuoivere, potremmo vincere su uno scacchiere sovranazionale?
Abbiamo provato ad essere una tra i primi Paesi industriali! Quel tipo di mondo dell’immediato dopo guerra ce lo imponeva! E per molti anni abbiamo vinto e abbiamo retto! Nel settore chimico, in quello dell’elettricità, dell’acciaio, della meccanica, delle raffinerie petrolifere, nel settore agricolo, e così via. E’ inutile lamentarsi se certi prodotti, alimentari e non, oggi “cacciano” i nostri! Il mercato globale e la rapidità delle comunicazioni e dei trasporti sono oggi quello che sono. Pertanto, più che “difendere” l’indifendibile, è opportuno “produrre oggetti” che abbiano mercato. Il turismo dei russi e dei cinesi è in continuo aumento! Allora, invece di preoccuparci di far pagare salato un servizio – tanto hanno soldi da spendere – apprestiamo servizi di ospitalità di alto livello. E’ la stessa vocazione economica del nostro Paese che deve assumere nuovi indirizzi. E creare, oggi per domani, posti di lavoro sicuri perché soltanto specifici, nostri.
In tale ottica, ciò che è accaduto lo scorso sabato, la competizione tra Piazza San Giovanni e la Leopolda, mi preoccupa fortemente. La piazza del sindacato non può limitarsi a difendere posti di lavoro che, obtorto collo, nel nostro Paese non potranno più essere remunerativi, ma deve indicare e offrire soluzioni nuove! Non si difendono i lavoratori illudendoli che certi lavori potranno trovare ancora posto nel nostro Paese! Un sindacato, oggi; deve andare oltre la sua stessa ragion d’essere! Il lavoro oggi si difende perseguendo e costruendo attività nuove e che siano veramente competitive. E noi possiamo competere – e come – nei settori dei beni culturali e del turismo. Ma, se facciamo andare in malora Pompei e non siamo capaci di attrezzare e rendere appetibili i chilometri di spiagge del nostro Sud, continueremo soltanto a piangerci addosso. E non lamentiamoci se i Bronzi di Riace non li vede nessuno e gli Uffizi sono presi d’assalto.
E i Civati, i Fassina, i Cuperlo, i Bersani, che amo profondamente, sono intellettualmente in grado di comprendere e condividere discorsi e aspettative di questo tipo, però… la bandiera vuole la sua parte! I distinguo, a volte, sono più forti della ricerca della verità. E, di fatto, costringono le Serracchiani, le Pinotti, le Guidi, le Madia – ohibò, anche differenze di genere! – a difendere posizioni che, invece, dovrebbero essere perseguite unitariamente e sostenute. Proprio perché gli orizzonti che si aprono sono complessi e solo con un forte spirito unitario (non a caso, c’era una volta “L’Unità”, il giornale fondato da Gramsci e da Togliatti) si possono prevedere e perseguire.
I distinguo e i punti e virgola dei “maschietti del PD non mi convincono! Lo confesso! Sono per la Boschi, anche se ha detto quella grossa stupidaggine che preferisce Fanfani a Berlinguer! I campanilismi italici sono duri a morire! Lo so! Anche Renzi e i renziani hanno i loro limiti, e anche profondi, però, fiutano il nuovo! Gli altri rischiano di spolverare il vecchio!
E lo dice uno che alla Buona scuola degli anonimi autori renziani non ha risparmiato critiche!