Né con Eco né con Ichino

Né con Eco né con Ichino

di Maurizio Tiriticco

Pare che da qualche tempo sia diventata una moda quella di sparare a zero sul liceo classico da un lato e, dall’altro, di difenderlo a spada tratta. Quindi non stupisce la recente polemica tra Umberto Eco e Andrea Ichino che si sono recentemente scontrati al Teatro Carignano di Torino, l’uno a favore, l’altro contro (vedi l’articolo di Vera Schiavazzi su “la Repubblica” del 15 novembre u. s.). Del resto anche a Roma nello scorso mese di aprile si sono incrociate le spade a un convegno organizzato dai tre licei classici storici, il Virgilio, il Visconti. Il Giulio Cesare.

Tra tanto rumore, sembra che nessuno si voglia ricordare della lezione di Martha Nussbaum che da anni è impegnata in una grande battaglia perché nelle scuole dei Paesi cosiddetti avanzati non ci si debba dimenticare della cultura umanistica, che però è ben altra cosa rispetto ai noti contenuti del nostro liceo classico [1]. La Nussbaum, partendo da un confronto tra i sistemi scolastici di due grandi Paesi, l’India e gli Stati Uniti, ha dimostrato come in questi ultimi, e del resto in tutti i Paesi a capitalismo avanzato, i sistemi scolastici non sono finalizzati alla formazione del “cittadino”, nella sua completezza, bensì alla formazione meramente strumentale del “consumatore”: in una società che ha costruito una scuola capace soltanto di riprodurre se stessa! Una scuola che vuole formare, pertanto, “cittadini” ubbidienti! Il ricordo va ad Althusser, quando definì la scuola come uno dei più forti “apparati ideologici di Stato”: una scuola che “amministra” una formazione tutta a danno di quella Humanitas che invece, dovrebbe costituire il fondamento educativo e civile di ciascun vivente. Se il suggerimento della Nussbaum è corretto, ne consegue che nulla osta, e deve ostare, contro gli studi umanistici! Ma che siano di tutti! E che non sono il liceo classico!

Comunque, il problema dei nostri studi secondari di secondo grado è un altro! A mio avviso, occorre superare quella separatezza a canne d’organo che tuttora esiste tra istruzione liceale, istruzione tecnica e istruzione professionale! Una separatezza che viene da lontano e che ha origini storico-sociali, ed economiche soprattutto, ben precise. Con l’Unità, nel lontano 1861, si volle dar vita ad una Nazione in grado di concorrere con potenze europee che da secoli avevano costruito la loro unità nazionale ed economica, anche se fondata su rigide separazioni di classe. Nel nostro Paese finalmente unito occorreva costruire da un lato un gruppo dirigente colto e dall’altro tecnici in grado di condurre e sostenere quella trasformazione industriale che allora costituiva l’acme di tutti i Paesi avanzati. Competere con la Francia, l’Inghilterra, la Confederazione germanica, tutte orientate ad una rapida seconda industrializzazione, non era affatto facile, e occorreva anche far presto! Anche perché si trattava di Paesi che non solo potevano fruire di materie prime in loco, ma anche dell’apporto dato da veri e propri imperi coloniali. Ci si proponeva una sfida non da poco. Più che giustificato allora nel nostro Paese l’avvio di un sistema di istruzione che, per le fasce basse di età, garantisse che tutti sapessero leggere, scrivere e far di conto, e che, per le fasce successive, garantisse la formazione sia di un solido e convinto gruppo dirigente che di una manodopera in grado di passare rapidamente… dalla falce al martello! Dai campi alla fabbrica! Occorreva anche costruire su scala nazionale una classe del tutto nuova, la classe operaia.

Di qui la scelta dell’istruzione liceale e dell’istruzione tecnica: una scelta che passò più o meno indenne per tutta l’esperienza politica di fine e inizio secolo, attraverso i De Pretis, i Crispi, i Giolitti; una scelta confermata poi e rafforzata dalla Riforma Gentile del 1923: i licei, i tecnici, i magistrali e, a chiudere, la “scuola complementare di avviamento professionale”. Venne poi la Costituzione del’47, che affida alle Regioni “l’istruzione artigiana e professionale”, proprio perché un percorso ritenuto legato alla realtà lavorativa locale, quindi di secondaria importanza. E in seguito il “novellato” Titolo V non solo non ha azzerato questa separatezza, ma l’ha addirittura accentuata, affidando alle Regioni la competenza legislativa esclusiva in materia di “istruzione e formazione professionale”.

Pertanto, nonostante gli anni e le stesse riforme costituzionali, la musica è sempre la stessa! Per cui, questa triade a discendere, per cui i licei sono per i pochi eletti, i tecnici per i “così così” e i professionali per gli “sfigati”, sopravvive e nessuno di fatto osa metterla in discussione! Come fosse un atto di fede! A fronte di questa realtà, qualche intellettuale di grido si diverte a discutere sul liceo classico!!! Ma iI problema dei nostri studi secondari non è questo! E l’ho scritto più volte! In una società avanzata – a prescindere dall’attuale situazione di stallo che investe quasi tutti i Paesi europei e non solo il nostro – in cui la tradizionale distanza tra lavoro intellettuale e lavoro manuale si va sempre più assottigliando e l’istruzione riguarda tutti e per tutta la vita, la separazione in tre canali secondari, ereditata da una tradizione fortemente classista, non regge più!

Ciò che, invece, occorre garantire, e a tutti, sono reali processi di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE che garantiscano a ciascuno il suo personale SUCCESSO FORMATIVO (dpr 275/99, art. 1). Dissertare su “classico SI’, classico NO” significa soltanto non aver capito nulla di ciò che sono le esigenze civili e culturali di ciascun cittadino, oggi, nei Paesi ad alto sviluppo. La formazione umanistica – che non coincide affatto con gli studi classici tout court – sostenuta dalla Nussbaum, riguarda tutti… non uno di meno! Occorre dar vita a processi di scolarizzazione iniziale in cui ciascuno possa maturare le sue personali vocazioni e, in seguito a forti attività di orientamento e di riorientamento, possa scegliere quali discipline caratterizzino la sua vocazione professionalizzante e il proseguimento degli studi. In tale prospettiva, la sacra trimurti indiana del “liceo” del “tecnico” e del “professionale” finalmente scomparirà, e per sempre. Pertanto, non affronterà il latino e il greco solo chi “è destinato” a entrare nell’élite dirigente, e a digerirseli per ben cinque anni, per diventare poi o letterato o chirurgo o architetto, o avvocato (che belle le “professioni liberali”!!!), ma solo chi veramente matura un interesse per queste discipline.

Recentemente ho scritto – in una prospettiva di riordino generalizzato dell’intero “Sistema educativo di Istruzione e Formazione” (leggi 30/2000 e 53/2003) – che occorre giungere a un effettivo “superamento dell’attuale separatezza culturale dei tre percorsi di istruzione secondaria di secondo grado, in forza della quale, com’è noto, le iscrizioni degli alunni avvengono più in forza della loro estrazione sociale che delle loro motivazioni e aspettative” [2]. Insomma, in un complessivo riordino, l’istruzione di secondo grado offrirà una pluralità di percorsi e un pluralità di discipline soprattutto opzionali ed elettive. Al termine degli studi, da fissare al compimento dei 18 anni di età, l’esame terminale dovrà essere centrato sull’accertamento e sulla certificazione delle competenze che ciascun alunno ha conseguito nelle attività elettive: poche discipline, ma liberamente scelte! Come avviene in altri Paesi del resto! E competenze che, per altro, dovranno tenere debito conto del livello quarto dell’European Qualifications Framework. E non vi sarà più alcuna “differenza di classe” tra chi opta per il latino e il greco e chi opta per trasporti e logistica o abbigliamento e moda.

Solo così, e nella prospettiva di costruire assetti sociali fondati sempre più sulla conoscenza e su una vasta pluralità di competenze, sarà liquidata quelle millenaria separazione tra il lavoro intellettuale – il dottore, appunto – e il lavoro manuale – lo scopino, pardon, l’operatore ecologico. A parole ci teniamo tanto a nobilitare certi lavori e certe deprivazioni! Un handicappato è un diversamente abile; un cieco un non vedente! Un vecchio come me, un non giovane!!! A parole siamo maestri nel liquidare le distanze! Nell’istruzione no! Occorre unificare i tre percorsi in una pluralità di curricoli di pari dignità e di pari impatto culturale, in cui si possa esprimere una pluralità di opzioni ed elezioni. Sono sogni? Forse! Ma occorre anche preparali. E adoperarsi per realizzarli. E lancio un appello a tutti i partecipanti al duello milanese, Eco, Canfora, Dionigi, Spataro, a riflettere ulteriormente su quanto ci insegna la Nussbaum e a quanto accade nel mondo del lavoro dei nostri giorni.

E suggerisco loro di rileggere quell’aureo libretto di Tullio De Mauro (letterato) e Carlo Bernardini (fisico), Contare e raccontare, dialogo sulle due culture, Laterza, Bari, 2005, autori che in tempi non lontani già avevano posto le premesse per superare per sempre, appunto, le cosiddette “due culture” [3].

 


 

[1] Si veda la mia recensione al volume di Martha Nussbaum, “Non per profitto, perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica”, introduzione di Tullio De Mauro, pagine 166, Il Mulino, Bologna, 2011, pubblicata in Tiriticcheide, www.edscuola.it.

[2] Si veda “Per un riordino complessivo del sistema educativo di istruzione”, in Tiriticcheide, www.edscuola.it.

[3] Si veda la mia recensione in www.educationduepuntozero.it: http://www.educationduepuntozero.it/racconti-ed-esperienze/non-profitto-difesa-dell-umanesimo-405244583.shtml.