Declinazioni della singolarità: persone con comportamenti ritenuti autistici

Declinazioni della singolarità: persone con comportamenti ritenuti autistici

di Gabriele Boselli

 

Aumento effettivo o estensione della sensibilità e degli interessi?

Un numero di soggetti sempre maggiore viene percepito e a volte perfino classificato come affetto da autismo o rientrante nel cosiddetto “spettro autistico”. E’ peggiorato il patrimonio genetico della specie? Si è iperestesa la rete diagnostica e questa richiede estensione della clientela? Una quantità sempre più alta di famiglie e di contesti sociali induce i ragazzi a elevare muri di difesa fra sé e il mondo o li porta a frammentarsi e distruggere tutto quello che si trovano davanti e se stessi? O sono invece i criteri di classificazione o la loro rigida applicazione –nonché gli effetti giuridici e la speranza di possibili supporti e docenti aggiuntivi all’ organizzazione scolastica- a determinare l’aumento?

Manca a mio avviso un sereno dibattito scientifico (pluri e inter) disciplinare. Spesso entrano in gioco interessi non puramente scientifici ma di baronia accademica o di “territorio” associazionale. A volte le dichiarazioni di autismo sono sostenute o avversate impropriamente da soggetti a vario titolo professionalmente coinvolti e ciò può influire sull’interpretazione delle situazioni. Come per altri versi accade con la dislessia, ogni discostamento da quella che viene considerata la norma secondo protocolli è talora etichettato con questi termini e a volte accade che qualche insegnante non consideri criticamente i documenti con cui il ragazzo gli viene presentato e tratti il ragazzo come veramente autistico, “suggerendo” o di fatto consolidando in quest’ultimo comportamenti conseguenti a diversi stati di sofferenza. Ciascuno di noi diventa quel che in vari modi anche impliciti gli viene suggerito di essere.

La mia tesi è che:

-L’autismo sia una categoria astratta che non rende ragione del modo di esistere, pensare e sentire, relazionarsi di una varietà di soggetti estremamente differenti e diversi a causa di problemi di varia origine e destinazione. Ne risultano microcosmi irriducibili entro descrizioni standardizzate. Peraltro ogni curvatura propriamente autistica, davvero anomala, ipersingolare dell’assetto intenzionale si configura come una disposizione all’esistenza assai rara e ove davvero sussista va interpretata e trattata nella complessità di più quadri disciplinari (filosofia, medicina, psicologia, pedagogia) raccordati in funzione del caso singolare-

-La risposta a eventuali difficoltà di comunicazione non chiaramente patologiche possa essere epistemologicamente impostata sull’idea di singolarità/ipersingolarità, prescindere da ogni stigma e condursi in gran parte delle situazioni nell’agile, creativa ordinarietà di ogni progetto pedagogico.

In questi ultimi decenni anche le spiegazioni e le proposte di cura sono state le più diverse: dalle speculazioni sul rapporto madre bambino, a quelle sulla figura paterna e la sua supposta “assenza”, alle più recenti tendenze in cui tutto sembra spiegarsi in termini meramente neurologici.

Se le origini di questa curvatura anomala, iper-singolare dell’intenzionalità sono misteriose e una cura radicale è per ora impossibile, noi donne e uomini di scuola dobbiamo interrogarci come sentire e comportarci con il bambino che –per usare il titolo di un vecchio libro di Michele Zappella- sembra stare sulla luna; forse ci può insegnare –per contrasto e qualche volta per analogia- qualcosa che possa andare oltre l’orizzonte degli eventi di ciascuno di noi, aldilà della linea oltre cui non possiamo più comunicare o ricevere messaggi.

 

La prospettiva pedagogica

Per affrontare i casi ordinariamente compresi da questa tipologia bisogna essere forti e agili, culturalmente, intellettualmente ed emotivamente, spesso anche fisicamente; forti per non subire il silenzio, la distanza o l’aggressività dell’altro, forti e agili per riuscire a entrare negli stretti pertugi che ogni tanto si aprono anche nei soggetti più chiusi. Non tutti gli insegnanti sono adatti a interagire con i soggetti davvero autistici. E anche quelli più forti e con più spiccate capacità di muoversi e ricollocarsi entro contesti relazionali fermi o in fibrillazione hanno comunque bisogno di una rete di sostegno per sé stessi, che li aiuti ad affrontare la fatica e la pressione del contatto con l’ipersingolarità.

L’approccio degli operatori scolastici –almeno secondo la prospettiva della pedagogia come scienza filosofica- tien conto che se è l’io a porre il non-io (Fichte, Dottrina della scienza), anche il non-io può con la forza della sofferenza riconfigurare l’io e curvarne il potenziale pedagogico. L’io-docente come tutta la comunità scolastica deve dunque necessariamente condividere alcune caratteristiche auspicabili in ogni tipo di professionalità che si volga ai soggetti che si comportano in modo “altro” rispetto alle attese di interazione: auto-interrogazione, autocoscienza, analisi culturale, confronto con le risultanze di altre scienze che vertono sullo stesso argomento, teorizzazione, sperimentazione, discussione; infine, se possibile, pubblicazione. Gli insegnanti/Maestri effettuano letture e a tutto campo ma per essi, il discorso non si svolge secondo le prescrizioni della scienza medica e psicologica (non appartengono loro, anche se vi si confrontano nel dialogo/dialettica interprofessionali) ma seguendo e ripensando criticamente le risultanze della costellazione scientifica di pertinenza, ovvero quella filosofico-pedagogica e didattica, ed eventualmente della corrente di adozione.

Il progetto può rappresentare un’occasione per capire:

  1. a) che ogni persona, a partire dallo stesso insegnante/Maestro, è altra dalle altre e ha vari problemi di comunicazione fra i vari piani interni (principalmente fra strutture emotive, intellettuali, prassiche). Dunque, è necessario chiedersi come e perché la fluidità e la trasparenza interne (proprie) siano variamente disturbate; questo aiuta a capire anche le difficoltà delle relazioni di altri con l’esterno.
  2. b) che non dobbiamo partire dai documenti con cui il ragazzo è stato presentato ma dal volto della persona cui ci volgiamo, secondo l’indicazione husserliana per cui “tutto ciò che si dà originalmente nell’intuizione è da assumere come esso si dà ma anche nei limiti in cui si dà” (Idee, vol I tr. Costa, Einaudi, 2002). L’apparire (alla singolarità del docente, alla comunità famigliare e scolastica) del ragazzo non è però il suo disvelarsi; ne è invece la struttura emergente. Veritativa ma difficilmente assumibile nella pienezza della sua verità.

E’ dunque importante guardare oltre le parvenze empiriche e burocratiche (la falsa immediatezza di certo apparire e l’apparire secondo documenti) proprio per cogliere attraverso la ragion pedagogica ogni valore di realtà, trovare qualcosa di autentico, un «territorio» che prospetti “spiegazioni” distensioni, stiramenti del foglio che disoccultino la realtà dalle sue “pieghe” (Derrida) e interpretare attivamente (ovvero non facendo ricorso a protocolli precostituiti) il soggetto nella sua singolarità attraverso i comportamenti e i messaggi talora criptici che invia. Ciascuno di noi vive e in qualche modo fa propria l’interpretazione che altri ci offre: l’interpretazione aperta e non standardizzata è già di per sé –in senso heideggeriano- l’inizio della “cura” (A. Sichel in Encyclopaideia, 1990).

 

Iper-singolarità e formazione di percorsi per la con-vivenza

Differenza e diversità spesso indispongono. Costringono a pensare e sentire in modo nuovo, fuori dai rassicuranti schemi relazionali e professionali con cui si è soliti lavorare. Con “differenza” (di-fero) si può intendere il vario peso/levità e qualità della storia che ci si porta appresso. Lo stato dell’ essere con la relativa massa del pregiudizio, del precompreso, del precostituito nel frazionato continuum biologico, cul­turale/subculturale di appartenenza. La differenza viene dal passato, è l’eredità; è ciò che siamo poi che siamo stati, sono stati.

Diversità (di-versus) è la varia intenzionalità, i richiami che vengono dal fu­turo della cultura; le gravità esercitate dalle masse di senso in formazione. La forma non compiuta che preme al di sotto e al di sopra delle evidenze. L’insieme delle energie non unificate da un’intenzionalità del con-vivere che attivano i fenomeni dello stare in campo. La diversità muove dal futuro, è ciò che saremo, che saranno. Siamo ciò che siamo stati, in via per i luoghi ove siamo attesi.

Data l’intensità della pressione/vocazione esterna, diversità e differenza non sono mai lasciate all’esterno: entreranno “dentro”; nessuno è totalmente chiuso, anche se tale può sembrare. Un progetto per l’autismo può favorire l’apertura di finestre. Specie se anche le nostre finestre (disciplinari e relazionali) sono aperte.

 

Un’idea di identità

Pedagogicamente ci si dovrà confrontare con l’inadeguatezza dell’ idea stessa d’identità ( il soggetto come uguale al l’immagine che lo specchio dei suoi riferimenti complessivi gli rinvia, v. Jung). In una società culturalmente complessa difficilmente questa potrà resistere, almeno come la tradizione dell’Occidente l’ha configurata: l’identità come fondo, sedimentazione della memoria, permanenza, inerzia della persona ma anche struttura di fondo delle sue dinamiche (M.Dallari Lo specchio e l’altro, La nuova Italia, Firenze, 1990).

Dovrà in parte farsi -guardandosi dalla schizofrenia- pluridentità. E’ la nuova figura interpretativa dell’attuarsi dell’individuo in un universo divenuto multiverso in quanto composto di una pluralità di orizzonti talora intersecati, internamente articolato in reti di comunicazione complicatissime e interferenti. Il soggetto fatica a formarsi uno in un universo non più unico; comportamenti autistici possono essere una reazione eccessiva e autolesionistica alla frammentazione.  

Molti soggetti denominati “autistici” –in percentuale notevolmente maggiore rispetto agli indigeni- vengono poi da altre culture; sono sostanzialmente altri per cultura, non per struttura psichica, anche se la prima influisce sulla seconda.

Aiutare la formazione di un soggetto destinato a convivere con le varie identità interne necessarie a fronteggiare la pluralità, a non farsene dilaniare, a con-viverci: lo scopo della pedagogia come scienza filosofica si arricchisce di un altro compito.

 

Singolari nell’armonia

E’ l’emotivo (l’e-motu dal cuore) che ci fa muovere, che consente l’andare. Poi i saperi rendono possibile il viaggio offrendo le necessarie strutture trascendentali. Occorre sintonizzarsi in qualche modo con le vibrazioni, le frequenze del cuore della persona con comportamenti autistici.

Ciò che caratterizza la persona in evoluzione è la coscienza di sentire e la sete di Novum. Occorre sapere di sentire e sentire di sentire. La soggettualità è capacità di pensarsi e pensare autenticamente, di riflettere su di sé.

 

-La persona è essere multipreposizionale; copre l’intera gamma delle preposizioni

(di da, a, in, con, su ,per, tra, fra).   Nei soggetti autistici una o più di queste preposizioni sono disattivate. Non si riconoscono persone attraverso la relazione con il mondo e con gli altri; ma si diventa persone con le persone.

Occorre allora evocare la consapevolezza dei legami tra i soggetti e con le cose, far sentire e capire che si viene da una storia e si guarda avanti.   Il nostro mondo della vita è struttura di bisogni e di attese augurabilmente reciproche . Nessuno di noi è solo se stesso; ma tale può sentirsi ed è come se lo fosse.

 

-Il focus educativo si sposta sul chi sono e dove vado.   Questa consapevolezza emerge dalla capacità autoriflessiva e dal bisogno di essere riconosciuti dagli altri.

Ci riconosciamo se siamo raccontati e se ascoltiamo storie.

 

-Personalizzare significa anche attenzione alla storia di ciascuno, al suo modo di essere e alle sue intenzionalità; significa guardare l’altro nella sua differente e diversa singolarità. La differenza e la diversità sono caratteri costitutivi del soggetto.

 

Implicazioni educative sul piano progettuale, didattico e documentativo

Dalla descrizione alla narrazione

-Se la persona è essenzialmente apertura al possibile, è in fieri, è meta, non è un dato, l’esperienza educativa allora non può non rispettare tali costitutività. Questo significa che non ci si può limitare alla descrizione perché la descrizione ferma il soggetto in un momento particolare come in una fotografia, ha carattere statico e sincronico.

 

Disposizione di attesa

Diveniamo il nostro possibile non tanto per effetto di stimoli ma perché accolti entro un contesto di attese.

-La persona-alunno che soffre di problemi di comunicazione e degli “effetti perversi” della diagnosi di autismo va accolta nei suoi tempi di crescita, nelle sue vie; ovviamente non si può mai dire “non sei capace”, “non segui il ritmo della classe”, “sei in ritardo” come se la persona fosse un treno che deve per forza passare a quell’ora in quella predeterminata stazione.

Occorre disponibilità infinita ad accettare l’altro nelle sue singolarità guardando anche e soprattutto a ciò che sta sulla linea dell’orizzonte e anche oltre.

La disposizione di fondo di grande plasticità, è l’attesa, naturalmente un’attesa attiva.

 

Tracce progettuali

-Una piena assunzione della centralità della persona dovrebbe condurre a non impostare l’esperienza educativa attraverso “piani” rigidi o “programmazioni”. Queste pratiche pretendono di stabilire in anticipo dove si vuole andare e in quali tempi.

Si tratta di pensare una progettualità educativa lieve, aperta all’imprevisto, dinamica. Progettualità come canovaccio, trama che accompagna l’esperienza di ciascuno nel gruppo; è una progettualità in cui è noto il senso, non le forme dell’esito.

Se la persona è apertura verso l’inedito, allora poco importa il risultato immediato.   Non so cosa accadrà, ma non mi interessa neanche saperlo perché forse mi impedirebbe di ascoltare pienamente l’altro nel senso che lo piego a ciò che voglio raggiungere e perdo di vista la persona. Un autentico processo educativo è in contrasto con la logica dell’immediato e del verificabile. E’ immateriale e inverificabile; è associabile a un progetto mantenendo un senso del limite.

Essere in ascolto del singolo significa lasciarsi guidare dalle tracce suggerite da ciascuno; significa seguire gli indizi del suo modo di essere in un intreccio complesso e delicato tra le intenzionalità dello scolaro e quelle dell’educatore. Si tratta di coniugare il mio cammino con quello dell’altro.

Penso vada (verbo di opinione + congiuntivo) perciò abbandonata ogni concezione tecnicistica dell’educare.

 

Primato della relazione tra i soggetti

Un approccio educativo centrato sul soggetto-persona nella sua singolarità è soprattutto un orientamento educativo; investe il modo di sentire e di guardare l’altro. Implica consapevolezze di fondo. Il primato è della relazione che si stabilisce tra i soggetti; il modo di essere di ciascun educatore testimonia quotidianamente una presenza significativa a scuola.

 

La persona come “monade” aperta

-La persona vive entro una trama di relazioni con altre persone, in un certo luogo geografico e storico,  è volta verso qualcosa. Cosa? Questo è il punto.

La sua formazione avviene nel dialogo e nella relazione; siamo persone in quanto invitate all’umanità ed è la relazione che ci costituisce, relazione con i viventi e non solo.

La persona ha una storia e delle prospettive. La scuola l’aiuta a sentire e a capire quali possano essere.

 

Valutare i soggetti considerati autistici

Da quanto sopra scritto emergono alcuni corollari sulle forme di valutazione degli alunni singolari o iper-singolari, o comunque ritenuti affetti da ritardi, anomalie, deficit di vario tipo reali, immaginari o “creati” da sovrapposizione alla persona di protocolli tecnici serializzanti e di fatto archivianti.

 

—Il peso dell’etichetta

La valutazione in pedagogia non è riconoscimento di valori oggettivi ma donazione di valore, con-versione a valori: il bambino almeno in parte sarà quello che parole e scritti del valuitare della scuola diranno di lui. L’ etichetta fa la qualità percepita della bottiglia e la qualità percepita è un fattore del qual-essere.

 

—Valutazione come valorizzazione

Emettere giudizi o distribuire voti rappresentano atti di intersoggettivo stabilimento di valore. Ogni soggetto individuale o collettivo rappresenta a suo modo il mondo, gli eventi, il “reale” e la relativa immagine -mediata attraverso concordati con i gruppi di riferimento- dipende da lui come dalle aree osservate. Con il giudizio come con il voto, l’insegnante contribuisce a costruire la realtà, inevitabilmente (ma consapevolmente e responsabilmente!) in-formandola della propria identità. E’ un approccio “spostato dalla credenza ingenua nelle cose e nelle persone come realtà indipendenti dai fatti di coscienza, e quindi (volto a costruire) strutture trascendentali” (R.Massa in “Sugli usi della fenomenologia nella pedagogizzazione attuale” Enciclopaideia, n.2/97).

 

Il docente è invitato a essere sostanzialmente attento e rigoroso sia con le parole che con i numeri. Con attenzione al possesso delle nozioni essenziali (generative di conoscenze ulteriori) come fondazioni solide delle capacità elaborative, critiche e creative. La misura é sempre strettamente dipendente dal metro di riferimento, dal sistema di valori dell’individuo o del sistema che valuta. I giudizi –base dei voti- utilizzano uno strumento “naturale”, prodotto di una cultura tanto storicamente fondato e fondante da divenire natura: la lingua materna. Seguirla é ritrovarsi umilmente con le possibilità e i limiti della propria intelligenza dell’altro e del suo agire culturale.

 

Prove e voti

-Le prove, scritte e orali devono essere il più possibile varie e differenziate. Il loro esito non sarà solo oggetto di presentazione, ma di dialogo. Un dia-logo con alcune persone può apparire impossibile ma in qualche modo si può sempre instaurare. Concorreranno a disegnare intersoggettivamente il profilo dell’alunno.

Pertanto i voti, o i giudizi che siano, condenseranno e motiveranno l’attribuzione di valore; potranno rappresentare per il ragazzo un pur tormentato momento di presa di consapevolezza delle proprie possibilità e dei propri limiti. Attraverso la fase diagnostica, di potenziamento e recupero, il voto o il giudizio denoteranno anche lo sforzo della scuola di una valutazione formativa.

 

Approccio non burocratico, ma attento alle conseguenze

-Compilare i documenti ufficiali avendo ferma la consapevolezza della loro modesta valenza effettuale.

 

Non reagire ma pro-agire

-Non valutare reattivamente (specie nel voto di condotta) ma proattivamente (“quel che hai fatto o non fatto non è buono ma potrai fare di meglio”) avanzando una proposta della regola come via per l’attuazione di sè.

 

Trasparenza

-Esplicitare nel POF e nelle delibere che necessariamente andranno prese motivazioni e azioni adottate in merito alla valutazione

 

Diario

-Tenere un diario che racconti la nostra percezione dell’incontrarsi dei ragazzi con se stessi, con gli altri e con i saperi. Tenendo conto che ciascuno di noi ha vari tratti “autistitici”.

 

Valutazione come suggerimento e invito

-Voti e giudizi non servono tanto a riflettere lo stato presente quanto a disegnare il futuro, costituire una “profezia” almeno in parte destinata ad adempiersi. Attribuire dunque voti e giudizi non solo come risultanze del valore delle prestazioni ma –soprattutto- come indicazioni positive di valore e di fiducia nelle possibilità del ragazzo come intero. Questi è in fase intensamente evolutiva e, anche laddove non lo mostri, vi crederà.