Un sessantottino in ritardo

Un sessantottino in ritardo

di Maurizio Tiriticco

Le recenti dichiarazioni dell’On. Faraone hanno suscitato un vespaio di critiche! Un Sottosegretario della Repubblica plaude ai sommovimenti studenteschi, elogia ribellioni e occupazioni, e cose di questo genere! Veramente mi sembra che il nostro Sottosegretario non solo pecchi di ingenuità fino a sfiorare l’apologia di reato, ma che non conosca la nostra storia, quella del Sessantotto e quella della nostra scuola. Possiamo però perdonarlo: è nato nel ’75.

Si giunse al Sessantotto, e non solo in Italia, per ragioni profonde che attraversavano anche da tempo il corpo sociale di Paesi diversi per struttura politica, ma forse non diversi quanto a organizzazione degli studi, delle università, delle scuole… e della stessa cultura! Ricordiamolo! Era il mondo dei due blocchi e della guerra fredda! Del XX° Congresso del Pcus. Della crisi di Cuba. Dell’assassinio dei due Kennedy e di Martin Luther King. E di quella guerra nel Vietnam che sembrava non avere mai fine.

Il movimento nacque nelle università, in origine contro “l’autoritarismo dei professori”, poi contro una “cultura imposta” e poi contro la stessa organizzazione della cultura e della politica. E in seguito coinvolse anche gli studenti dell’istruzione secondaria. Tutto ciò nella convinzione che è l’esistenza stessa di uno Stato che contraddice la democrazia! Parola d’ordine, tra le tante: “Lo Stato borghese si abbatte e non si cambia”. Il movimento interessò Parigi, Berkley, Londra, Pechino, Roma, Milano, le Università e le scuole secondarie del mondo intero. Si contestava una certa organizzazione degli studi, finalizzata più alla formazione di “mano e cervello d’opera consenzienti” che alla formazione di coscienze libere. Erano gli anni dell’Uomo a una dimensione, di Marcuse, degli Apparati ideologici di Stato, di Althusser, della Riproduzione, di Bourdieu e Passeron, della Descolarizzazione, di Ivan Illich, del “medium è il messaggio” di Mc Luhan. E Noam Chomsky, muovendo da una rigorosa analisi del fenomeno linguistico, stava già lavorando alla “Fabbrica del consenso”.

Per quanto riguarda il nostro Paese, le lotte operaie e contadine erano durissime: La Celere di Scelba sparava e ammazzava. E la strage di Avola, proprio nel ’68, ebbe la stessa matrice scelbiana. Era la stagione delle grandi lotte operaie al Nord, dei contadini al Sud… Eppure c’era anche chi predicava la lotta non violenta. Ricordo la Marcia della protesta e della pace organizzata da Danilo Dolci e da Peppino Impastato nel ‘67. E ci fu anche la stagione dei preti operai. Insomma, si imbastì in quegli anni un intreccio transnazionale di sommovimenti e di ricerche sulla funzione della cultura e della scuola, e della lingua anche, in una società capitalistica. E la conseguente convinzione che la scuola serve solo a produrre consenso, non davvero a liberare coscienze. Dalla Pedagogia della Liberazione, di Paulo Freire, alla Lettera a una professoressa, di Don Milani, il passo era breve, nonostante la distanza geografica.

Nel nostro Paese il Sessantotto fu caratterizzato da un ampio movimento degli studenti teso ad ottenere un profondo rinnovamento degli studi e il diritto allo studio in una scuola aperta a tutti. Dal canto suo Gino Giugni stava lavorando allo Statuto dei lavoratori e i metalmeccanici rivendicavano le 150 ore; la parola d’ordine era: “riappropriamoci di quella cultura che la società ci ha negato”. Un periodo indubbiamente convulso: per certi versi la cultura la si combatte in quanto borghese; per altri la si rivendica perché tutti ne hanno diritto. Gli studenti occupavano scuole e università: pretendevano di capire le ragioni di quella guerra infinita del Vietnam ed esigevano discipline che permettessero di comprendere il mondo contemporaneo per poterlo cambiare. Furono anni durissimi! Comunque, non pochi insegnanti dettero vita a quel Movimento insegnanti che poi portò, nel ’67 alla nascita della Cgil-Scuola. E con il rischio di vedersi abbassate le “note di qualifica”, allora in vigore e a sola discrezione di presidi e direttori didattici. Per la prima volta una categoria che da sempre aveva tenuto debite distanze nei confronti del sindacato confederale, comprese che la battaglia per il contratto e per la riforma della scuola non poteva non condursi se non a fianco di tutti i lavoratori. E la “Riforma della Scuola” fu anche una prestigiosa rivista di appoggio e sostegno al movimento, diretta da uomini come Lucio Lombardo Radice, Dina Bertoni Jovine, Mario Alighiero Manacorda, Tullio De Mauro. Oggi esiste una edizione on line.

Il Sessantotto passò, e in Italia, con il decreto legge Sullo (n. 9/69), le porte dell’università furono aperte a tutti gli studenti dell’istruzione secondaria. Gli studenti ottennero il diritto all’assemblea e più tardi, nel ’98, con Berlinguer, fu varato lo Statuto delle studentesse e degli studenti, tuttora in vigore Il Sessantotto ha aperto ai nostri giovani stagioni completamente diverse rispetto a quelle degli anni Sessanta. Allora i problemi reali dei giovani non avevano posto nella “scuola dei padroni”: la si chiamava così. Allora indire assemblee e occupare era una necessità! Oggi le assemblee sono più che riconosciute e occupare non ha alcun senso. Le scuole sono già “occupate” dagli studenti! Le riforme degli ultimi anni hanno rinnovato profondamente discipline e contenuti di studio. Comunque, tanto ancora occorre fare! E lo dico e lo scrivo da sempre.

Dispiace che l’On. Faraone sia rimasto indietro con i tempi e si auguri un Sessantotto che si è già compiuto e, forse, consumato! All’ordine del giorno oggi non ci sono affatto né la rivendicazione della “cultura” per tutti né l’occupazione delle scuole, ma un riordino complessivo e profondo del nostro “Sistema educativo di Istruzione e Formazione” che va ben oltre le pie intenzioni di quella Buona scuola che lo stesso Faraone ha sottoscritto.

Per sua maggiore informazione, consiglio all’Onorevole il volume “Tutta colpa del ’68, la nascita del Sindacato Scuola della Cgil”, a cura di Dario Missaglia e Alessandro Pazzaglia, con prefazione di Domenico Pantaleo. E’ stato pubblicato da Ediesse nel 2010. Raccoglie testimonianze, frutto di esperienze e punti di vista diversi – perché il ’68 è stato tante “cose” – ma tutte di estremo interesse. Che consentono una lettura “onesta” di quegli anni di fuoco che sono assolutamente irripetibili.