12 aprile Revisione parte seconda Costituzione alla Camera

Il 12 aprile l’Aula della Camera approva in via definitiva in seconda deliberazione il disegno di legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione” (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato).

Il 20 gennaio l’Aula del Senato approva in seconda deliberazione con 180 voti favorevoli, 112 contrari e 1 astenuto il disegno di legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”.

L’11 gennaio 2016 l’Aula della Camera approva il disegno di legge costituzionale Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione. Il provvedimento è stato approvato in via definitiva in prima deliberazione e passa ora al Senato per la seconda deliberazione.

Il 13 ottobre il Senato, con 178 sì, 17 no e 7 astensioni, approva con modifiche, in terza lettura, il disegno di legge di revisione della Parte II della Costituzione. Il provvedimento torna alla Camera.

Il 10 marzo la Camera dei Deputati approva il disegno di legge sulle riforme costituzionali, con 357 voti a favore, 125 contrari e 7 astenuti. Il provvedimento torna ora al Senato.

Il 16, 17 e 18 dicembre 2014, 8, 12, 13, 14, 15, 19, 20, 21, 22, 23, 26 e 27 gennaio 2015, 10, 11, 12, 13 e 14 febbraio, 9 marzo l’Aula della Camera esamina il disegno di legge costituzionale (C. 2613 e abb.) Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione,  già approvato, in prima deliberazione, dal Senato.

TESTO A FRONTE TRA IL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE VIGENTE ED I TESTI DEI DUE PROGETTI DI RIFORMA A.S. 3520 (XVI legislatura) e A.S. 2544-D (XIV legislatura)

L’11 dicembre la 7a Commissione della Camera approva il parere favorevole con osservazioni del relatore sul DdL di Revisione della parte seconda della Costituzione, approvato, in prima deliberazione, dal Senato

PARERE DEL RELATORE

  La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),
esaminato il disegno di legge C. 2613 Governo, approvato, in prima deliberazione, dal Senato, e abbinate, recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione;
valutato positivamente l’impianto del provvedimento, il quale persegue l’obiettivo della modernizzazione complessiva della nostra architettura istituzionale, la quale dopo quasi 70 anni dall’approvazione della Costituzione richiede un’attenta opera di aggiornamento per rendere l’Italia in grado di affrontare le sfide complesse dell’attuale fase storica;
ritenuto importante in questa prospettiva il superamento del bicameralismo paritario, il quale oltre a rappresentare un unicum nel panorama del costituzionalismo contemporaneo, costituisce un decisivo fattore di inefficienza, lentezza e scarsa trasparenza del nostro sistema parlamentare;
valutata, altresì, favorevolmente la riforma del procedimento legislativo che dovrebbe essere in grado di garantire l’adozione di decisioni legislative più efficaci e tempestive;
considerata la necessità di una profonda manutenzione delle disposizioni del Titolo V della II Parte della Costituzione, che nei tredici anni di applicazione della riforma del 2001 hanno determinato fenomeni di incertezza e confusione nella ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni ed hanno conseguentemente prodotto un elevato contenzioso costituzionale;
sottolineata la necessità di definire meccanismi legislativi che consentano, in relazione alla soppressione del riferimento costituzionale alle Province, il trasferimento allo Stato dei beni inclusi nel demanio e nel patrimonio di queste ultime, con particolare riferimento ai beni storico-artistici;
ritenuto che l’inclusione della istruzione e formazione professionale tra le materie di competenza legislativa esclusiva delle Regioni non comporta conseguenze sull’ordinamento degli istituti professionali, i quali fanno parte del sistema statale di istruzione,
esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   a) all’articolo 29, valuti la Commissione di merito l’opportunità di espungere, tra le materie che con legge dello Stato possono essere attribuite ad alcune Regioni, l’istruzione, l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica, di cui alla lettera n) del primo comma del nuovo articolo 117, in considerazione del fatto che si tratta di settori dell’ordinamento di primario interesse nazionale, Pag. 142connessi ai diritti di cittadinanza e per i quali, quindi, appare opportuno garantire la massima omogeneità su tutto il territorio nazionale;
   b) con riferimento all’articolo 30, terzo capoverso, valuti la Commissione di merito l’opportunità di chiarire che l’attribuzione alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni della materia della promozione del diritto allo studio non esclude la possibilità per lo Stato di adottare disposizioni generali in materia, in considerazione del fatto che gli interventi pubblici in tale direzione sono essenzialmente finalizzati alla rimozione degli ostacoli e delle disparità che incontrano i ragazzi nell’esercizio di tale diritto, e che tali ostacoli sono anche legati alle differenze, di risorse e di capacità organizzative, che si registrano nelle diverse aree del Paese;
   c) con riferimento alla materia dei beni culturali, valuti la Commissione di merito l’opportunità di chiarire il rapporto tra l’attribuzione allo Stato della competenza legislativa in materia di tutela e valorizzazione e l’attribuzione alle Regioni della competenza legislativa in materia di promozione dei medesimi beni.

Il 10 dicembre la 7a Commissione della Camera esamina il DdL di Revisione della parte seconda della Costituzione, approvato, in prima deliberazione, dal Senato, e abbinate.

Maria COSCIA, relatore, rileva che il disegno di legge del Governo di riforma costituzionale, approvato in prima lettura al Senato nella seduta dell’8 agosto 2014 e attualmente all’esame della I Commissione della Camera dei deputati, rappresenta un importante tentativo di riforma organica dell’architettura istituzionale del nostro Paese. Il provvedimento contiene, tra l’altro, disposizioni volte al superamento del bicameralismo paritario, alla riduzione del numero dei parlamentari, al contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, alla revisione del titolo V della parte II della Costituzione, nonché alla soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
Osserva, in particolare, che l’articolo 1 del disegno di legge costituzionale, come modificato nel corso dell’esame al Senato, dispone la fine del bicameralismo paritario e perfetto, configurando un diverso assetto costituzionale, caratterizzato, in primo luogo, da un bicameralismo differenziato, in cui il Parlamento continua ad articolarsi in Camera e Senato, ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti. Segnala, quindi, che la Camera dei deputati «esercita la funzione legislativa», mentre il Senato «concorre, nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa». Dunque, la funzione legislativa che finora era esercitata collettivamente dalle due Camere sarà prerogativa della sola Camera dei deputati, salvo alcune materie su cui dovrà intervenire anche il Senato. Rileva quindi che alla Camera dei deputati spetta poi la funzione di «controllo dell’operato del Governo» e che il Senato della Repubblica «rappresenta le istituzioni territoriali» e concorre, nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa. Aggiunge che al Senato è espressamente attribuita la funzione di raccordo tra l’Unione europea, lo Stato e gli (altri) enti costitutivi della Repubblica e che, sulla legge di bilancio, la Camera potrà decidere, a maggioranza semplice, di non conformarsi ai rilievi posti dal Senato, al quale, tra l’altro, è precluso il potere di concedere amnistia e indulto.
Rileva poi che l’articolo 2 interviene in materia di composizione del Senato della Repubblica, sancendo la fine del Senato cosiddetto elettivo. Precisa che la riforma, oltre a ridurne in maniera rilevante il numero dei componenti – disegnando un Senato composto da 95 membri rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 di nomina presidenziale –, sostituisce l’elezione popolare diretta con un’elezione di secondo grado: i Consigli regionali e i Consigli delle province autonome di Trento e Bolzano dovranno scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre, ciascuna regione eleggerà un senatore tra i sindaci dei rispettivi territori. La ripartizione dei seggi tra le varie regioni avverrà «in proporzione alla loro popolazione», ma nessuna regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato dei senatori coincide con quella dell’organo dell’istituzione territoriale in cui sono stati eletti.
Evidenzia quindi che l’articolo 10 del testo costituzionale prevede il superamento del bicameralismo perfetto, differenziando i poteri che ciascuna delle due Camere esercita nella formazione delle leggi. Aggiunge che il procedimento legislativo rimane bicamerale – con un ruolo, quindi, perfettamente paritario delle due Camere – per le leggi di revisione costituzionale, le altre leggi costituzionali, le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche e di referendum popolare, le leggi in materia di ordinamento, elezioni, organi di governo e funzioni fondamentali dei comuni e delle città metropolitane e disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni; per le leggi recanti principi fondamentali sul sistema di elezione e sui casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, leggi che stabiliscono altresì la durata degli organi elettivi regionali e i relativi emolumenti. Segnala quindi che una norma di chiusura aggiunge a tali ipotesi anche «gli altri casi previsti dalla Costituzione». Si tratta, in particolare, delle leggi relative a: famiglia e matrimonio nonché sottoposizione a trattamenti sanitari obbligatori (articolo 55 della Costituzione); definizione del sistema elettorale (di secondo grado) del Senato (articolo 57 della Costituzione); referendum propositivo e di indirizzo ed eventuali altre forme di consultazione (articolo 71 Della Costituzione); autorizzazione alla ratifica dei trattati UE (articolo 80 Della Costituzione); attribuzione alle regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, sulla base di intesa tra lo Stato e la regione (articolo 116 della Costituzione). Precisa che tutte le altre leggi sono approvate dalla sola Camera dei deputati, con un procedimento legislativo, quindi, monocamerale; il Senato, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminare i progetti di legge approvati dall’altro ramo del Parlamento: le proposte di modifica, deliberate dal Senato entro i successivi trenta giorni, sono sottoposte all’esame della Camera dei deputati che si pronuncia in via definitiva.
Segnala quindi che viene previsto un procedimento legislativo monocamerale con ruolo rinforzato del Senato, secondo il quale, in deroga rispetto al procedimento ordinario, la Camera può non conformarsi alle modifiche proposte dal Senato solamente a maggioranza assoluta. In particolare, per alcune categorie di leggi, la Camera, se non intende adeguarsi al parere del Senato, deve pronunciarsi «nella votazione finale» a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Rileva poi che l’articolo 12 detta nuove norme in tema di procedimento di approvazione dei progetti di legge, prevedendo, tra l’altro, una corsia preferenziale per i disegni di legge del Governo (che può chiedere che la Camera esamini il testo da esso presentato entro 60 giorni), al fine di scoraggiare il ricorso dell’Esecutivo alla decretazione d’urgenza. Sono in ogni caso esclusi da tale possibilità i disegni di legge per i quali sia previsto il procedimento bicamerale, quelli in materia elettorale, quelli di ratifica dei trattati internazionali e quelli per i quali è prevista una maggioranza speciale.
Evidenzia quindi che, a fronte della razionalizzazione del procedimento legislativo e del riconoscimento al Governo di alcune facoltà dirette a garantire tempi certi di approvazione dei suoi disegni di legge, l’articolo 6 prevede che i regolamenti parlamentari introducano meccanismi diretti a garantire i diritti e le prerogative delle minoranze parlamentari.
Rileva poi che l’articolo 15 del testo modifica l’articolo 75 della Costituzione sul referendum abrogativo, introducendo un diverso quorum per la validità dello stesso, ossia la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera, nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata da 800.000 elettori. Resta fermo il quorum di validità attualmente previsto, ossia la maggioranza degli aventi diritto al voto, nel caso in cui la richiesta provenga da un numero di elettori compreso tra 500.000 e 800.000. Sono, altresì, introdotti nell’ordinamento i referendum propositivi e di indirizzo e viene disposto l’aumento del numero delle firme necessarie per proporre le leggi di iniziativa popolare, da 50.000 a 150.000.
Fa presente che l’articolo 16 introduce nuove norme in materia di decretazione d’urgenza, prevedendo, in primo luogo, la «costituzionalizzazione» di una serie di elementi – già previsti dalla legge n. 400 del 1988 – relativi alla decretazione di urgenza, quali il divieto di disciplinare con tale atto le materie di cui all’articolo 72 della Costituzione, quarto comma, per le quali è prevista la cosiddetta riserva di Assemblea, nonché di reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti e di ripristinare l’efficacia di norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale. Viene inoltre espressamente previsto che i decreti-legge devono recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo e che nel corso dell’esame dei disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto.
Segnala che l’articolo 21 prevede nuovi quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica. Dal primo al quarto scrutinio sono sempre necessari i voti di due terzi dei componenti dell’Assemblea, composta da deputati e senatori ma non più dai delegati delle regioni. Dal quinto scrutinio sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti, mentre dal nono scrutinio basterà la maggioranza assoluta.
Osserva quindi che l’articolo 26 interviene poi in materia di reati ministeriali, limitando alla sola Camera dei deputati il potere di autorizzare la sottoposizione del Presidente del Consiglio e dei Ministri, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria.
Evidenzia poi che l’articolo 27 del disegno di legge abroga integralmente l’articolo 99 della Costituzione, abolendo il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL): è prevista la nomina, entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge, di un commissario straordinario, a cui affidare la gestione per la liquidazione e la riallocazione del personale presso la Corte dei Conti.
Prima di entrare nel merito delle materie relative alle specifiche competenze della VII Commissione, ritiene utile ricordare che la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001, ha profondamente rivisto il complessivo sistema dei rapporti fra Stato, regioni ed enti locali. In particolare, ricorda che l’articolo 117, secondo comma, della Costituzione vigente ha affidato alla legislazione esclusiva dello Stato alcune materie, mentre altre, in base al terzo comma, sono state affidate alla legislazione concorrente: si tratta degli ambiti nei quali lo Stato determina i principi fondamentali e, sulla base di questi, le regioni legiferano. Ricorda altresì che, in base al quarto comma del medesimo articolo, la potestà legislativa su ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato spetta alle regioni. Si tratta della competenza generale «residuale». Rammenta inoltre che, per quanto concerne la potestà regolamentare, il sesto comma dello stesso articolo prevede che allo Stato spetta emanare i regolamenti nelle materie di competenza esclusiva, salva la possibilità di delega alle regioni, mentre alle regioni è attribuita la potestà regolamentare in ogni altra materia. I comuni, le province, le città metropolitane hanno potestà regolamentare per la disciplina riguardante l’organizzazione e il funzionamento delle competenze loro attribuite.
Ricorda quindi che l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione nella formulazione vigente, ferme restando le particolari forme di autonomia delle regioni a statuto speciale, ha altresì previsto la possibilità di attribuire alle regioni a statuto ordinario ulteriori forme e condizioni di autonomia relative a tutte le materie attribuite alla competenza concorrente, nonché ad alcune materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato. Si tratta del così detto «regionalismo differenziato». Segnala che, peraltro, tale previsione non ha avuto alcuna attuazione.
Rileva che il problema principale posto dalla ripartizione di competenze è stato quello della mancanza di una chiara individuazione del contenuto delle materie, che determinasse una netta linea di demarcazione fra competenza statale e competenza regionale. Precisa che un primo elemento di difficoltà è derivato dal fatto che alcune delle materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato fanno riferimento non ad oggetti precisi, ma a finalità che devono essere perseguite e che, pertanto, si intrecciano con una pluralità di altri interessi, incidendo in tal modo su ambiti di competenza concorrente o residuale delle regioni. Un esempio di ciò è costituito dalle materie «tutela della concorrenza» e «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Anche alcune materie attribuite alla competenza concorrente presentano un carattere «trasversale» e, fra queste, la ricerca scientifica. Inoltre, la complessità dei fenomeni sociali oggetto di disciplina legislativa rende molto spesso difficile la riconduzione ad un’unica materia. Si determina, in tali casi, la così detta «concorrenza di competenze», per la cui composizione la Corte costituzionale ha enucleato i principi di prevalenza e di leale collaborazione, in particolare attraverso il sistema delle Conferenze Stato-regioni e autonomie locali. Evidenzia altresì che sono insorti problemi interpretativi relativi alla distinzione tra principi fondamentali e norme di dettaglio, che costituisce il discrimine fra competenze statali e competenze regionali nelle materie di legislazione concorrente.
Osserva, quindi, che, nel quadro della revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, l’articolo 30 del testo ora al nostro esame elimina la competenza concorrente, attribuendo alcune materie alla legislazione esclusiva dello Stato e altre alla potestà legislativa regionale. Aggiunge che costituisce norma di chiusura la previsione in base alla quale la legge dello Stato può intervenire, su proposta del Governo, in materie non riservate alla competenza statale, quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o la tutela dell’interesse nazionale. Precisa che, al contempo, l’articolo 29 prevede che forme e condizioni particolari di autonomia concernenti alcune delle materie affidate alla competenza esclusiva dello Stato possono essere attribuite dallo Stato alle regioni anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119 Costituzione e purché la regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. A tal fine, la legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata. Rileva, infine, che il medesimo articolo 30 prevede che, fermo restando che la potestà regolamentare spetta allo Stato o alle regioni secondo le rispettive competenze legislative, è fatta salva la facoltà dello Stato di delegare alle regioni l’esercizio di tale potestà nelle materie e nelle funzioni di competenza legislativa esclusiva.
Osserva poi che, in base all’articolo 38, comma 10, le leggi delle regioni adottate sulla base dell’attuale Titolo V, continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle leggi adottate ai sensi del nuovo Titolo V. Al riguardo segnala che, nel parere reso il 4 dicembre 2014, il Comitato per la legislazione ha richiamato l’attenzione della Commissione di merito su tale formulazione, evidenziando che essa si presta ad ingenerare dubbi applicativi nelle circostanze in cui le «nuove» leggi non provvedano ad abrogazioni espresse, ad esempio perché l’oggetto della «nuova» legge non coincide perfettamente con quello della «attuale» legge regionale (si pensi a leggi omnibus o a disposizioni inserite in contesti normativi peculiari quali leggi regionali finanziarie o di bilancio). Conseguentemente, ha suggerito alla Commissione di merito di valutare se sia opportuno sostituire il termine «leggi» (riferito a un intero atto normativo) con il termine «disposizioni» o individuare diversi metodi per ridurre l’incertezza nell’individuazione della vigenza e dell’applicabilità della «attuale» legge regionale.
Segnala, inoltre, che l’articolo 38, comma 11, prevede che le disposizioni sul nuovo riparto di competenze non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano fino all’adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime regioni e province autonome. Su tale previsione, il Comitato per la legislazione ha sottolineato, fra l’altro, che la riforma costituzionale non prevede un termine per l’adeguamento, né le conseguenze in caso di mancato, parziale o tardivo adeguamento degli statuti, talché il regime transitorio è suscettibile di protrarsi per tempi indefiniti.
Tenuto conto di questo quadro generale, si sofferma quindi sugli ambiti di competenza della Commissione, ricordando l’assetto delle competenze vigente, le principali questioni evidenziate dalla Corte costituzionale e il nuovo assetto proposto dal testo in esame.
Ricorda quindi che l’articolo 117, secondo comma, lettera n), della Costituzione vigente annovera le norme generali sull’istruzione tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, mentre l’articolo 117, terzo comma, include l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale – che rientra, dunque, nella competenza residuale delle regioni – tra le materie di legislazione concorrente. Quanto al diritto allo studio, segnala che esso non è espressamente citato nel vigente articolo 117 della Costituzione, ma trova fondamento nell’articolo 34, i cui commi terzo e quarto dispongono che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. Ricorda che nella sentenza n. 279 del 2005 la Corte costituzionale ha dovuto tracciare un quadro generale di riferimento per l’interpretazione del sistema delle competenze delineato dall’articolo 117 della Costituzione, chiarendo che «le norme generali sono quelle sorrette, in relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie e, quindi, applicabili indistintamente al di là dell’ambito propriamente regionale». In tal senso, le norme generali si differenziano dai «principi fondamentali», i quali, «pur sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in se stessi la loro operatività ma informano, diversamente dalle prime, altre norme». Aggiunge quindi che, con la successiva sentenza n. 200 del 2009, la Corte ha precisato che appartengono alla categoria delle disposizioni espressive di principi fondamentali quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, discipline, pur tese ad assicurare l’esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio, da un lato non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema di istruzione che caratterizza le norme generali, dall’altro necessitano «per la loro attuazione (e non già per la semplice esecuzione) dell’intervento del legislatore regionale». In particolare, «lo svolgimento attuativo dei predetti principi è necessario quando si tratta di disciplinare situazioni legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realtà territoriali delle regioni, anche sotto il profilo socio-economico». Osserva che in questa cornice si inquadrano, in particolare, le pronunce della Corte in materia di programmazione della rete scolastica, che pertiene alla competenza del legislatore regionale (sentenze n. 92 del 2011 e n. 147 del 2012).
Rileva quindi che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva nelle materie «disposizioni generali e comuni sull’istruzione» e «ordinamento scolastico». In particolare, modifica l’attuale riferimento alle «norme generali» con quello alle «disposizioni generali e comuni» e attribuisce esplicitamente allo Stato anche l’ambito afferente all’«ordinamento scolastico» (peraltro, già riconducibile, in base alla legislazione vigente e all’interpretazione giurisprudenziale, alle «norme generali sull’istruzione»). Al contempo, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, attribuisce alle regioni la competenza legislativa in materia di «servizi scolastici,» di «istruzione e formazione professionale» e di «promozione del diritto allo studio».
Ricorda altresì che la materia «università» non è espressamente citata nell’articolo 117 della Costituzione, nella formulazione vigente. Soccorre, tuttavia, l’articolo 33, sesto comma, che stabilisce che le istituzioni di alta cultura, università ed accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
Segnala che già prima del 2001, la Corte costituzionale ha chiarito, con la sentenza n. 383 del 1998, che al sesto comma dell’articolo 33 della Costituzione è conferita una funzione di cerniera, attribuendosi alla responsabilità del legislatore statale la predisposizione di limiti legislativi all’autonomia universitaria relativi tanto all’organizzazione in senso stretto, quanto al diritto di accedere all’istruzione universitaria. Evidenzia quindi che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «istruzione universitaria», e alle regioni la competenza legislativa in materia di «promozione del diritto allo studio, anche universitario». Su questo punto ritiene utile un’attenta riflessione sull’opportunità di prevedere che lo Stato possa, comunque, intervenire definendo una cornice legislativa unitaria per tutto il territorio nazionale. Segnala che occorre coordinare la previsione, recata dall’articolo 29 del testo in esame, in base al quale forme e condizioni particolari di autonomia potranno essere attribuite alle regioni anche nella materia relativa all’istruzione universitaria, con l’articolo 33 della Costituzione che, come abbiamo visto, prevede che limiti all’autonomia universitaria possono essere stabiliti solo da leggi dello Stato. Ciò posto, ritiene opportuno svolgere una attenta riflessione sull’opportunità che sia inclusa tra le materie che possono essere incluse nel cosiddetto «regionalismo differenziato», anche la lettera n), dell’articolo 117 della Costituzione, primo comma relativo all’istruzione, all’università e alla ricerca.
Ricorda quindi che, attualmente, è altresì inclusa nell’ambito della legislazione concorrente la ricerca scientifica e tecnologica. Ricorda, peraltro, che l’articolo 9 della Costituzione affida alla Repubblica e, dunque, a tutti i soggetti che la costituiscono, il compito di promozione della ricerca scientifica e tecnica. Rammenta che, al riguardo, la Corte, con le sentenze n. 423 del 2004 e n. 31 del 2005, ha evidenziato che «la ricerca scientifica deve essere considerata non solo una “materia”, ma anche un “valore” costituzionalmente protetto (articoli 9 e 33 della Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati». Successivamente, con la sentenza n. 133 del 2006, la Corte ha evidenziato che, qualora la ricerca verta su materie di competenza esclusiva statale, a queste occorre riferirsi per stabilire la competenza legislativa. In buona sostanza, la ricerca scientifica, qualora si delimiti l’area su cui si verte e si individuino le finalità perseguite, riceve da queste la propria connotazione.
Rileva che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva relativa alla «programmazione strategica» della ricerca scientifica e tecnologica e che si intuirebbe, dunque, che le regioni potranno legiferare per ciò che riguarda aspetti diversi dalla programmazione strategica.
Ricorda quindi che l’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione vigente annovera la tutela dei beni culturali tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, mentre, in base al terzo comma, la valorizzazione dei beni culturali rientra tra le materie di legislazione concorrente. Segnala che, in tale quadro, la Corte, nelle sentenze n. 478 del 2002 e n. 307 del 2004, ha evidenziato che la tutela dei beni culturali e, in generale, lo sviluppo della cultura, corrispondono a finalità di interesse generale, «il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (articolo 9 della Costituzione), anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e regioni». In particolare, nelle sentenze n. 401 del 2007 e n. 194 del 2013, la Corte ha evidenziato la possibilità per le regioni di integrare la normativa in materia di tutela, con misure diverse ed aggiuntive rispetto a quelle previste a livello statale.
Osserva che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva nella materia relativa alla «tutela e valorizzazione» dei beni culturali e alle regioni la competenza legislativa per la «disciplina, per quanto di interesse regionale, della promozione dei beni culturali». Precisa che si introduce così, accanto alle materie «tutela» e «valorizzazione» dei beni culturali», la materia «promozione» degli stessi beni culturali che, tuttavia, sembrerebbe già compresa nel concetto di valorizzazione (in particolare, in base all’articolo 6 del Codice dei beni culturali, la valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica dello stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura). Ipotizza quindi che tale differenziazione abbia lo scopo di favorire un coinvolgimento delle regioni nell’attività di promozione dei beni culturali.
Osserva poi che l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione vigente include la «promozione e organizzazione di attività culturali» tra le materie di legislazione concorrente e che, pertanto, nell’assetto attuale lo Stato può emanare i «principi fondamentali» concernenti i due contenuti indicati (promozione e organizzazione), spettando poi alle regioni la disciplina di dettaglio sugli stessi aspetti. Ricorda che la Corte ha chiarito che le attività culturali riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura e, dunque, anche le attività di sostegno degli spettacoli (sentenza n. 255 del 2004) e quelle di sostegno delle attività cinematografiche (sentenza n. 285 del 2005).
Rileva che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva per la definizione delle «disposizioni generali e comuni» sulle attività culturali e alle regioni la competenza legislativa per la «disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali».
Osserva quindi che anche l’ordinamento sportivo è attualmente incluso tra gli ambiti di legislazione concorrente e che nella sentenza n. 424 del 2004 la Corte ha chiarito che in tale ambito rientra senza dubbio la disciplina degli impianti e delle attrezzature sportive. In virtù della competenza concorrente, lo Stato deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali, spettando invece alle regioni la regolamentazione di dettaglio, salvo una diversa allocazione, a livello nazionale, delle funzioni amministrative, per assicurarne l’esercizio unitario. In particolare, la Corte ha qualificato principi fondamentali della materia la possibilità di utilizzo degli impianti sportivi da parte di tutti i cittadini, la garanzia che la gestione degli impianti sportivi comunali, quando i Comuni non vi provvedano direttamente, avvenga di preferenza mediante l’attribuzione a determinati organismi sportivi, la possibilità di utilizzo, da parte delle associazioni sportive dilettantistiche, degli impianti sportivi scolastici, compatibilmente con le esigenze dell’attività della scuola. Ricorda che, sulla base della competenza concorrente, inoltre, la Corte, con sentenza n. 254 del 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della previsione di istituzione di un Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva, finalizzato alla realizzazione di nuovi impianti o alla ristrutturazione di quelli già esistenti.
Rileva che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce la materia ordinamento sportivo alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Evidenzia, infine, che è attualmente incluso nell’ambito della legislazione concorrente l’ordinamento della comunicazione e che lo stesso è stato ricondotto dalla giurisprudenza costituzionale tra le materie per le quali è prevista «l’attrazione in sussidiarietà»: si è registrata, infatti, la tendenza a tutelare, sia pure in una materia di legislazione concorrente, l’esercizio delle funzioni unitarie da parte dello Stato, contemperata dall’individuazione di procedure concertative e di coordinamento orizzontale con le regioni (le intese; si veda ad esempio la sentenza n. 163 del 2012). Inoltre, nella sentenza n. 336 del 2005 la Corte ha rilevato come la materia «ordinamento della comunicazione» possa «intersecarsi» con le materie di competenza esclusiva statale della «tutela della concorrenza» e del «coordinamento informativo statistico e informatico». Ciò in un contesto in cui, già precedentemente alla riforma costituzionale del 2001, era stato sottolineato il legame tra ordinamento della comunicazione e tutela della libertà d’informazione, e quindi, del valore costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione; sentenza n. 348 del 1990). Ricorda che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce la materia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Per ulteriori approfondimenti, rimanda alla documentazione predisposta dagli uffici.