Tecnodidattica

print

Tecnodidattica

di Bruno Santoro

Eh si, sembra proprio che senza tecnologie non si possa davvero più insegnare, a tutti i livelli della scuola italiana. Siamo in ritardo, è stato sentenziato, rispetto alla solita Europa, che quando si tratta di livellare sembra sempre un passo avanti a noi. Siamo in ritardo, sprona il Ministero, è l’era digitale e noi siamo ancora alla biro..
Probabilmente è vero (mi tocca qui la ormai solita premessa: non sono un luddista! see my CV here please: http://www.letsnet.it/PPP/CV.htm..) ma c’è lo stesso qualcosa di inquietante in questa ‘necessità’ di tecnologia nella scuola, soprattutto da quando i tablet a basso costo hanno fatto la loro comparsa sulla scena commerciale realizzando di colpo quello che in vent’anni di tentativi non si era riusciti a fare: svecchiare, rinnovare, discutere, cercare. Ben venga, giustamente, questa ondata di novità se davvero, porta con sé una riflessione anche sui fondamenti epistemici, sulla teoria dell’apprendimento, sulla reimpostazione del processo di insegnamento e apprendimento.
Sembriamo invece in una fase alla statu nascenti’ in cui al noviziato tecnologico di tanti si unisce la ‘impalpabilità teorica’ di chi potrebbe e dovrebbe dare a questo movimento sostanza di assunti e consistenza di pratiche e monitoraggi. In fondo è questo che si cerca, l’efficacia dell’insegnamento ed un apprendimento più significativo, una formazione in linea con le esigenze del mondo moderno (saper convivere) e con le indicazioni di Lisbona 2006 in tema di competenze chiave, no? 

La potenza seduttiva dei nuovi dispositivi, accelerata da ambienti opportunamente predisposti, è meravigliosa è, come dire, ludico-magica e promette all’utente, qualunque utente, di potere fare veramente qualsiasi cosa: un gesto ieratico a sfiorare gli schermi et voilà, la realtà virtuale diventa di colpo realtà aumentata, tutto sembra realizzabile …con un dito. 
Ne sono sedotti gli adulti, figuriamoci se non dovrebbero esserne i giovanissimi.
L’avessimo avuto noi, alla loro età, altro che dostoevskij e le 1200 pagine di Delitto e Castigo in edizione Bur economica…
Oggi però il problema non esiste, un comodo epub di 14.000 kindle-facciate risolverebbe il problema di peso e trasporto. Di lettura, chissà..
Solo che ci siamo dimenticati i fondamenti. Mi rifiuto di credere che migliaia di professionisti si sentano coinvolti convintamente in un movimento di rinnovamento radicale senza averli enunciati, quanto meno dichiarati. Ed ogni soluzione che si dichiari strategica e irreversibile come questa presuppone un problema, del quale si propone come la soluzione, lo scioglimento. Ecco, appunto, qual è il problema, il vero problema, quello che si evita persino di formulare?
Non si dica che si tratta di strutture perché sarebbe risposta superficiale e insufficiente: in questi venti anni, dopo i primi investimenti del governo Prodi, molte scuole hanno goduto di un periodo di relativa abbondanza tecnologica mentre un profluvio di corsi, come le famose TIC, hanno risolto praticamente il problema dell’alfabetizzazione informatica e telematica, se non quella didattico metodologica.
Una volta la lingua si insegnava solo in classe, oggi ci sono laboratori, bravi insegnanti, lettori madre-lingua in diverse scuole, computer e software dedicati.
Il punto è che i nostri risultati complessivi non sono migliorati in quanto a rendimento né è diminuito il problema della dispersione scolastica che, anzi, è addirittura aumentata.
Qualunque analisi seria prenderebbe in considerazione altre ipotesi, posto che però a noi le strutture e le attrezzature, se ci sono, vanno benissimo, naturalmente.

Invece qui gli unici assunti sembrano essere quelli di una ‘presa d’atto’ di essere in piena era digitale e della necessità di adeguare le procedure scolastiche a quelle che la società già condivide e prtica: ma siamo sicuri che sia questo, il problema? 
In ogni caso, si dice, è questa la strada della modernità inevitabile: scuola moderna è scuola digitale. Che altro se no?
Quello che è più stupefacente è questa straordinaria equazione che lo stesso Ministero della Magica Istruzione ha ormai fatto propria: esiste una super-razza, quella dei nativi digitali (evidente generatio spontanea ed evoluzione di quella umana…) dotata di super-poteri neuro-informatici e addirittura di una vera e propria ‘intelligenza’ aggiuntiva (povero Gardner: prima le critiche al tuo sistema delle intelligenze multiple, adesso anche le aggiunte..), l’intelligenza digitale appunto.(Ferri e altri)
Sicché adesso al sistema scolastico non resta che andare incontro al nuovo ‘stile cognitivo’ proprio di questa nuova generazione di genietti telematici e adeguarlo alla loro ‘dieta mediale’ riempiendo le nostre aule di ‘strumenti’ (è così che vengono chiamati?) e terminali, di lavagnone elettriche e apparecchi senza fili: altrimenti come si fa a comunicare, con i giovani alieni? Come si fa ad insegnare, oggi? 
Eccolo il problema, quindi: non sappiamo più come insegnare, come metterci in contato con le nuove generazioni. Già da tempo abbiamo perso contatto, noi, e proprio nell’epoca del contatto permanente e ossessivo. Ma allora si tratta di un problema di metodo, di impostazione didattica, di fondamenti pedagogici e di psicologia cognitiva.
Il futuro ci dirà.
Al momento sembra impossibile fronteggiare anche solo il desiderio assai condiviso di elettrificazione del processo di insegnamento e apprendimento. Un vero e proprio nuovo bisogno, direi, creatosi chissà dove: generatio spontanea anch’esso?. 
Morire se in tutti questi anni di predigitale (quello degli ultimi venti anni, per intenderci) si sia mai manifestato con la stessa forza il bisogno di nuovi fondamenti epistemici dell’insegnare, di una nuova teoria della conoscenza, di nuove pratiche efficaci e adeguate ai tempi…
La ‘scuola tavoletta’ ha fatto il miracolo: s’è trovato l’anello mancante alla catena dei perchè..
Anzi: proprio questa passione per il digitale spegne e vanifica qualsiasi discorso pedagogico che potesse nel frattempo avere preso piede.
La prova? Il fatto che la risoluzione di ogni problema venga quasi automaticamente demandata a ‘nuove strutture digitali’, a delle applicazioni. Abbiamo studenti che non sanno scrivere? Si impara a scrivere con un app e direttamente sullo schermo. Hanno difficoltà terribili di lettura e comprensione? Audiolibri e app-osite applicazioni digitali!
Abbiamo problemi di disagio formativo, mancanza di capacità sociali e problemi di cittadinanza consapevole? Tablet! App! App! e via cantando…

Ma il ruolo del docente è quello di esperto di problemi di apprendimento, non di piazzista di materiale digitale. Il suo compito è quello di elaborare una strategia per risolvere i problemi di apprendimento degli allievi aiutandoli ad uscirne: non quello di delegarlo a realtà connettive realizzate da presunti esperti e per di più, guarda un po’, in vendita promozionale…
Per capirci basti per ora segnalare la strana attenuazione dell’appellativo di ‘strumenti’ riferito ai dispositivi di connessione al mondo digitale: se ne vuole sottolineare forse, dopo averne esaltato la potenza, la flessibilità, la capacità di curvare i nostri comportamenti, anche la loro controllabilità?
Effettivamente finché sono solo ‘strumenti’ (frullatori?) il soggetto operante, il deus ex-machina è sempre, almeno per l’analisi logica, l’utente: Ma se solo si riflettesse un attimo non si potrebbe che concludere che essi sono in realtà sliding doors e perfetti ambienti, i cui codici sono etero-strutturati ed i cui linguaggi finiscono per in-formare in modo univoco la nostra permanenza.

Gli ambienti condizionano il comportamento, come a volte sono i nostri comportamenti a modellare gli ambienti: gli ambienti digitali non fanno eccezione, ci modellano e si lasciano abitare, anche se alle loro condizioni. Come tutti gli ambienti suggeriscono codici e parlano un linguaggio: il loro.
Stabilire che i comportamenti, spesso compulsivi, coattivi, infantilmente ripetitivi, raramente dettati da reali necessità dei nostri giovani digitalizzati siano anche quelli a cui il sistema deve andare incontro (evidentemente per disperazione: è questo il problema? non riusciamo più ad entrare in relazione con loro e con il mondo in cui noi, proprio noi, li abbiamo spinti?) sembra essere un’operazione con un certo margine di errore. Di cui certamente risponderemo.