Sentenza Consiglio di Stato 31 gennaio 2011, n. 715

N. 00715/2011REG.PROV.COLL.
N. 04665/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4665 del 2009, proposto dal professor XXX, rappresentato e
difeso dagli avvocati [omissis], con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [omissis];
contro
il prof. YYY, rappresentato e difeso dagli avvocati [omissis], con domicilio eletto presso lo studio
dell’avvocato [omissis];
e nei confronti
del Ministero dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca e della Scuola Media Statale [omissis],
in persona de rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura
Generale dello Stato, domiciliataria per legge presso la sede di Roma, via dei Portoghesi, 12;
dei signori R.E. e P. M., non costituitisi nel secondo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA – GENOVA, SEZIONE II, n. 00282/2009, resa tra le parti,
concernente CANCELLAZIONE DI ANNOTAZIONE AUTOGRAFA DAL REGISTRO DI
CLASSE.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2010 il Cons. Gabriella De Michele e uditi
per le parti l’avvocato [omissis], per delega dell’avvocato [omissis], e l’avvocato [omissis], nonché
l’avvocato dello Stato [omissis];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, sez. II, n. 282/09 del 5.3.2009
(che non risulta notificata) veniva accolto il ricorso proposto dal prof. YYY, avverso un
provvedimento del dirigente scolastico della scuola media statale “[omissis]”, con cui si disponeva
la cancellazione di un’annotazione autografa, apposta dal medesimo prof. YYY sul registro di
classe della sezione I G della predetta scuola, nel corso dell’anno scolastico 2008/2009. Nella citata
sentenza, emessa in forma semplificata ai sensi dell’art. 26, comma 5 della legge n. 1034/1971, si
recepivano le ragioni difensive riferite ad immodificabilità in via autoritativa di un atto pubblico,
quale deve ritenersi il registro di classe, ad opera del dirigente dell’Istituto scolastico interessato.
Avverso la predetta sentenza veniva proposto dal dirigente scolastico in questione – prof. XXX, già
intervenuto ad opponendum in primo grado di giudizio – l’atto di appello in esame, notificato il
18.5.2009 e depositato il 3.6.2009; in tale atto si rappresentava come la nota in questione, con la
quale si definiva un allievo di dodici anni “reo confesso di molestie sessuali riguardo ad una sua
compagna di scuola” avesse suscitato turbamento e reazioni, tali da compromettere il rapporto di
fiducia tra famiglie e docenti, fino alla riformulazione della nota stessa nei seguenti termini, ritenuti
più consoni alle circostanze: “M.P. importuna pesantemente una compagna”. Premesso quanto
sopra, avverso la sentenza appellata venivano prospettate le seguenti ragioni difensive:
1) erroneità della decisione per travisamento dei fatti, contraddittorietà e carenza di motivazione;
mancata individuazione dell’inammissibilità del ricorso, in quanto il citato prof. YYY non avrebbe
avuto alcun interesse alla proposizione dell’impugnativa, non essendo insegnante del ragazzo
coinvolto e non potendo quindi avere accesso al registro della classe di appartenenza del medesimo;
2) travisamento dei fatti, contraddittorietà e carenza di motivazione; violazione e mancata
applicazione dell’art. 468 del D.Lgs. 16.4.1994, n. 297, avendo il Capo dell’Istituto il potere di
intervenire con piena discrezionalità, in presenza di comportamenti lesivi della dignità della persona
degli studenti e del decoro dell’istituzione scolastica, nonché di compromissione del rapporto di
fiducia tra le famiglie degli alunni e la scuola; il medesimo Capo dell’Istituto, inoltre, sarebbe stato
leso dall’atto in questione anche sul piano personale, essendo stato ipotizzato un abuso della
posizione dirigenziale rivestita.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello, benché ammissibile, non possa trovare
accoglimento.
Va in primo luogo riconosciuta, infatti, la legittimazione attiva del dirigente scolastico, già
intervenuto in primo grado di giudizio, ad agire in secondo grado avverso l’annullamento in sede
giurisdizionale di un proprio atto: quanto sopra a tutela dell’interesse, anche di natura morale, a
preservare le modalità di gestione adottate per la conduzione dell’Istituto scolastico di cui trattasi,
sotto il profilo del corretto esercizio della disciplina interna e dei rapporti tra famiglie e docenti (cfr.
in tal senso per il principio, in rapporto a situazioni soggettive fatte valere processualmente nella
forma dell’intervento, Cons. St., sez. V, 13.4.1989, n. 215).
Nel merito, tuttavia, il doppio ordine di censure prospettato non appare condivisibile, pur ponendo
in evidenza principi di per sé corretti, circa l’ambito dei poteri di cui è titolare il dirigente
scolastico, ai sensi del decreto legislativo n. 297 del 1994.
Per quanto riguarda il difetto di interesse del ricorrente in primo grado (professor YYY), non
possono che trarsi conclusioni analoghe a quelle, giustificative della legittimazione dello stesso
attuale appellante, nei termini in precedenza indicati, dovendo riconoscersi – oltre all’interesse del
dirigente scolastico ad affermare il proprio indirizzo organizzativo e gestionale – l’interesse del
singolo docente a tutelare la propria autonomia e la dignità delle proprie decisioni nei confronti
degli studenti, anche ove per alcune iniziative il docente stesso avesse agito come vicario di un
insegnante della classe, non presente al momento dei fatti segnalati.
Nella situazione in esame il professor YYY – pur non insegnando nella classe di appartenenza dello
studente, investito dalla nota in discussione – si era trovato ad effettuare un accertamento di fatti di
rilevanza disciplinare, in quanto sollecitato dalla studentessa importunata ed aveva apposto
un’annotazione sul registro di classe, in ordine a quanto accertato: tale annotazione veniva
senz’altro ad integrare il contenuto del registro stesso, senza che si ponessero problemi circa la
competenza specifica del docente in questione ad operare in tal senso personalmente – senza previa
consultazione con il collega coordinatore della classe e con il dirigente scolastico – , potendo il
rapporto organico instaurarsi anche in via di mero fatto, per il corrispondente noto principio
pubblicistico, finalizzato ad assicurare la certezza delle situazioni giuridiche nei confronti dei
cittadini, che vengano a contatto con una pubblica amministrazione. Quanto sopra, a prescindere
dalla considerazione secondo cui il docente in questione, in effetti titolare di un incarico di
insegnamento presso la scuola di cui trattasi – sia pure per un corso di lingua straniera non seguito
dallo studente, al quale si riferisce la nota disciplinare – ben poteva ritenersi investito di una
funzione vicaria degli altri appartenenti al corpo insegnante di quest’ultimo, per un fatto posto alla
sua diretta attenzione ed avvenuto all’interno della scuola, ma al di fuori dell’aula in cui si
svolgevano le lezioni.
Ugualmente non condivisibili appaiono le argomentazioni difensive, volte ad escludere
l’intangibilità della nota disciplinare di cui trattasi, per estraneità della medesima al contenuto
proprio dell’atto pubblico, avendo il professor YYY riportato sul registro “fatti non accaduti in sua
presenza e nemmeno dallo stesso percepiti direttamente”.
Fermo restando, infatti, che rientra fra i contenuti propri del registro di classe la registrazione di
eventuali mancanze commesse dagli allievi (cfr. anche Cass. Pen., sez. V, 21.9.1999, n. 12862,
citata dallo stesso appellante) e che appare innegabile natura di atto pubblico del documento in
questione (come verbalizzazione, effettuata dall’insegnante in quanto pubblico ufficiale, in ordine
all’andamento ed al rendimento di ciascun allievo nel corso dell’anno scolastico: cfr. in termini
TAR Sardegna 17.6.2002, n. 705), non può ritenersi, ad avviso del Collegio, che l’annotazione di
cui si discute fosse estranea ai contenuti, la cui efficacia è sancita dall’art. 2700 cod. civ. (“piena
prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha
formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta
avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”).
La fede privilegiata dell’atto pubblico riguarda, in effetti, non solo fatti compiuti dal pubblico
ufficiale o avvenuti in sua presenza, ma anche dichiarazioni ricevute, quando di queste ultime si dia
attestazione, nell’esercizio del potere di documentazione e nella contestualità della formazione
dell’atto, a prescindere dall’intrinseca veridicità delle dichiarazioni stesse (giurisprudenza pacifica;
cfr., fra le tante, Cass. Civ., sez. I, 17.12.1990, n. 11964; Cass. Civ., sez. II, 30.7.1998, n. 7500 e
30.5.1996, n. 5013). L’ambito attestativo sopra precisato non può, peraltro, essere circoscritto alla
mera formulazione espressa, quando vi siano presupposti necessari (cosiddette attestazioni
implicite), inerenti attività del pubblico ufficiale non menzionate nell’atto, ma costituenti necessario
presupposto di fatto dell’attestazione (cfr. in termini Cass. Pen., sez. V, 12.4.2005, n. 34333, riferita
alla registrazione della presenza o assenza degli studenti sul registro di classe, previa opportuna
verifica). E’ dato di comune esperienza, inoltre, che la peculiare natura del registro di classe implica
che siano nel medesimo registrate, come fatto storico e indipendentemente dalla relativa congruità,
delle valutazioni, espresse con voto numerico o in forma descrittiva di una condotta, ritenuta
disciplinarmente rilevante. Di quest’ultima natura era l’annotazione, di cui si discute nel caso di
specie, avendo il professor YYY riferito, nei termini dal medesimo percepiti, la circostanza
segnalata da un’allieva – quale comportamento offensivo nei suoi confronti, posto in essere da un
compagno di scuola – nonché la successiva ammissione del fatto da parte di quest’ultimo.
Le espressioni nella fattispecie utilizzate, in effetti, potrebbero apparire inadeguate, sia per la
giovanissima età degli studenti coinvolti, sia per l’utilizzo di un linguaggio giuridico
(dall’espressione “reo confesso” a quella di “molestie sessuali”) non consono ad una situazione, in
cui il dirigente scolastico ed il consiglio di classe dovevano essere chiamati a formulare le proprie
valutazioni, in una dimensione pedagogicamente e disciplinarmente valida, affinchè il responsabile
potesse ben comprendere il significato del proprio gesto, con pieno e non traumatico ripristino di
rapporti più corretti fra gli allievi.
L’annotazione di cui si discute, tuttavia, non era modificabile in via autoritativa ad opera di un
soggetto terzo – ivi compreso il dirigente scolastico – non presente al momento del fatto stesso e
all’atto della relativa registrazione. Quanto sopra induce a respingere il primo ordine di censure, ma
non esclude che il citato dirigente scolastico avesse il potere-dovere di intervenire in una vicenda,
ritenuta tale da mettere in discussione la serenità dell’ambiente scolastico ed i rapporti con la
famiglia del giovanissimo interessato: tale intervento, tuttavia, avrebbe potuto estrinsecarsi
nell’avvio di un procedimento di verifica e riesame, al termine del quale fosse possibile evidenziare,
con ulteriori annotazioni decise dal consiglio di classe, una diversa valutazione dell’episodio
contestato (ove riconducibile ad un intendimento scherzoso e non di molestia vera e propria), con
soluzioni conclusive da adottare, auspicabilmente, anche nel pieno rispetto della sensibilità della
persona offesa e dell’autorevolezza del corpo insegnante.
Le medesime ragioni di rasserenamento dell’ambiente scolastico avrebbero giustificato, come
prospettato dall’appellante, anche un intervento d’urgenza del medesimo nei confronti del più volte
citato professor YYY, a norma dell’art. 468, comma 2 del D.Lgs. 16.4.1994, n. 297; in base al
principio di legalità, tuttavia, tale intervento non avrebbe potuto assumere carattere atipico, e
dunque estrinsecarsi in misure diverse da quelle previste dalla norma: sospensione dell’insegnante,
sempre che il comportamento di quest’ultimo potesse ritenersi incompatibile con la funzione
educativa (circostanza tutt’altro che pacifica, in presenza di una misura dallo stesso adottata con
severità, ma non senza ragione, pur potendosi poi pervenire a valutazioni più indulgenti).
In nessun caso, tuttavia, poteva ipotizzarsi un diretto intervento correttivo del dirigente scolastico
sul registro di classe, né ai sensi del citato art. 468 D.Lgs. n. 297/1994, né in base alle altre norme,
dettate in materia di competenza del dirigente stesso (artt. 163 e 396 D.Lgs 297/94 cit.).
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto, mentre
ravvisa giusti motivi per la compensazione delle spese giudiziali, tenuto conto della delicatezza
degli interessi coinvolti e dei comportamenti rilevati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello n. 4665 del 2009.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2010 con l’intervento dei
magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 31/01/2011