Incontro con Luigi Ballerini

Incontro con Luigi Ballerini autore di “IO SONO ZERO”, editore il Castoro, 2015

di Mario Coviello

ballerini1Ho incontrato Luigi Ballerini per parlare della “Signorina Euforbia”che partecipa al Torneo di lettura tra dieci scuole in rete della provincia di Potenza, coordinate dalla bibliomediateca “ A. Malanga” dell’Istituto Comprensivo di Bella( Potenza). Ho ascoltato subito dopo lo scrittore a Farheneit nella presentazione del suo ultimo libro “ Io sono zero” e dopo aver letto il libro che mi ha appassionato gli ho rivolto alcune domande.

Zero sta per compiere quattordici anni. Non ha mai toccato un altro essere vivente, non ha mai patito il freddo o il caldo, non sa cosa siano il vento o la neve. Zero è vissuto nel Mondo, un ambiente protetto, dove è stato educato, allenato e addestrato a combattere attraverso droni e a raggiungere obiettivi.
Quando un giorno il Mondo si spegne e diventa tutto buio, Zero involontariamente esce ed entra nel mondo, quello reale, dove nevica e fa freddo, non si comunica attraverso schermi, non c’è nulla che lui sappia riconoscere.
Inizia da qui la seconda storia di Zero che, in una fuga sempre più pericolosa da chi l’ha cresciuto, dovrà capire la ragione della sua esistenza e dovrà trovare un modo per vivere nel mondo reale, quello complicato dove dentro e fuori, sapori e odori, amore e ribellione esplodono.

Qui di seguito la nostra conversazione.

Dopo il grande successo della “ Signorina Euforbia” premio Andersen 2014, hai completamente (o forse no) cambiato genere.Dall’atmosfera ovattata della cucina di una pasticceria siamo passati ad un alloggio supersegreto nel quale le padelle sono state sostituite dai touch screen. Hai raccontato di “Zero” un ragazzo che compie quattordici anni ed è stato allevato da una organizzazione super segreta per diventare una “macchina di guerra” . Perché questa scelta ?

I miei libri nascono dalle occasioni che mi si presentano, non sono mai pianificati a tavolino per tematiche. Tempo fa, era un domenica sera in cui avevo lavorato tutto il giorno su un tablet, mi sono recato a Messa e siccome ero in fondo alla chiesa e non sentivo né vedevo bene ho letteralmente “zoomato” il prete davanti a me. Ossia ho provato a ingrandirlo aprendo il pollice e l’indice della mano destra nell’aria come avessi a che fare con un touch screen. Un istante dopo lo sconcerto per il mio gesto e per come mi ero ridotto è subito sorta in me una domanda: “ma se un ragazzo avesse vissuto quattordici anni solo a contatto con touch-screen e di colpo si trovasse nella realtà, come reagirebbe?”. Ecco “Io sono Zero” è iniziato proprio in quel momento.

In tutto il romanzo Zero, vissuto per 14 anni solo con lo schermo di un computer, deve fare i conti con la realtà in cui piomba. La realtà è fatta di freddo, caldo, neve, dolore…emozioni.La realtà è fatta di libri che pesano, di carezze e abbracci che fanno paura.Hai voluto forse lanciare un grido d’allarme per chiedere ai genitori, alla scuola,alla società che i nostri adolescenti vivano il reale, il sudore,gli odori, i sapori, il cielo e non il soffitto?

Il rischio che i nostri ragazzi riducano considerevolmente la possibilità di esperienza nel reale esiste davvero. Non dobbiamo demonizzare la tecnologia, che anzi ci aiuta, supporta e facilita. Dobbiamo tuttavia riconoscere che per fare esperienza occorre che il corpo, nella sua interezza, si applichi, si coinvolga e si comprometta col reale. Noi siamo motricità, sensibilità e pensiero. È un di meno operare una riduzione di questa unità. Rischia di iniziare molto presto. Pensiamo al “colorare” su un tablet. Questo tipo di attività che può arrecare un certo grado di soddisfazione, tuttavia non ha tutta la portata del colorare con carta e matite o tempere o pastelli a cera. La pressione sul foglio che può anche bucarlo, le dita che si sporcano, l’oggetto da stringere, l’odore del colore, il suono della matita sulla carta, sono insostituibili. Certo, alle mamme l’uso del tablet può risultare più pulito e comodo, ma si taglia via qualchecosa. E una partita di calcetto giocata sul campo con gli amici non è la stessa cosa di una partita giocata su una consolle.

È a tema anche la questione della conoscenza. Si conosce via esperienza e l’esperienza riguarda tutto il corpo. Non si impara solo nella Rete e con la Rete.

Zero viene accolto da una giovane coppia che non può avere figli. Stefania e Luca si scoprono diversi, capaci di lottare in una situazione eccezionale per difendere e salvare Zero, anzi 2.0, (quanta ironia)la “ loro creatura”. Attraverso loro cosa hai voluto suggerire ai giovani genitori di figli adolescenti toppo immersi nel virtuale

Una delle attenzioni che possiamo avere oggi nei confronti dei bambini e dei ragazzi è permettere loro di vivere un reale convincente e soddisfacente. Non è detto che sia scontato. I genitori del 2015 sono spesso preoccupati e spaventati per le sorti dei loro figli e possono essere tentati dall’idea che averli in casa, sotto gli occhi, magari connessi a un dispositivo, rappresenti una situazione di sicurezza. In realtà con la rete può entrare in casa di tutto, anche ciò che è più contrario all’uomo, magari proprio ciò che si teme di più dal “fuori”. Favorire il reale significa aprire le case, permettere di invitare gli amici, fare rete fra genitori in modo da lasciarli andare anche a casa di altri, far frequentare luoghi di socialità come possono essere gli oratori, i centri sportivi, le scuole… Uno slogan che ho coniato è che la sfida col virtuale si vince nel reale. Con un reale affascinante la tecnologia non sarà alternativa, ma supplementare e i giovani ne sapranno fare buon uso.

Mi sembra che tu voglia lanciare anche un generale monito per l’uso consapevole della rete e delle tecnologie. Quando scappano per nascondere Zero Stefania e Luca buttano via il cellulare, usano solo denaro contante, si nascondono in una baita isolata per sfuggire al “grande fratello” che ci controlla. E’ così ?

In realtà credo che una persona che sta bene possa vivere persino in una situazione da “grande fratello”, ossia non ha nulla da nascondere. Tuttavia credo valga la pena di lanciare il monito di non essere ingenui, soprattutto nell’uso della Rete. Troppo spesso noi, ma soprattutto i ragazzi, sottovalutiamo l’effetto del postare foto, video e frasi. La cosiddetta “internet reputation” è qualcosa che ci riguarda da vicino e che può avere effetti sul presente e sul futuro. Un uso consapevole e non ingenuo dei Sociale Network, ad esempio, è qualcosa per cui dobbiamo lavorare: se ne deve parlare coi ragazzi, non lasciarli soli allo sbaraglio.

Anche in “ Io sono zero” come nella “ Signorina Euforbia” c’è un nonno, un nonno generale. Perché Luigi Ballerini non può fare a meno di raccontare i nonni ?

Quando presenti in una famiglia. i nonni rappresentano una grande risorsa. Non solo in termini di aiuto concreto (spesso lo forniscono), ma anche di continuità col passato con la propria storia. Un nonno e una nonna attenti, più liberi dalla preoccupazione educativa dei genitori che talora li rendono un po’ soffocanti, possono essere ambiti di respiro per i bambini e i ragazzi. Con loro si possono fare cose che altrimenti non sarebbero possibili, la loro maggior disponibilità di tempo li rende più pazienti e tranquilli facilitando il dialogo e lo star bene insieme. L’importante è che da parte loro non siano invadenti, che non vogliano sostituirsi ai genitori, che favoriscano sempre il rapporto dei figli con mamma e papà.

-Ed infine una notazione sul tuo modo di raccontare. Ancora una volta il discorso diretto. Luigi Ballerini è Zero e il suo alter ego, sempre scritto con un altro carattere,è Luca, Stefania, il generale e il suo amico Antonio. Il libro si legge d’un fiato perché ti prende subito. Come scrivi ?, dove ?, come nascono le tue idee?,chi legge per primo i tuoi romanzi?. Questa volta hai fatto leggere prima il romanzo ai tuoi figli ? E chi tu o loro ama i Beatles, i western e l’Uomo Ragno che ci avvolge nella sua tela appena apriamo “ Io sono zero”?.

Come molti scrittori italiani faccio un altro lavoro oltre a scrivere. Io sono uno psicoanalista. Quindi scrivo appena ne ho l’occasione e ovunque posso. La scrittura è un’attività certo piacevole e di soddisfazione, ma anche impegnativa, un’attività a cui dedico tutto il tempo che posso. Non credo al mito romantico dello scrittore ispirato che scriverebbe in una specie di stato di “trance”, credo piuttosto che scrivere sia un’attività artigianale, metodica, dove il prodotto del lavoro è qualcosa che va continuamente limato, ripulito, sistemato. Scrivere è in realtà sempre riscrivere, almeno per me.

I miei libri li faccio spesso leggere a qualche giovane prima di inviarli all’editore, possono certo essere i miei figli, in particolare penso ad Anna e Chiara con la sensibilità delle loro diversa età, ma anche a figli di amici e lettori che mi seguono. Il loro parere è sempre prezioso per me.

Nelle storie, nei personaggi casca sempre qualcosa di me. Non tanto come identificazione totale con un protagonista, quanto con diversi aspetti di me che vanno a intridere il tessuto dei personaggi. Così la mia parte antipatica finisce nell’antipatico, la cattiva nel cattivo, la generosa nel generoso, l’angosciata nell’angosciato. E poi si insinuano anche i tratti delle persone che incontro. Così in Zero ritroviamo i Beatles che piacevano a me da giovane, il Western che entusiasmava mio padre e l’Uomo Ragno che occupa troppo la testa di un ragazzo che conosco.

Scrivere è raccontare l’uomo e il mondo, partendo sempre da sé.