La radiosa lettera di maggio 

LA RADIOSA LETTERA DI MAGGIO


di Alessandro Basso


Abbiamo tutti i ricevuto la lettera che il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha inteso inviare al corpo docenti italiano.

In premessa, anche per unirsi nell’omologazione critica e non esserne tagliati fuori completamente, viene da considerare che la scelta della lettera risulti essere un po’ contraddittoria con il modello della “renzizzazione” così come riesce difficile immaginare il nostro premier davanti ad una lavagna con il gessetto bianco, simulacro di una scuola che non c’è più e che non vogliamo far risorgere.

Se è stata una scelta politica, non è sembrata poi così efficace, nonostante le doti comunicative del premier permangano e risultino essere financo attrattive, con la viva possibilità, ahinoi,che la lettera faccia la fine dell’agenda di morattiana memoria. 

Il dibattito politico sul disegno di legge “La buona scuola sta procedendo a Palazzo così come sta procedendo tra i corridoi delle scuole la vis polemica che ha caratterizzato l’ultimo periodo lo si coglie osservando gli sguardi perplessi degli insegnanti che si sentono in qualche modo obbligati a mantenere questa posizioneallo stesso tempo pur non comprendendone pienamente la portata e il significato, per ragioni ideologiche entro le quali sono trascinati.

Una folta platea di insegnanti sta portando avanti la propria personale battaglia leitmotiv Nessuno mi può giudicare” purché non si debba scegliere se valutare prima i presidi o prima gli insegnanti:  meglio non valutare nessuno, la strada dell’omologazione e dell’appiattimento è in discesa e a proteggere tutti c’è lo scudo del preside scerifforambo-tiranno-sindaco-despota.

Non vale la pensa spiegare che il preside non avrà poteri ,ancorchécalmierati dagli emendamenti, ma sarà il fulcro e il responsabile di quell’autonomia di cui ci laviamo la bocca da quasi vent’anni.

I sindacati propongono corsi e formazioni sull’autonomia, persino la Costituzione la ha consacrata, ma è bella finché non si realizza compiutamente. Molto più comodo rimpiangerla, criticarla e sacrificarla all’altare del qualunquismo.

E allora la lettera specifica che nessuno può essere licenziato, che le aziende non avranno alcun ruolo all’interno del Consiglio d’Istituto, quasi fossero una contaminazione della purezza della conoscenza purché il mondo del lavoro rimanga silenzioso al di fuori delle pareti scolastiche nel Paese con la disoccupazione giovanile al 40%. L‘alternanza scuola lavoro e gli stage svolti durante l’estate sono sembrati una forma di schiavismo, non una forma per fare introdurre i nostri giovani all’interno del mondo del lavoro.

Sono rimasto anche molto perplesso dal fatto che il nostro capo del governo si sia sentito in obbligo di specificare che non si toccano i giorni di vacanza, quasi a voler far breccia nel cuore di migliaia di professionisti della scuola che in questo tabù intravvedono la grande muraglia della sopravvivenza stessa della categoria, quasi a far finta che nessuno si sia mai accorto, dentro e fuori la scuolache i due mesi di vacanza all’anno esistono veramente, perlomeno per un gran numero di insegnanti del primo ciclo (scusate, non sono vacanze, ma periodi di interruzione didattica; il preside sceriffo potrebbe pur sempre convocare un collegio docenti a luglio in caso di cataclisma).

Qualcuno si sarà mai chiesto se una svolta contrattuale potesse proprio arrivare dal rivedere questa strutturazione anche  perrecuperare credibilità nei confronti del mondo del privato che non ha mai capito questa scelta e non ha mai nemmeno capito l’orario di lavoro settimanale dei docenti?

Lavoro al quale si aggiunge lavoro a scuola, nella scuola, per la scuola oltre che nella preparazione delle lezioni e nella correzione dei compiti.

Per compiere questa svolta si dovrebbe guardare oltre il dito dietro al quale siamo nascosti per parlare di quanti lavorano le famose 17 ore 59 minuti e 59 secondi che tanto apprezzamento hanno avuto in un mio scritto precedente, cui si contrappongono, a parità salariale, gli insegnanti che sacrificano i propri sonni per i loro ragazzi (che in termini quantitativi, fortunatamente, sono la maggioranza). 

Sarebbe opportuno si parlasse del doveroso tentativo di recuperare l’autorevolezza sociale del mestiere dell’insegnante anche senza scomodare i cliché del parroco, del sindaco e della maestra di 50 anni orsono, ma dovremmo sgombrare il campo e dire  della apprezzabile “serietà che ha caratterizzato uno sciopero indetto nella giornata delle prove INVALSIunica forma di valutazione esistente all’interno della scuola e come tale destinataria di tanta veemenza.

Nessuno, però, ha avuto  il coraggio di dire che lo sciopero era contro le provein quanto scioperare contro le prove Invalsi ècome scioperare contro il ciclo delle stagioni: e qualcuno dovrebbe anche spiegare il ruolo dei collaboratori scolastici nello sciopero contro il sistema di valutazione nazionale degli apprendimenti.

Un ulteriore proposta di caratterizzazione professionale è rappresentata dal blocco degli scrutiniper il quale si è scomodato persino il giudice Imposimatoche pare aver smesso le vesti da giurista per indossare quelle di lider maximo rischiando di rubare il mestiere ai segretari della triplice.

In questa dialettica ci si sta domandando se bloccare gli scrutini e le prove Invalsi sia a favore dei nostri ragazzi? È stato spiegato questo ai genitori che hanno scelto, in alcune zone del paese, di non far fare le prove Invalsi ai propri figli?

Non è forse la scuola che deve insegnare che il merito, al netto degli slogan facilmente sdoganabili, non è una parolaccia, che vainstillato nelle menti dei nostri ragazzi onde non cedano alla tentazione di puntare al ribasso anziché per aspera ad astra?

Dovremmo insegnare loro che è il cambiamento è necessario ma bisogna che lo facciamo noi stessi in prima linea e non che si attenda che a farlo siano gli altri.

Sicuramente non diventeremo una potenza super culturale attraverso l’assunzione di decine di migliaia di precari: ormai si è capito che si deve fare, è giusto che venga fatto, ma non si svilisca l’operazione in una contrattazione in cui spostare l’asticella dalle graduatorie ad esaurimento, ai PAS, ai TFA, ai non abilitati come se il precariato non fosse mai esistito e non fosse una patologia da eradicare. Si rischia di dare adito ai maligni che vedono nell’operazione un’ulteriore, legittima,  occasione occupazionale piuttosto che l’ardore incessante  della fiamma sacra dell’insegnamento.

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