I compiti delle vacanze sono un “incubo” per gli studenti

da La Stampa

I compiti delle vacanze sono un “incubo” per gli studenti

L’appello del pediatra ai professori: “Non assegnateli più, meglio degli “allenamenti” su tablet e smartphone”

Una spada di Damocle incombe sul capo di circa 6,3 milioni di alunni. «Tanti sono quelli che, con la fine della scuola ormai alle porte, saranno costretti a fare i compiti delle vacanze. Gli unici salvi sono i bambini di quinta elementare e i ragazzi di terza media, mentre il 62% degli altri si trascinerà problemi, operazioni, testi, traduzioni e analisi grammaticale da giugno a settembre».

 

A fare i conti per l’Adnkronos Salute è Italo Farnetani, pediatra di Milano che dal 2004 si batte contro i compiti delle vacanze. «Sono inutili, perfino dannosi per i ragazzi, e costosi per le famiglie. Inoltre quasi nessuno li controlla al rientro a scuola. Ecco perché – spiega – quest’anno rivolgo un appello agli insegnanti alle prese con le ultime verifiche: non assegnate i compiti per le vacanze».

 

E al classico consiglio sui libri da leggere o sui diari delle giornate estive da compilare, il pediatra preferisce «“allenamenti” su tablet e smartphone: sono ideali per i nativi digitali, che già sui propri profili social raccontano agli amici gli eventi più divertenti della giornata. Non sarà faticoso farlo durante le ferie, e questo stimolerà le capacità descrittive e quelle di sintesi. Soprattutto non sarà un peso per i giovanissimi, ma un divertimento».

 

Per Farnetani, infatti, «i compiti sono una vera piaga: un obbligo assolto con poco entusiasmo dagli alunni, sempre su stimolo dei genitori, in un momento dell’anno in cui invece dovrebbero stare all’aperto, giocare, riscoprire la natura, le amicizie, la famiglia e persino la noia. Invece temi e problemi diventano un “tormentone” estivo per il 62% degli studenti, che se li centellina da giugno a settembre. Parliamo di 3 milioni 900 mila alunni, a cui davvero sembra che i compiti non finiscano mai».

 

Ai “centellinatori” seguono i “forzati di giugno-luglio”: il 30% degli alunni «si porta avanti, per poi fare le ferie in libertà ad agosto. Ma questi ragazzi, circa 1 milione e 900 mila, rischiano di passare da soli troppi pomeriggi in città alle prese con gli esercizi, mentre potrebbero divertirsi con gli amici e godere del tempo libero in modo più proficuo».

 

Ci sono poi gli “agostani”, circa il 2%: «Sono partiti a luglio e dunque accumulano i compiti ad agosto, per un triste ritorno in città. Inoltre ci sono le “cicale”: il 4% dei ragazzi, che si sono goduti l’estate e si ritrovano a settembre con la pila di assegnazioni da smaltire. Sono forse i più logici: concentrano il ripasso al rientro, ma difficilmente riescono a finire tutti i compiti».

 

Infine gli “irriducibili”: «In genere più grandicelli, rappresentano il 2% degli studenti e hanno ormai deciso di non fare i compiti». Una ribellione che accomuna circa 125 mila ragazzi, «di cui però non si accorge nessuno: perché sono pochissimi gli insegnanti che controllano il lavoro svolto. Anche per questo dico da anni di abolire i compiti: imporre qualcosa senza verificare se viene fatta è controproducente per chi è stato ligio, ma anche per i ribelli. Inoltre la vacanza, come insegna il nome, deve essere un periodo di “vuoto” dagli impegni, di riposo, giochi, divertimento, fantasia. Fuori dalle mura scolastiche i giovanissimi imparano a conoscere il mondo, a fare amicizia, a riscoprire i famigliari, a diventare autonomi. È un momento importantissimo, cruciale per lo sviluppo di passioni e personalità».

 

E se si dimentica tutto il lavoro svolto in classe? «Noi abbiamo una memoria e breve termine e una a lungo termine, dunque se le nozioni sono state ben fissate, basterà un veloce ripasso a settembre per farle riemergere. Inoltre in un periodo di crisi – dice il pediatra – trovo davvero assurdo far spendere tanto denaro alle famiglie per i compiti delle vacanze. Piuttosto, lascerei del tempo ai ragazzi con tablet, smartphone e pc: in questo modo fanno un esercizio linguistico, imparano a condividere, possono fare piccole ricerche, scrivono tanto, e lo fanno volentieri. Il nostro è ormai un mondo digitale, e occorre adeguare anche l’approccio didattico».

 

Secondo il pediatra «costringere un ragazzino a leggere un libro scelto da un adulto, mentre un compagno mangia un gelato e un altro gioca a pallone, non aiuterà a trasmettere la passione per la lettura. Se si amano le storie e le avventure, via libera ai “vecchi” testi, altrimenti oggi i ragazzi possono scoprire il mondo anche con un clic. Capirlo e guidarli, condividendo questa esperienza e parlandone insieme, può essere utile anche ai grandi».