P. De Marzo, Frammenti di luce

Nella Luce dell’esistenza, una vibrante voce di donna: la parola poetica di Paola De Marzo

di Carlo De Nitti

 

 

 

Il poetare è la capacità fondamentale dell’abitare umano.

Ma l’uomo è capace di poetare soltanto

nella misura in cui la sua essenza è traspropriata

a ciò che da parte sua ama e rende possibile l’uomo,

e perciò adopera e salvaguarda la sua essenza.

MARTIN HEIDEGGER

L’amicizia trascorre per la terra annunziando a tutti noi

di destarci per darci gioia l’un con l’altro

EPICURO

 

 

  1. PREMESSA

 

demarzoQuesto testo è una rielaborazione del mio contributo Tra frammenti di luce, una voce di donna …, che ha visto la luce come prefazione del volume di PAOLA DE MARZO, Frammenti di luce, uscito – or è qualche giorno – per i tipi della Casa Editrice Gelsorosso di Bari. Le righe che seguono non ambiscono a costituire un’ipotesi critica intorno ai testi, operata con gli strumenti professionali della filologia e dell’analisi testuale: esse hanno, più semplicemente, come fine quello di ricostruire un percorso tematico compiuto dall’Autrice, attraverso una lettura dei suoi testi poetici in una prospettiva che potrebbe essere definita realistica.

Poetare è un modo umanissimo – ben noti sono il verso di Friedrich Holderlin e l’interpretazione heideggeriana del medesimo[1] – di abitare la Terra da parte delle donne e degli uomini, per vivere nel mondo con la propria singolare soggettività interiore. La poesia è la via regia della riconciliazione dell’umano con se stesso, consentendo al Poeta di essere consapevolmente nel mondo, in una luce nuova.

In questa silloge, non sono né casuali né giustapposti i bellissimi disegni di Lucia de Marco che accompagnano e variamente caratterizzano le poesie.

 

 

 

  1. FRAMMENTI DI LUCE E DI ENERGIA

 

In quest’ottica, Paola De Marzo ci offre i suoi componimenti poetici – “frammenti di luce” li chiama – perché “a volte dimentichiamo quale sia il nostro compito su questo pianeta … SIAMO ESSERI DI LUCE in un corpo di materia … la rabbia, il dolore, la malinconia, il risentimento, vanno trasformati in Luce e Amore, solo così potremo ritrovare il nostro splendente Spirito”[2].

In questa sua prima raccolta di trentotto poesie, l’Autrice – docente di lettere, esperta di psicopedagogia, ma anche, non casualmente, insegnante di Tecniche di Meditazione e Reiki, un’antica disciplina bioenergetica di origine orientale – esprime a tutto tondo la sua visione della vita e del mondo: vivere in armonia con gli Altri e con il Cosmo, partendo da una soggettività femminile forte, ricca di quell’interiorità affettiva unica, che soltanto il dono della maternità (matris munus, non a caso, è l’etimo della parola matrimonio) consente di conseguire: “Come una Dea / ho corso perdifiato / nei mattini puliti / di un settembre solo nostro […] Settembre / con le sue brezze profumate / portò vita / nel mio tormentato Spirito bambino”[3] (Settembre).

Una femminilità forte e proteiforme quella espressa dalla De Marzo, che è declinata in diverse accezioni ed in plurimi significati, espliciti e reconditi. Femminilità archetipa come in Mia madre: “Grande Madre in te risiede la mia gioia e il mio sorriso […] ho sentito il tuo amore scendere dal cielo nelle fitte gocce di pioggia […] Nel tuo grembo ho imparato ad amare, ad accogliere, a comprendere, a sorridere perdonando”[4]; femminilità prospettica in Micaela: “Non temere di seguire/ le fate, gli gnomi e gli elfi del bosco, / anche se ti diranno che è tutto un sogno… / Credi nella tua Anima femminile, / tu sei una Dea, così come lo sono state tutte le Donne che hanno abitato questo pianeta. / Ama con cuore tenero, dolce, sincero… / Soffrirai / ma non importa, / avrai amato sentendo un / brivido nelle tua Anima”[5] ed in Figlio (“Osservi con Spirito bambino / occhi agitati / mani confuse / labbra pietrose / ed io / ti tendo il sorriso / scaldandoti il cuore”)[6]; femminilità solidale in Volteggiando: “Camminerò / in punta di piedi / per asciugare i tuoi pensieri / rigati di lacrime”[7], ma anche in Mia amica (“[…] il tuo respiro unisce al mio / nella danza / della nostra amicizia”[8]); femminilità consapevole: “Mi ritrovai a cantare inebriata / con altre Dee / Donne e Sorelle di luce che, come me, / seguivano il cammino nel rosso del sole”[9] (Il cammino della Dea).

E’ la femminilità una dimensione senza tempo, in cui l’io è in armonia con il noi e con il cosmo (Ucronia): “Guerriera senza paura / Figlia senza tempo,/ dinanzi un cammino / solo mio / ed io immobile / fissavo gli occhi / di un cielo / sospeso nel presente[10] che si trasforma in una continua pratica di vita. In questa prospettiva, affascinante è la poesia che dà il titolo all’intera silloge, Frammenti di luce e di vita che nella Luce si compie: i frammenti “vibrano, danzano, volano […] si innalzano […] si mescolano […] si sciolgono” nell’unità socio-psico-somatica della persona/poetessa (“li stringo in una danza lieve, / ma indomita / li ricompongo nel mio cuore”)[11].

L’orizzonte valoriale in cui la dimensione di genere si inscrive è quello di un’armonia cosmica che abbraccia maternamente chi riesce a viverla mediante una sorta di metànoia interiore che consente di coniugare ‘terra’ e ‘cielo’: “Il mio Spirito / un albero / immerso tra cielo e terra. / Radici intrecciate […] Chiome mosse da luminoso vento […] libera contemplo / lo spazio infinito”[12] (Il mio Spirito). Un messaggio d’amore a tutto tondo verso l’Altro con cui vivere in simbiotica comunione: “Viaggiai / vibrando all’unisono / con i pianeti, / non temevo l’infinito / assaporando / le vibrazioni dello spazio”[13] (Stelle). Un cum – vivere che nulla – la lontananza fisica, i drammatici distacchi che la vita purtroppo impone agli esseri umani, la morte – riesce a scalfire o a recidere, in una dimensione ancora una volta ucronica degli affetti: “Non so / cosa ci sia dall’altra parte / forse / fili di luce nel cielo / dove / ho sperato di cogliere / visi / di chi non c’è più […] ho vinto il silenzio / nel ricordo / di voci che erano mie, / ho fissato nel vento / tutti i momenti scanditi / nella mia memoria bambina”[14] (Non so).

Con un linguaggio semplice, quasi quotidiano, che proprio per questa ragione arriva dritto ai cuori di tutti i lettori in modo estremamente efficace (“Viaggio nelle rotte del mio cuore regalandomi un vento […] luminoso, luccicante che abbaglia tepori di vibrazioni solo mie”[15], Le rotte del cuore) – che c’è da augurarsi essere tantissimi – la poetessa veicola il suo “augurio” di fiduciosa speranza: “Ho chiuso cerchi / per ricominciare / a vivere […] per dileguare / le ombre della notte, / aprendo la porta / a girandole di luce colorata”[16] (Ricominciare).

 

 

  1. INSEGNARE POETANDO E POETARE INSEGNANDO

 

Quelle “girandole di luce colorata” cui – coniugando passione poetica ed educativa – Paola De Marzo fa accedere le sue alunne ed i suoi alunni preadolescenti, “aprendo la porta” ed appassionandoli con il linguaggio poetico alla pratica della poesia: “ci trasformeremo in farfalle, / librandoci nell’aria, / la nostra trasformazione prenderà vita in / mille colori sfumati di gioia. / Il cuore tra fiori, alberi, stelle / pulserà / nella danza leggera”[17] (Farfalle).

La parola poetica si fa – nella quotidiana prassi pedagogica di Paola De Marzo – strumento ed esempio educante, offrendo il proprio specifico contributo nella legittimazione del valore della persona e della sua educazione integrale. Notoriamente, la poesia è in grado di facilitare nei discenti, segnatamente nella fascia della “preadolescenza”, una serie di “saperi” / competenze:

  1. a) la conqui­sta di una maggiore consapevolezza di sé e di ciò che è Altro da sé;
  2. b) l’esercizio del diritto all’originalità espressiva ed all’autentica singolarità;
  3. c) la promozione e l’arricchimento della dimensione emotiva ed affettiva;
  4. d) la valorizzazione della competenze semantiche, linguistiche e lessicali;
  5. e) il pluralismo cognitivo ed il pensiero divergente ed, infine,
  6. f) la funzione sociale del messaggio poetico[18].

Provare a far conseguire queste competenze in età preadolescenziale è un dovere professionale per tutti i docenti che in-segnano, riuscirci a pieno anche con riconoscimenti pubblici ai discenti è dei poeti, che riescono ad insegnare poetando ed a poetare insegnando.

[1] MARTIN HEIDEGGER, Poeticamente abita l’uomo, in MARTIN HEIDEGGER, Saggi e discorsi, Milano 1976, Mursia.

[2] PAOLA DE MARZO, Frammenti di luce, Bari 2015, Gelsorosso Editrice, p.5.

[3] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 46.

[4] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 28.

[5] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 26.

[6] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 29.

[7] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 18.

[8] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 27.

[9] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 24.

[10] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 45.

[11] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 31.

[12] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 22.

[13] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 12.

[14] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 23

[15] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 37.

[16] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 50.

[17] PAOLA DE MARZO, Op. cit., p. 19.

[18] E’ pleonastico aggiungere che, a suffragare quanto asserito – che è, di certo, nell’esperienza di chiunque svolga attività di docenza – potrebbe essere citata una bibliografia enorme, che esulerebbe dai limiti del presente testo.