A. Moore, La moglie dell’albergatore

Il posto che non c’è

di Antonio Stanca

  A Maggio del 2015, nella serie “Le Piccole Varianti” della casa editrice Bollati Boringhieri di Torino, è stato pubblicato il romanzo La moglie dell’albergatore della scrittrice inglese Alison Moore. La traduzione è di Carlo Prosperi (pp.169, € 9,50). La Moore ha quarantaquattro anni, è nata a Manchester nel 1971 e vive nei pressi di Nottingham col marito e un figlio. Ha scritto questo romanzo nel 2012 dopo aver scritto dei racconti che ha pubblicato su riviste o in antologie tra le quali Best British Short Stories. La moglie dell’albergatore è il suo romanzo d’esordio e nel 2012 è stato selezionato per il Man Booker Prize e per il Book Awards National. Nel 2013 ha vinto il Premio Mckiherick.

   Quello della fantascienza, dell’horror è il genere nel quale la scrittrice viene fatta rientrare specie per i suoi racconti mentre nei romanzi si mostra incline a rappresentare situazioni particolari, a scandagliare l’animo di chi le vive, a mostrare le complicazioni dei suoi pensieri, i disturbi della sua mente. Di vite insolite dice la Moore nei romanzi e così fa pure ne La moglie dell’albergatore dove il giovane protagonista Futh decide di recarsi per una settimana dall’Inghilterra in Germania al fine di liberarsi dei problemi che lo assillano. In casa egli ha vissuto una triste esperienza soprattutto da quando la madre se n’è andata lasciandolo solo col padre. Non sopportava più quanto doveva subire, la superficialità con la quale il marito la trattava, i continui tradimenti ai quali la esponeva. Neanche a Futh piacevano i modi, i vizi del padre e per questo era stato più vicino alla madre fin da quando era bambino. Presso di lei aveva trovato conforto per le sue inquietudini, le sue ansie, con lei aveva stabilito un rapporto fatto di rivelazioni, confidenze, intimità. Era stata lei a capire i suoi pensieri, a cogliere i suoi problemi, a soddisfare i suoi bisogni. Rimasto senza la madre Futh aveva sofferto la sua assenza e aveva creduto di colmare quel vuoto sposando Angela, sua vecchia compagna di scuola. Ma questa non si era mostrata disposta a capirlo completamente, a dedicargli molto tempo perché presa da altri interessi, attirata da altre esperienze comprese quelle sessuali. Si separerà da Angela e intanto aggravata si è la condizione del suo spirito. Paure, ossessioni sono diventate le sue ansie. Tra l’altro teme sempre che possa accadere improvvisamente qualcosa di molto grave e che non riesca a mettersi in salvo. Per questo si è legato ad oggetti che è convinto gli portino fortuna, che ha sempre con sé ed ai quali è arrivato ad attribuire un valore sacro. Per questo ambisce ad un luogo sicuro, ad una vita tranquilla, ad una casa che lo accolga, ad una persona che lo ascolti, quelle che aveva pensato di trovare, che si era costruito in seguito ai lunghi dialoghi con la madre.

   Erano ambizioni semplici quelle di Futh, esprimevano i bisogni di uno spirito umile, pacifico. Erano state quelle a farlo andare in Germania, lontano dai luoghi, dalle persone che vedeva all’origine dei suoi problemi. Ma neanche qui riuscirà a realizzarle, a liberarsi dei pensieri, dei ricordi che ormai lo perseguitano e lo portano a ripercorrere la vita passata in ogni particolare, nei momenti più gravi, nelle circostanze più dolorose. Ne uscirà indebolito, fiaccato nello spirito e nel corpo. E’ ancora giovane ma ha assunto l’aspetto, l’atteggiamento di una persona incerta, confusa che con facilità sbaglia l’autobus da prendere, la fermata da usare, l’albergo dove alloggiare e molta strada è costretta a percorrere con i piedi che gli bruciano. Un viandante solitario, dolorante, un ramingo diventerà Futh una volta in Germania, non una vacanza sarà la sua ma una peregrinazione tra posti che non conosce, persone che non capisce, immagini, visioni che lo rincorrono. E sempre lontana rimane quella tanto sospirata quiete che aveva creduto possibile. Non c’è posto per Futh in una vita che altro chiede da quello che lui può dare.

   Il ricordo della madre, delle sue parole, delle sue cose, ritornerà nella mente di Futh, l’attraverserà a volte improvvisamente, inaspettatamente e abile sarà la Moore a mostrare tale movimento, a spostare in continuazione i tempi, i luoghi della narrazione, a saper stare tra passato e presente, Inghilterra e Germania, seguendo quanto avviene nel suo personaggio. Molto ha fatto rientrare nell’opera la scrittrice, tanti elementi, tanti tempi, tanti luoghi, tante persone, senza mai riuscire complicata, difficile nella scrittura. Ha mostrato come i pensieri di Futh passano da quanto è avvenuto a quanto sta avvenendo, da come si è comportato a come si sta comportando, dalle prime persone della sua vita alle altre, da quel che avrebbe voluto a quel che ha ottenuto, dall’idea alla realtà, dal sogno alla verità, dalla speranza alla delusione.

   Non è un romanzo psicologico questo della Moore ma niente trascura della complessa psicologia del protagonista e niente della realtà che lo ha circondato e lo circonda. Dal confronto con questa fa emergere i suoi problemi. Non divisa è l’opera tra l’interno e l’esterno di Futh, tra il suo passato e il suo presente, tra lui e gli altri, tra la sua e la loro vita, ma comprensiva di tutto, ampia, estesa. Questo la rende nuova rispetto ai molti echi letterari, ai molti luoghi comuni, quelli del giovane incompreso, solitario, del viaggio come evasione, fuga o ricerca d’altro, che in essa si possono rintracciare. Nuova è la Moore perché il suo sguardo comprende tutto ciò che è stato ed è del suo personaggio, tutta la vita che intorno a lui si è svolta e si svolge e che ne ha fatto un “diverso”.