Merito vs Pansindacalismo

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MERITO VS PANSINDACALISMO 

di Alessandro Basso

 

Uno dei passaggi più interessanti introdotti dalla legge 107/2015 è quello legato alla questione del merito che troverà sicuramente la contrapposizione più accesa da parte dei sindacati, i quali annunciano fin d’ora vertenze, autunno caldo, mobilitazione, grazie ad una rinnovata e ritrovata pax sindacale che fa avanzare tutte le sigle a braccetto sotto il cappello della conservazione a tutti i costi.

Potrebbe suonare come una contraddizione, il fatto che i sindacati abbiano al loro interno forme di valutazione del merito rigorose: tutti sanno che se un sindacalista non riesce ad emettere un certo numero di tessere viene in qualche modo “visto male”dalla organizzazione, destinato allo sportello di consulenza, certamente invitato alla cena per scambiare gli auguri di Natale (o alla festa del primo maggio, dipende dall’ispirazione).

Non dovrebbero i sindacalisti, in qualche modo, risentirsi del fatto che a loro venga associata la mancata sfida del merito quasi ad avvallare un’equazione sindacato=appiattimento?

Senza generalizzare all’opposto, tra di loro si conoscono persone di grande tempra, amici impegnati e valorosi, che si imbarazzano sicuramente quando devono portare avanti battaglie che sono fuori dal tempo e dalla storia.

Purtroppo, è palese e convenuto che se il merito nella scuola non viene riconosciuto è proprio a causa dei blocchi che sono stati posti negli ultimi decenni. Non che non se ne sia parlato, ci sono stati fior di proposte e di commissioni di lavoro che avevano portato anche degli spunti interessanti; ma quando si arrivava alla partita della loro codifica, magari contrattualmente, compariva la formula magica di rinvio ad una sequenza contrattuale che impegnava le parti a ritrovarsi dopo “un certo” tempo per poterne discutere. Il tutto attraverso fior di convegni con esperti internazionali, ministri e studiosi di livello internazionale.

Ad onor del vero, nemmeno la compagine politica si è occupata con determinazione della materia, tener buona la scuola è prassi consolidata per la sopravvivenza di una maggioranza di governo. Il decreto Brunetta è del 2009, lo scontro sul merito nella P.A. era avviato, tanto valeva non lasciare fuori la scuola e portare a termine, nel bene o nel male, il processo riformistico. Una riforma a metà ha effetti peggiori di una riforma mancata.

In questi giorni, ha suscitato grande scalpore mediatico la vicenda dell’assemblea sindacale al Colosseo con un’altrettanto pronta reazione da parte del governo che il giorno stesso ha inserito il settore dei musei tra i servizi minimi essenziali, all’origine ex L. 146/90.

Molti sapranno, però, che quella sui servizi minimi essenziali è una legge che si applica in caso di sciopero, non in caso di assemblea sindacale, diritto sacrosanto del lavoratore, esperienza di democrazia essenziale, simulacro della partecipazione: nessuno osi metterci mano.

Viene da chiedersi come mai non susciti lo stesso clamore quando un servizio essenziale come quello dell’istruzione viene messo in ginocchio con forme di sciopero incessanti e a volte poco proficue alla stessa libertà di sciopero stessa. Mi riferisco all’indizione continua (legittima, sacrosanta ed esempio di democrazia moderna) di scioperi per la prima ora di lezione, magari proclamati da sigle sindacali che contano lo 0,5% di iscritti su tutto il territorio nazionale e che in qualche modo riescono ad inficiare il servizio (ovviamente perché non è bravo il preside ad organizzarsi): si pensi alle scuole del primo ciclo dove è necessario garantire la presenza certa del collaboratore scolastico che apra la scuola e dell’insegnante. I genitori sono ormai rassegnati, non dicono più nulla, riprendono il proprio figlio, caricano lo zaino in macchina e provvedono a badare ai propri pargoli.

È impensabile fare una legge che preveda che i lavoratori con minori siano obbligati a dichiarare preventivamente lo sciopero? Si violerebbe il diritto di fare confusione, di creare lo scompiglio: principi eticamente fondanti e qualificati. La denuncia per attività antisindacale è sempre dietro le porte.

Tornando alla questione iniziale, verrebbe da chiedere a quanti docenti l’appiattimento della carriera produce vantaggi professionali e concreti.

Certamente i fondi destinati al merito dalla buona scuola non cambieranno il mondo, si poteva fare meglio, si poteva fare di più: rappresentano comunque un passaggio culturale fondamentale perché segnano la svolta, dando ai capi d’istituto la possibilità di andare a individuare, assumendosene la responsabilità, chi fa meglio non solo chi fa di più, ambito già destinatario delle attenzioni in sede di contrattazione per il fondo d’istituto, ove imperano principi altisonanti quali l’intensificazione (lavoro in più, ma in orario di servizio, per il personale ATA). Meglio così che dare la possibilità di corrispondere un incentivo al collaboratore scolastico più valoroso della scuola, che lavora per due…lui si deve accontentare.

Questo messaggio va fatto capire bene agli studenti i quali per la prima volta sono valorizzati a tal punto da far parte di un comitato di valutazione che detterà i criteri con cui il preside erogherà questi fondi.

Come potranno essere contrari gli studenti? Come potranno essere contro il principio più lineare della scuola di riconoscere chi fa meglio?

Certo la fiducia nei confronti dei presidi non è elevata, l’hanno dimostrato sondaggi anche autorevoli, ma questa mancanza di fiducia deve essere ricostruita assieme perché è speculare alla mancanza di fiducia delle famiglie nei confronti degli insegnanti.

In questi giorni che ci portano a costruire l’organico potenziato, sono i docenti stessi a chiedere al preside di reperire risorse valide per la realizzazione di progetti ambiziosi: “preside deve arrivare un docente bravo, altrimenti come possiamo potenziare realmente l’Inglese? Chi può valorizzare i docenti se non i presidi?

È meglio rischiare di lasciare ai presidi di scegliere il personale, come accade in qualsiasi contesto lavorativo, oppure continuare a percorrere strade tortuose?

E’ arrivato il tempo di ricostruire la fiducia nei confronti degli operatori della scuola e questa fiducia non passa sicuramente attraverso il disconoscimento della bontà dell’operato dei capi d’istituto, ma facendo in modo che buoni docenti siano valutati e accompagnati da buoni presidi, nella formazione di buoni studenti.

Abbiamo la possibilità e le leve strategiche per ricostruire un sistema di istruzione indipendentemente dalle riforme, di mettere in funzione l’offerta formativa attraverso un nuovo dialogo interistituzionale con nuovi ruoli e nuove competenze assegnate a ciascuno di noi.

Perché una volta tanto non spostiamo l’attenzione dai presidi agli studenti? Questo, secondo me, è quello che vuole il mondo della scuola buona, quello che vogliono i buoni studenti.

Al nostro Ministro mi permetto di chiedere di sostener la fase applicativa della buona scuola e quella della normazione delegata, rimanendo coerenti all’ ispirazione originale della legge: non possiamo permetterci di accettare aggiuntivi appiattimenti, anche a costo di compiere ulteriori scelte impopolari.