Riflettere sul passato per costruire il futuro

Riflettere sul passato per costruire il futuro
lettera a Maurizio Tiriticco

di Sergio Bailetti

Caro Maurizio, per commentare il presente tu mi hai insegnato a riflettere sulle esperienze passate. E così il pensiero mi è andato alla fine degli anni ottanta, quando un Direttore Generale illuminato (e un po’ sceriffo) dell’allora Ministero della Pubblica Istruzione, Giuseppe Martinez y Cabrera, mise mano alla riforma degli istituti professionali (oltre 500.000 studenti) con il “permesso” del Ministro Sergio Mattarella.

L’economia della produzione e dei servizi non era più organizzata da un sistema fordista e, già da allora, si era cominciato a lavorare con la testa e a pensare con le mani e quei 500.000 ragazzi e ragazze avrebbero dovuto inserirsi in un mondo del lavoro cambiato, più esigente e complesso. Non più ore e ore di lima per sagomare un pezzo di ferro o battere all’infinito tasti di una macchina da scrivere per compilare pedissequamente e velocemente bozze preparate da altri.

Nel curricolo degli istituti professionali entrarono le discipline “culturali” del bienno Brocca, perche i nuovi profili anche dei lavoratori con mansioni esecutive e tecniche prevedevano che si dovesse saper parlare e scrivere con proprietà, conoscere la storia, le scienze della terra, la fisica e la matematica. Nuove discipline vennero inserite nel curricolo e qualcuna ne uscì perche non più rispondente alle competenze richieste dal mondo del lavoro. Per la prima volta sui diplomi del Ministero dell’istruzione, oltre alla votazione finale, venivano indicate, in cinque lingue comunitarie, le competenze raggiunte. Ma non era solo questo che doveva cambiare, bisognava intervenire, oltre che sul curricolo, sulle metodologie didattiche e sull’organizzazione del lavoro scolastico.

La caratteristica più significativa fu la “rivoluzione” della didattica con l’organizzazione modulare dell’insegnamento, un monte ore free assegnate all’istituto per organizzare il recupero e/o l’approfondimento nei primi anni e un monte ore per l’alternanza scuola-lavoro negli ultimi anni di corso, da realizzarsi anche d’estate; ore non assegnate preventivamente ad alcuna disciplina (e non c’era ancora l’autonomia). Le nomine degli esperti venivano fatte direttamente dai presidi scelti in base al curriculum vitae.

Così, dopo un triennio di sperimentazione, il Progetto ’92 partì puntualmente.

Massiccio piano di formazione in servizio con ritmi di oltre 30.000 corsisti l’anno: ispettori, presidi e docenti; non solo per aggiornare al nuovo ma anche per produrre i “moduli”, strumenti di lavoro essenziali per gli insegnanti: moduli su tutte le discipline attraverso l’aiuto delle eccellenze della ricerca didattico-formativa, universitaria e non; e nuovi flussi di risorse finanziarie dal Fondo sociale europeo per sostenere il recupero e la professionalizzazione nell’alternanza.

Fu un modello da imitare e, in buona parte, imitato fin nella Buona scuola.

Perché il successo di una riforma così importante è stato parziale?

Ti sottoporrei alcune mie riflessioni che, credo, abbiano influenzato anche la costruzione della L. 107/15 e ne minaccino la realizzazione.

1) Il tourn over del personale degli istituti professionali, che supera spesso il 50% dell’organico (prima scuola d’approdo nei trasferimenti e prima ad essere lasciata per istituti meno impegnativi; vale anche per i presidi), vanifica l’investimento fatto nell’aggiornare i docenti in servizio. Oggi nella L.107 l’organico funzionale aumenta le risorse umane per gli obiettivi del POF triennale e la stabilizzazione dei precari permette un concreta continuità didattica.

2) L’atteggiamento ottuso dell’Amministrazione, specialmente periferica, che non ha voluto né conoscere né comprendere il modello del Progetto ’92 e lo ha nuovamente irrigidito assegnando d’ufficio l’area di approfondimento a discipline fisse nell’orario cattedra settimanale. La cultura anacronistica dell’Amministrazione per le 3 C, Classi/Cattedre/Campanelle, condizionerà ancora il successo della L. 107/15?

3) Il ruolo che ha l’istruzione professionale nella società italiana. L’incapacità di fare orientamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado. La miopia e, anche qui, il ritardo culturale del mondo delle imprese per l’alternanza. L’incertezza politica della collocazione tra Stato e Regioni. Sono problematiche ancora oggi irrisolte.

Ma altri fattori hanno frenato allora il cambiamento. Un malinteso tipo di concertazione sindacale ha avuto un ruolo importante nella non piena efficacia della riforma. In quell’occasione furono sostituite alcune discipline, ritenute obsolete, con altre più rispondenti all’innovazione richiesta dal mondo del lavoro. Prendo l’esempio della sostituzione della Dattilografia e della Stenografia con Trattamento testi. Quest’ultima disciplina non traduceva più pedissequamente su carta cose scritte o dettate da altri, ma produceva, elaborava, rielaborava e memorizzava testi con tecnologie che nulla avevano a che fare con le macchine da scrivere. Per produrre o elaborare un testo ci vogliono conoscenze più estese e spiccate competenze linguistiche, quindi livelli culturali più elevati, anche per il profilo delle “segretarie d’azienda”; cioè già si voleva che si pensasse con le mani e si operasse col cervello. Quindi furono individuati i docenti di informatica (non fu necessariamente la migliore scelta) in luogo dei docenti diplomati che insegnavano Steno e Dattilo. Si ebbe una pioggia di ricorsi, anche alla Corte suprema della UE, per mantenere queste discipline nel curricolo.

Tu sai come è andata a finire la concertazione: la nuova disciplina Trattamento testi fu “aperta”, previo corso di riqualificazione farsa ovviamente senza verifica, alle classi di concorso di Steno e di Dattilo, con la conseguenza che i docenti laureati in informatica, mediamente molto più giovani, trovarono la porta sbarrata dai docenti con-più-anzianità-di-servizio, che ancora oggi definisce il livello di competenza (e di remunerazione) dei docenti. E la qualità e l’efficacia dell’innovazione andò, come si suol dire, a puttane!

Contro la Buona scuola si parla di deportazioni, di migranti laureati, di violenza ai precari; non dei contenuti della riforma per le giovani generazioni. Quel 20% di ragazzi che oggi non completa nemmeno l’obbligo scolastico quanto dovrà migrare per avere un posto di lavoro? Con quali strumenti culturali e professionali affronterà la società della conoscenza nel mondo globalizzato? Anche quei giovani, a cui la scuola attuale ha dato una formazione di infimo livello come si confronteranno con le popolazioni dei migranti?

Mi piacerebbe parlare delle potenzialità di far fare a tutti gli studenti un periodo di alternanza, di quale didattica fare per attuarla e valutarla. Vorrei capire come si può capitalizzare, per la carriera docente, il significativo investimento per la formazione in servizio, individuale e collettiva. Mi piacerebbe parlare di come si possa destrutturare un gruppo classe che non è più costituito da un gruppo omogeneo di ragazzi da costringere dentro un’aula. Mi piacerebbe parlare di come tutto il sapere, buono e cattivo, che è nell’etere, alla portata di tutti, possa venir ricercato, usato, arricchito di nuovo sapere e restituito all’etere. Mi piacerebbe parlare di come si possa “servire al meglio” il territorio. Mi piacerebbe parlare di come si distingue un docente bravo da uno non bravo. Mi piacerebbe … parlare del Nuovo, per quello che c’è nella L. 107, e di quello di cui ci sarebbe ancora bisogno.

La riforma è per le giovani generazioni, per il futuro del nostro Paese.

In questi giorni è stato mai intervistato un vincitore di concorso in Polizia, in Magistratura, alle Poste o in Banca? Gli idonei di quei concorsi mica vengono immessi in ruolo, ricominciano da capo. I tre quarti degli ingegneri dell’ENEL lavorano nei cantieri all’estero. Decine di migliaia di giovani lavorano a Londra o a Berlino; in molti casi l’esperienza dell’Erasmus li fa sentire a casa loro.

Ancora oggi i nostri ragazzi escono dalla scuola superiore a 19 anni, un anno dopo i loro colleghi europei; ma del ruolo dei sindacati nella riforma Berlinguer ne parliamo in un’altra occasione.

Un abbraccio

Sergio Bailetti

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