Dell’insegnare oggi senza ignorare il passato

Dell’insegnare oggi senza ignorare il passato

di Maurizio Tiriticco

 

Caro Sergio!

  1. In primo luogo, checché tu ne dica, io non ti ho insegnato nulla! Anzi, io non mai insegnato nulla, anzi, non ho mai insegnato. So benissimo che da sempre tutti ci “insegnano” che non c’è apprendimento senza insegnamento; molti – e forse anch’io sono caduto in questo luogo comune – scrivono insegnamento/apprendimento con quella slash che ne sottolinea l’inscindibilità, ma – almeno a mio vedere – non è così, e non è mai stato così. Non ho mai preteso di insegnare nulla, anche e soprattutto perché non è facile sapere “che cosa” insegnare! I luoghi comuni e i programmi scolastici se la cavano! Infatti, ti fanno un elenco di contenuti, dalla tavola pitagorica all’alfabeto, dalla sofistica alla prima guerra di indipendenza, dal teorema di Pitagora alle equazioni, ai poligoni, ai fiumi più lunghi del mondo e ai monti più alti. Ce n’è veramente per tutti e per tutte le stagioni: anni e anni di scuola, di Classi, Cattedre e Campanelle (ovviamene con tanto di maiuscole, perché sono loro le padrone delle scuole). E mettici anche gli otto anni dell’obbligo di istruzione: non “scolastico”, come i più dicono, anche al Miur… Signore, perdona loro che non sanno quel che… dicono! Insomma, non ho mai insegnato, perché non c’è nulla da insegnare mentre, invece, c’è tutto da apprendere.

Ho sempre fatto mio l’insegnamento – chiamiamolo così – di Socrate, che “non sapeva” nulla e, come una valente levatrice, aiutava a tirar fuori dalle testa e dalla bocca dell’interlocutore le “verità”, sempre tra virgolette perché il vero, il buono, il bello e il giusto sono sempre concetti discutibili. Lo sapevano i sofisti e lo sapeva pure Socrate, anche se tra i primi e il secondo correva una bella differenza: detto in soldoni, per i primi è vero ciò che conviene al singolo, per il secondo è vero ciò che è utile alla polis. Se questi “insegnamenti” sono “veri”, ne consegue che colui che viene da sempre definito insegnante deve semplicemente limitarsi a creare le condizioni perché l’alunno – colui che dovrebbe essere alimentato – apprenda. E l’alunno, o meglio ciascuno di noi apprende, quando si trova in una situazione motivante: se io leggo e “apprendo” che quel paio di scarpe che mi piace da morire costa 300 euro, le acquisto, se sono ricco; oppure passo a un altro negozio se sono… guarda caso, un insegnante, per di più italiano!

Bando alle chiacchiere! Cercavo sempre di creare le condizioni perché i miei alunni apprendessero! Bastava che rivelassi la mia ignoranza su quelle maledette guerre puniche, che non interessano a nessuno, perché tutti si adoperassero a rendermene conto. E quanto mi divertivo a confondere Annibbale con Asdrubbale – li scrivevo con due b – perché tutti si sentissero in dovere di correggermi. Non erano così scemi da non sapere che “giocavo”, ma, in effetti, giocando si impara. Per non dire dei vituperati temi! Quanti anni abbiamo impiegato per abolirli! Ricordi? Con il “nuovo” esame di Stato, con Berlinguer e le sollecitazioni di De Mauro, finalmente ci eravamo riusciti, ma… il reale è sempre più forte dell’ideale e, dopo le tipologie innovative A e B (vedi il Regolamento, il dpr 323/98, a cui ambedue mettemmo allora le mani), fummo “costretti” a reintrodurre il tema, con altre due tipologie, quel tema che piace tanto agli insegnanti, quelli che “insegnano”, che tracciano segni sulla testa degli alunni, come i vasai dell’antica Roma tracciavano i segni decorativi sulle “testae”, le anfore! Lo sai meglio di me! Non c’è nulla di più falso di un tema! Nessuno nella vita scrive temi, se non a scuola! Nella vita si scrivono racconti, poesie, diari, dichiarazioni d’amore, lettere a non finire! E oggi anche con i cellulari. C’è il professionista che scrive romanzi, favole, testi scientifici! E’ c’è pure chi scrive testi scolastici! Uno più pesante dell’altro! Orrore degli orrori! Per trovare una informazione che serva veramente, ti devi cibare pagine su pagine, illustrazioni su illustrazioni, letture su letture, quadri su riquadri, prove di verifica assurde… Mi dici poi a che serve un libro di grammatica, quando la grammatica vera è quella che costruiamo nella nostra testa interagendo tra noi giorno dopo giorno?

Io sollecitavo racconti o poesie con gli stratagemmi più arditi! Scrivemmo anche un fotoromanzo: allora i “Bolerofilm” erano sotto i banchi di quasi tutte le mie alunne! Fabula e intreccio, ordine e durata, topic e point e altre diavolerie della linguistica erano di casa nei loro scritti, anche se di linguistica non sapevano nulla! E poi sollecitare il nesso che corre tra l’immagine e la parola scritta – è il mondo dei fumetti, il legame che corre tra cervello sinistro e cervello destro – significa sollecitare scritture autentiche, vive, utili, soprattutto per loro, gli alunni, alla felice e non facile scoperta del loro mondo dei produttori di pensieri e di testi, orali e scritti. Disegnavano, coloravano, scrivevano… a volte era una vera e propria fucina, anche se non sono mai ricorso alla tipografia di Freinet. Per tutte queste ragioni non sono mai stato un insegnante, ma ho sollecitato tanti tanti apprendimenti.

  1. Ma ora veniamo al secondo luogo. A proposito! Sai meglio di me che oratori e politici di un tempo non utilizzavano appunti, ma la memoria. E la tecnica dei “loci” era quella ricorrente: associare il primo argomento al primo luogo di una casa o di una strada: il secondo al secondo e così via. Il secondo luogo, appunto, è quello della politica scolastica del Progetto 92 e delle innovazioni che riuscimmo ad apportare all’istruzione professionale. Fu così che riuscimmo a dare dignità alla scuola degli “sfigati”. Per la prima volta i nostri “diplomati” potevano concorrere con i diplomati dell’istruzione tecnica, e ci favorì anche quella coda del cosiddetto boom che dagli anni Cinquanta aveva garantito al nostro Paese uno sviluppo tale da farci diventare una delle prime potenze industriali del pianeta. Poi la fine degli anni Novanta e l’avvio di quel declino che a tutt’oggi ancora non riusciamo a battere. E’ il declino di tutto il “sistema educativo nazionale di istruzione e formazione” come volemmo chiamare la nostra scuola con le riforme di Berlinguer. E con il nuovo millennio assistiamo addirittura – e ne soffriamo ancora – all’avvio del diluvio: la destra al potere con la riforma Moratti e tutte le successive. Una scuola sempre più martellata da leggi e leggine spesso tra loro in concorrenza, se non addirittura in contraddizione. Dirigenti e insegnanti sollecitati da un lato (di quale palazzo? di quale strada?) dalle possibilità offerte dall’autonomia (il dpr 275/99), dall’altro dalla rigidità di un sistema di norme sempre più imperative.

L’attesa di un messia è cosa di altri tempi, ma l’attesa di un governo di sinistra – o giù di lì – che rimetta un po’ d’ordine, se non le cose a posto, era forte in un corpo insegnante che, com’è noto, con la destra in genere ha sempre avuto poco a che fare. E poi il miracolo!? Arriva la Buona scuola! Bene arrivata, ma, ma, ma che cos’è? Chi l’ha scritta? Mah! Nessun pedagogista, nessun linguista, nessuno scienziato! Eravamo abituati alla nostra sana tradizione: al ministero operavano gruppi di lavoro di esperti, e di ogni orientamento politico e culturale! E in tempi distesi! Ne uscivano documenti con tanto di firme! Ma poi? La Buona scuola!!! Una fatica a leggere e comprendere. E poi una legge: un solo articolo! Che bello! Sarà semplice semplice! Niente affatto! 212 commi! E nove rinvii a successivi decreti. Una singola materia spezzettata in più commi! Il salto della quaglia per capire le competenze di un dirigente, i nuovi criteri per assumere un insegnante… già assunto, ambiti territoriali che sconquassano graduatorie nazionali, ecc! Una Gazzetta ufficiale che si preoccupa di ripubblicare il testo della legge con “note a margine”, tant’è difficile leggerla!

Capisco che tu possa ritrovarvi alcuni spunti a noi noti! A noi che abbiamo avuto l’onore e l’onere di lavorare con un Direttore generale un po’ sceriffo, ma… i ‘ma’ sono tanti, caro Sergio! Il nostro sceriffo dribblava le norme, ma il consenso e l’entusiasmo che suscitava era enorme, anche e soprattutto perché l’impianto dell’Istruzione professionale ne traeva illico et immediate vantaggi di grande rilievo. Dovevamo a volte misurarci con le famiglie! Ricordi? “Mi’ fijo deve fa’ er cuoco! Che lo fate studia’ a fa’ l’itagliano e la storia? E lo volete fa’ studia’ puro pe’ cinque anni???”. Ma quel cuoco oggi è un Vissani! Quel sarto un Valentino! Quel meccanico segue la Ferrari in tutti i circuiti mondiali!

Lo sai meglio di me! Non c’è più lavoro oggi che non richieda conoscenze di base – si chiamano così – e specialistiche forti e aggiornate. Anche perché i tre settori della tradizione, agricoltura, industria e servizi, oggi non hanno più confini. Tic e tecnologie, computer e automi investono ogni campo lavorativo; e le conoscenze di base di una volta oggi sono COMPETENZE! E ci sono ben due Raccomandazioni europee, una del 2006, una del 2008, che ci descrivono con chiarezza otto competenze culturali e civiche e otto livelli di competente lavorative. E si tratta di competenze che riguardano ben 28 Paesi membri! E la nostra scuola, o meglio il nostro “sistema nazionale di istruzione” – come la chiama la destra – sarà in grado di rispondere a questa sfida, se le competenze che dovrebbe sollecitare e certificare sono del tutto ignorate? Si giocherella, e male, con le competenze, anche abbastanza risibili, di fine terza media, e si ignorano quelle che sia le Indicazioni nazionali per i licei che le Linee guida per gli istituti tecnici e professionali indicano con sufficiente chiarezza. Per non dire dello spezzatino dei curricoli!!! Sai meglio di me che nessun maestro elementare è tenuto a conoscere quali competenze civiche e culturali i suoi alunni sono tenuti a raggiungere a 16 anni di età. Sai meglio di me che la certificazione delle competenze dei sedicenni è solo un noioso e inutile – così viene considerato dai più – adempimento formale.

Il riordino dei cicli con il progetto di un curricolo verticale, il superamento dei tre ordini dell’istruzione secondaria, l’uscita dalla scuola a 16 anni, sono assolutamente ignorati dalla legge 107. La liquidazione delle tre C (classi di età, cattedre rigide, campanelle e tempi eguali per tutti) è semplicemente accennata, ma i tetti orari nazionalmente prescritti veramente potranno essere driblati? Penso che tu pensi di sì! Ma come mai dal ‘99 ad oggi solo in poche realtà gli articoli chiave 3, 4 e 5 del dpr 275 sono stati recepiti e resi operativi? E non ti sto a citare il Pacioli di Crema, il Fermi di Mantova, il Volta di Perugia, il Savoia Benincasa di Ancona, il Marco Polo di Bari, il Majorana di Brindisi, scuole che conosci meglio di me e che hanno sconvolto la didattica tradizionale! Dove ci sono insegnanti che… “non insegnano”! Sono realtà attuate anche a norma vigente! Quindi, anche senza la 107 certe cose è possibile farle. A meno che la 107 non costituisca un limite.

Mah! Non so! Staremo a vedere! Comunque ho molta fiducia nel saper fare dei molti DS – ne conosco tanti, anzi TANTE, più che brave – e di molti insegnanti, o meglio“non-insegnanti”. E non nutro alcuna fiducia nei tanti piccoli monstrua della 107. Un abbraccio di cuore,

Maurizio