La messa a punto che occorre

La messa a punto che occorre
Tra distrazioni e silenzi, dimenticati i Consigli di classe…

di Domenico Sarracino

 

Di scuola in questi ultimi anni si è parlato tanto, e non c’è stato ministro che non l’abbia strattonata da un lato o dall’altro, con fughe in avanti e retromarce, inseguendo questa o quella emergenza, questa o quella suggestione di novità.

E così si sono andate smarrendo attenzioni e cure alle cose veramente importanti che incidono sul fare scuola: sulle condizioni di apprendimento-insegnamento, su ciò che avviene nelle classi e che effettivamente determina successi ed insuccessi, sui cambiamenti nei modi di apprendere, del formare e formarsi. Insomma si è parlato di tante problematiche scolastiche, ma sullo stato di salute dei Consigli di classe (anche di interclasse ed intersezione) – il loro funzionamento, il loro ruolo di cerniera con il Collegio dei docenti, con il Pof e i genitori, la loro centralità ed importanza – c’è da tempo una coltre di silenzio.

Bisogna però osservare che, seppure dimenticato o lasciato vivere in sordina, il Cdc è l’organo collegiale che più mantiene intatto il suo importante ruolo nella vita delle scuole, fungendo effettivamente da cerniera e raccordo tra il momento della riflessione-progettazione didattica e quello operativo- applicativo.

Eppure, come accennavamo, è da tempo che su di esso non si compiono indagini e riflessioni di una certa portata. E non c’è alcun cenno ad esso neppure nell’ultima riforma scolastica.

 

I Cdc sono organismi nati per programmare e, quindi, coordinare, condividere, verificare-valutare e poi ricalibrare le attività di insegnamento-apprendimento relative alle singole classi in attuazione delle linee e degli indirizzi del POF.

La loro centralità nello svolgimento pratico dell’azione scolastica è indiscutibile e dipende in gran parte dal loro buon funzionamento il realizzarsi di una attività scolastica di qualità. Sono infatti i Cdc le articolazioni in cui si declinano e si specificano le scelte compiute nel Collegio dei docenti e articolate nel Pof, prima che diventino l’agire scolastico effettivamente praticato. Dipendono da loro, dalle scelte condivise, dalla loro coesione ed organizzazione la qualità del lavoro e la tenuta del gruppo, il profilo della classe, il clima di aula, il profitto degli allievi. Dipendono da loro, dai Cdc, il carattere unitario, continuativo e condiviso delle metodologie didattiche, le relazioni educative e le modalità comunicative che nelle singole istituzioni scolastiche si mettono in atto.

“Cattivi” Cdc – quelli discontinui, luoghi di contrasti e litigiosità, quelli lasciati a se stessi, quelli in cui si parla tanto, spesso disordinatamente e con argomentazioni prive di conclusioni chiare – pregiudicano l’insieme del lavoro, azzoppano le scelte e le buone iniziative della scuola e dei singoli insegnanti, fanno emergere incongruenze e contraddizioni, generano incomprensioni, conflitti e caduta di credibilità dell’istituzione scolastica.

Non abbiamo dati statistici e precise quantificazioni, ma l’impressione che empiricamente si ricava (dalle reti di scuole, dai siti, dai gruppi su FB, dal mondo dell’informazione) è che sia tempo che questi organismi rifacciano il tagliando.

E allora riaccendiamo i riflettori e poniamoci alcune considerazioni-domande, alcune più generali, altre più specifiche. Si tratta di mettere sotto le luci lo svolgimento effettivo dei Cdc, focalizzando l’attenzione sugli “attori”, sugli argomenti, sul metodo di lavoro, sulla qualità del tempo ad essi dedicati, sull’organizzazione.

Di seguito si riportano alcuni punti “caldi” che certamente meritano l’attenzione delle scuole.

L’importanza e il ruolo di chi presiede e/o coordina i Cdc e quello dei docenti e delle altre componenti;il cosa si discute nei Cdc (gli argomenti e la loro distribuzione nel corso dell’anno); come si organizzano gli incontri e le discussioni (l’attenzione, la partecipazione, la condivisione, le decisioni); la predisposizione dei materiali, la “preparazione” dei singoli docenti alle riunioni, etc.; l’esame dei punti all’odg. e i tempi disponibili; quali sono i più ricorrenti problemi didattici e psico-pedagogici che si discutono e le risposte che ad essi vengono date e proposte, le questioni irrisolte; l’importanza di una corretta e chiara verbalizzazione, “memoria”e “storia” del Consiglio di classe.

Una particolare attenzione merita l’utilizzo del tempo: occorre evitare che ci sia chi parla troppo, chi non parla per niente o chi si disinteressa. Non solo, la gestione del tempo diventa determinante perché i lavori riescano ad affrontare tutte le tematiche poste all’ordine del giorno. Inoltre, l’”analisi” degli apprendimenti degli alunni va calibrata con la problematizzazione e la ricerca di ipotesi concrete di lavoro (il che cosa debbono mettere in campo i docenti).

 

In questo quadro appare evidente quanto sia decisiva la buona professionalità dei docenti, i veri protagonisti di questo organismo, le figure-chiave che devono elaborare ed attuare le decisioni assunte nel Cdc . Dalla qualità della loro partecipazione dipende l’efficacia delle riunioni. E’ utile perciò che ciascuna scuola rifletta su come i docenti discutono, preparano i lavori, si rapportano tra loro, come e se costruiscono condivisione, sulla capacità di ascolto reciproco e sulle modalità di attenersi agli argomenti in discussione, sul rispetto dei punti di vista e dei tempi.

 

Nel contempo è altrettanto importante ribadire che il Ds si dedichi con priorità alla cura ed al buon funzionamento dei Cdc. La sua “frequentazione” assidua ai Cdc serve alla scuola e ai docenti, ma anche al Ds stesso: per dare unitarietà e continuità ai lavori ed all’impostazione didattico-educativa, per conoscere più direttamente le dinamiche educative e formative, per approfondire le problematiche degli alunni e il modo di lavorare dei docenti, per consigliare, informare, stimolare, garantire il buon lavoro dei consigli di classe.

Per questo occorre ri-orientare le politiche scolastiche e , in esse , ripensare il ruolo del Ds, come figura professionale che presidia prima di tutto i luoghi della didattica e della pratica educativa, della ricerca e dell’innovazione, del tentare e ritentare l’organizzazione e l’intervento più efficace.

Ma bisogna mettere il Ds in condizione di poter fare tutto ciò. Il che significa, ad esempio, che si rende necessario ricondurre le mega-scuole a dimensioni gestibili, riparametrandole su dimensioni meglio considerate, fornendole di supporti organizzativi e professionali intermedi, decongestionandole da aspetti burocratici ed amministrativi che possono essere concentrati in altre sedi e svolti da specifiche competenze professionali (che potrebbero trovare luogo negli attuali UST); il che significa, inoltre, che nel reclutamento dei Ds, nella loro formazione, nel nuovo profilo professionale bisogna recuperare soprattutto competenze psicopedagogiche e didattiche, culturali e formative, relazionali e comunicative di alto profilo, che permettano di stimolare e valorizzare – guidando, coordinando e incoraggiando – tutte le risorse professionali possibili.