Riforme costituzionali: le due facce del centrosinistra

Riforme costituzionali: le due facce del centrosinistra

di Gian Carlo Sacchi

 

Ora la strada è in discesa, le più controverse questioni politiche, soprattutto interne alla coalizione di centro-sinistra, sono state dipanate e le letture che restano sembrano consentire alla riforma costituzionale di giungere in porto senza intoppi.

Un provvedimento emanato a poco più di dieci anni di distanza da uno analogo anche se più limitato, ma che pur essendo sostenuto dalla stessa, almeno sulla carta, maggioranza politica, ne ribalta completamente il significato.

Agli inizi del secolo si era andati infatti verso un governo delle autonomie locali che portasse al decentramento dello Stato napoleonico con la burocrazia dei ministeri che aveva preso il sopravvento, oggi per mettere fine da una conflittuale legislazione statale e regionale, originata dalle “competenze concorrenti”, si torna allo statalismo, seppur in termini di invocata maggiore efficienza, lasciando alle regioni la cura dei “servizi” sul territorio e si conferma l’impressione più volte espressa in questa rubrica che anziché procedere verso il “federalismo devolutivo” pensato dalla precedente riforma si torni al centralismo attribuendo alle regioni stesse compiti e prerogative poco dissimili dalle province su area vasta, pur mantenendo una indebolita competenza legislativa.

La nuova formulazione del titolo quinto della Costituzione non ha impensierito più di tanto una maggioranza politica che ha mutato completamente orientamento, ma soprattutto ha dimostrato in quest’ultima occasione di essere attenta quasi esclusivamente al “nuovo senato delle autonomie”. Non si vuole in questa sede entrare nel merito, ma a nessuno sfugge che gli attuali senatori stesse più a cuore il come si arrivi a fare il senatore piuttosto che alle competenze attribuite a questo ramo del Parlamento. Il bicameralismo imperfetto è molto imperfetto, anzi sembra che il Senato non costi e non conti, a differenza del Bundesrast tedesco capace di rappresentare al centro un ben più ampio e consolidato potere dei Landern. Il nostro Senato rappresenta un ben più modesto potere locale, l’unica cosa che potrebbe essere importante è la “verifica dell’impatto delle politiche pubbliche sul territorio”, ma non si ha notizia di dove poi si vada per migliorare tali interventi, se non “chiedere alla Camera di esaminare nuove leggi”.

Veniamo all’art 117 che interessa più da vicino il sistema scolastico e formativo, dove lo Stato ha competenze esclusive nelle “norme generali sull’istruzione”, mai emanate a far data dal lontano 1948, ma mentre il resto, nella precedente formulazione, era concorrente con le Regioni, nel nuovo provvedimento di statale esclusivo è anche “l’ordinamento scolastico”, cioè il continuare a governare direttamente tutto il sistema, verso il quale, come si vedrà in seguito, con altre leggi, si convoglieranno funzioni esercitate in piena autonomia dagli enti locali. Non solo ma con la riforma del 2001 si prevedeva la possibilità di ulteriore autonomia da parte delle Regioni, oggi ci vuole un apposito iter legislativo per delegare, per un tempo limitato, alcune prerogative statali.

Sembra che l’unica cosa rimasta, ma anche qui vedremo in che modo, sia “ l’istruzione e formazione professionale” . Con l’art. 26 il nuovo ordinamento dice che “spetta alle regioni la potestà legislativa relativa all’organizzazione dei servizi scolastici”, cosa nota fin dal 1966 con il DPR 616, ma che più si avvicina alla legge comunale e provinciale del 1934. Senza parlare poi “dell’autonomia scolastica”, che è sempre fatta salva, ma non mai precisata, per cui si salvaguarda l’autonomia che c’è, che ogni governo dice di potenziare, ma che per ora è ferma al DPR 275/1999, dal quale anche la “buona scuola”, che vuole partire da lì, non si è ancora discostata.

Con un tale impianto, una volta approvato, anche le regioni che hanno ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge 107/2015 non avranno soddisfazione, non solo ma la predetta normativa ha già anticipato quanto poi il nuovo quadro costituzionale sancirà nella suddetta direzione.

Sul versante istruzione e formazione professionale la coesistenza dei due termini, istruzione e formazione, fa sì che il governo nei provvedimenti sul lavoro preveda la creazione di un’agenzia della formazione professionale, per coordinare, si dice, le politiche a livello nazionale, ma nel contempo sul versante istruzione si apre un tavolo di consultazione all’interno della legge 107 con annesse indicazioni sull’alternanza scuola-lavoro. Lo Stato avvia anche una sperimentazione su istruzione e formazione professionale con la possibilità di accreditamento dei centri di formazione oggi riconosciuti dalle regioni. Nell’intesa stato-regioni del 2015 al riguardo detti centri servono a garantire l’effettuazione del “doppio canale”, con particolare riferimento alle performances professionalizzanti e l’ingresso anticipato nell’apprendistato. Particolare curioso, nel 2008 un’analoga intesa, nell’ottica dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione, voleva accreditare gli stessi centri perché garantissero attività di formazione generale.

 

 

Ancora, lo Stato entra nel campo dell’edilizia scolastica per quanto riguarda l’autorizzazione alle così dette “scuole innovative” ed entrerà prossimamente nel segmento 0-6 anni oggi che diventando servizio educativo universale sarà in gran parte sotto l’ala del Ministero dell’Istruzione.

Dall’altra parte le regioni Lombardia e Veneto approvano due leggi che cercano di interpretare il sistema duale dal versante di chi non solo mantiene ben saldi i centri di formazione riconosciuti dalle stesse, ma vogliono “integrare”, sulla base di passate intese con lo stato, gli stessi istituti professionali statali che rilasciano qualifiche regionali. Interessante al riguardo come stato e regioni oggi tendano a superare il rispetto del termine dell’obbligo di istruzione al sedicesimo anno, cercando ingressi anticipati nella formazione professionale e nel lavoro attraverso l’apprendistato, bypassando anche il diploma di licenza media.

Sui così detti percorsi integrati scuola-formazione professionale anche altre regioni avevano legiferato, ma la precedente tendenza era quella dell’intesa stato-regioni che avveniva secondo un’ottica di parità tra i due segmenti sulla strada del decentramento: le competenze statali erano residuali, oggi è chiaro che sono quelle regionali ad essere residuali, quando non addirittura subalterne. In passato era la professione che veniva giocata nella formazione, oggi è viceversa. E’ un guadagno ? Visto che poi l’occupazione giovanile non decolla e si abbassa il livello di competenza. E’ l’altra faccia del centro-sinistra, ma forse non è più somigliante.