Dalla repubblica delle autonomie alla repubblica delle banane?

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Dalla repubblica delle autonomie alla repubblica delle banane?

di Maurizio Tiriticco

 

Che cosa sta succedendo nella nostra Repubblica? Si sta discutendo dell’abolizione delle Regioni e, forse, dell’istituzione di alcune macroregioni. Abbiamo da poco cancellato le Province, abbiamo cancellato il Senato! Un processo di semplificazione? Tutto per rendere più rapida la macchina amministrativa? Quindi la democrazia è un limite più che un’occasione, anzi l’occasione prima per un corretto funzionamento della macchina “statale”? Confesso la mia preoccupazione!

Avevo vent’anni quando, in quel primo gennaio del 1948, venne promulgata la Costituzione, la prima Costituzione democratica della nostra storia. La mia emozione fu enorme! Finalmente avevamo costruito uno Stato autenticamente Democratico! Sì, con la D maiuscola, perché lo Statuto albertino di cento anni prima era fortemente limitativo nei confronti di quelle libertà personali da sempre da molti auspicate, ma mai pienamente realizzate. Per non dire poi della violenza perpetrata dal fascismo con la fondazione di uno Stato di regime fondato su una Camera e un Senato fascistizzati e poi sulla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

La nostra nuova Carta era veramente rivoluzionaria rispetto all’intero nostro passato, contrassegnato da quel manzoniano “volgo disperso che nome non ha”. E mi segnarono profondamente quei primi 12 articoli dei “principi fondamentali”: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1). E in particolare mi segnò l’articolo 5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Per non dire dell’articolo114: “La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”, e del 115: “Le Regioni sono costituite in Enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”. Si disegnava uno Stato assolutamente nuovo, i cui poteri sarebbero passati gradualmente dal centro alla periferia, dall’autorità centrale ai cittadini. Insomma, quelle Regioni, i cui nomi avevo imparato a scuola, ma che allora costituivano solo un’espressione geografica, parafrasando Metternich, sarebbero diventate il motore fondante di un governo decentrato e autenticamente democratico.

Ma l’attesa fu lunga. Ciò che i Padri Costituenti avevano scritto non era di facile attuazione. Da sempre noi Italiani avevamo “assaggiato” solo qualche briciolo di democrazia! C’era da ricostruire fisicamente un Paese distrutto dalla guerra e tale urgenza era assolutamente prioritaria Così il cammino del decentramento autonomistico fu molto lento. Nel 1948 furono istituite le cinque Regioni a statuto speciale, ma le altre videro la luce tardi, solo negli anni Settanta. Il cammino del decentramento autonomistico non era cosa facile.

Comunque, il dibattito sull’autonomia era sempre acceso, e la svolta si ebbe con la legge 241/1990, “nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. Ne seguì la lunga stagione della realizzazione delle autonomie, a partire da quella legge 59/1997 con cui fu affidata la “delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. Ne seguì il dlgs 112/1998, relativo al “conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali”. Ebbe così il concreto inizio della stagione delle autonomie, contrassegnata dal varo di quelle Carte dei servizi, che com’è noto, interessò anche le nostre istituzioni scolastiche. E infine, per ciò che riguarda l’istruzione, con il dpr 275/1999, venne adottato quel “regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche”, il cui articolo 3 è stato recentemente modificato e arricchito dall’articolo 1, comma 14 della legge 107/2015.

Quindi, abbiamo avuto un fin de siècl fortemente innovativo fino al punto che si ravvisò necessaria anche una modifica della stessa Costituzione. Così, con la legge costituzionale 3/2001 l’intero Titolo V, intitolato “Le Regioni, le Provincie, i Comuni”, venne totalmente riscritto. E la parola autonomia ve la ritroviamo per ben dieci volte! E’ importante sottolineare le innovazioni che sono seguite. L’articolo 114, “La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”, viene così riscritto: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane,dalle Regioni e dallo Stato”. Una virata di 360 gradi! Si passa veramente da uno Stato del 1948, che potremmo definire ancora “verticale” a uno Stato del 2001, che potremmo definire veramente “orizzontale”. E con il novellato articolo 117 vengono definite le aree di competenza legislativa dello Stato e delle Regioni.

Non sto qui a ripercorrere i nuovi problemi che si sono aperti, anche in forza di interpretazioni diverse che si possono dare dei singoli passi del nuovo articolo 117. Mi interessa sottolineare l’adozione di nuovi principi, aggiunti – se così si può dire – a quelli della Carta del 1948. Tali principi si possono così riassumere: a) questi sono i principi costituzionali del 1947, ovvero dello “Stato verticale”: democrazia; lavoro; solidarietà politica, economica e sociale; uguaglianza e libertà; persona e minoranze; diritto d’asilo; ripudio della guerra; iniziativa libera ma socialmente utile; le autonomie (definite e sancite); i diritti della famiglia; i tre poteri indipendenti; b) questi sono i principi “aggiunti” con la “Costituzione del 2001”, ovvero dello “Stato orizzontale”; sussidiarietà; coesione; solidarietà; equità; responsabilità; differenziazione; adeguatezza; le autonomie (realizzate); le iniziative autonome.

E mi interessa anche riprodurre il quarto comma del novellato articolo 118: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadine, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Insomma si disegna veramente una Repubblica assolutamente nuova proiettata verso un futuro di ampie e sempre più articolate autonomie, anche personali.

Ma… che cosa è successo in questi ultimi anni? Il principio e la pratica stessa dell’autonomia sono stati assolutamente stravolti. Consiglieri comunali, provinciali, regionali tesi più alla caccia di gettoni di presenza o allo scambio di mazzette che non a una pratica corretta e produttiva di quell’autonomia che una rinnovata Carta costituzionale ha loro concesso. Sprechi di danaro pubblico, incompetenza dilagante, ponti che crollano, acquedotti che… fanno acqua, opere pubbliche mai terminate, territori che cedono alla prima pioggia, un’autostrada incompiuta ormai da oltre mezzo secolo! Per non dire poi dell’assoluta incapacità di affrontare convenientemente quel fenomeno immigratorio che attanaglia ormai tutte le periferie delle nostre città e che produce una criminalità sempre più dilagante e incontrollabile. E ciò per segnalare solo i fenomeni più macroscopici.

In tale contesto, che ne è dell’autonomia? Che ne è della responsabilità politica e civile di tanti cittadini da noi eletti e impegnati nella politica e nella gestione degli Enti locali? Abbiamo un Parlamento in cui non si parla, si urla e si improvvisano sceneggiate circensi! Abbiamo un proliferare di mazzette di cui sono protagonisti uomini pubblici ad ogni livello di responsabilità

E’ in tale contesto che l’autonomia, da principio costituzionale, diventa invece il brodo del malaffare! E allora, si comincia a buttare a mare l’autonomia stessa, il bambino incolpevole e l’acqua sporca di un malaffare che dilaga come un fiume in piena. E si cancellano quelli che dovevano essere i presìdi stessi dell’autonomia, le province oggi e le regioni domani. Non dico delle Città metropolitane che di fatto non esistono se non nell’utopia autonomista della fine dl secolo scorso.

Ciò che mi preoccupa è che, in un mondo che si fa sempre più difficile, la capacità di governo nei e dei singoli territori va sempre più peggiorando. E, se gettiamo a mare l’autonomia oggi, domani getteremo a mare la democrazia? Non so! Per ora ci limitiamo a gestire la cosa pubblica nel peggiore dei modi possibili. E rischiamo di aprire il varco a chi alla nostra democrazia e a noi stessi vuole addirittura tagliare la testa.

Je suis l’empire à la fin de la décadence!