La tradizione non parla il presente

La tradizione non parla il presente

di Giovanni Fioravanti 

 

Si può ritenere la propria cultura superiore per un’ampia gamma di ragioni, che possono muovere dal semplice fatto che si tratta della “propria” cultura, fino a ragioni di censo e di religione. La tentazione o l’occasione di prevaricare culturalmente può verificarsi più facilmente quando si sbandiera la propria cultura come tradizione. La tradizione è sempre un trasloco che si fa dal passato al presente. Un arredo che viene dal passato, e questo non si deve mai dimenticare, perché non sempre tutti i presente rivelano un’identica disponibilità all’accoglienza. È difficile tenerne conto? Non credo per chi si considera laico, per chi considera la laicità come separazione delle sfere, quella pubblica e quella privata. La laicità è una scoperta della ragione, la propria e quella degli altri. Il sonno della ragione è anche il sonno della laicità, per questo genera mostri.

Non è dunque inalberando le insegne della propria cultura che si possono risolvere i conflitti della convivenza sociale. Ancora più errato se questo accade nelle scuole, che dovrebbero essere il luogo in cui le giovani generazioni apprendono a conoscere la natura delle culture e a saperne trattare le consistenze. Ogni interferenza esterna dovrebbe essere bandita da uno Stato garante che questo mai accada. Inoltre, nel nostro Stato democratico abbiamo delegato l’istruzione ai professionisti che lavorano nelle scuole, riconoscendogli, ai sensi dell’articolo 117 della nostra Costituzione, assoluta autonomia, oltre alla libertà di insegnamento dell’articolo 33.

Ecco perché le polemiche, ormai a scadenza annuale, intorno al Natale a Rozzano come in altre scuole, sia per i pro come per i contro rivelano un’angustia di riflessioni e di pensiero, che non può che destare preoccupazione per le sorti dei nostri piccoli e del loro futuro.

In tanto perché di fronte alla scuola dei piccoli prende il sopravvento il pensiero dei grandi, gli adulti con le loro volontà, i loro desiderata, i loro archetipi, le loro tradizioni, quelle che vogliono conservare a dispetto della realtà del presente e dei loro figli.

Già questo è segno che gli adulti oggi non sono più depositari di un’idea di educazione e che per questo l’educazione è profondamente in crisi. Un’educazione che si rifà al passato per rispondere al presente. Quando al nuovo che si fa avanti con la sua sfida di invenzione e di intelligenza si risponde con la chiusura degli occhi e della mente, riproponendo il passato tale e quale è sempre stato, è evidente a tutti che non si risponde, ma ci si difende, perché la risposta evidentemente non la possediamo ancora. Ed è qui che l’educazione fallisce, perché non ha la risposta per il nuovo, perché non è in grado di rigenerarsi, di rinnovarsi, di fornire attrezzi nuovi al cammino dell’istruzione e della cultura.

Un’educazione che ignora chi ha innanzi, a chi è rivolta, a chi deve servire, non è educazione, è forse imbonimento, è forse catechismo, non certo istruzione e neppure formazione. Le nostre classi oggi sono assemblee plurali e pluralistiche, culture ancora in fieri, non definite, per la giovane età dei loro portatori, per la non chiara identità degli ambienti di provenienza, culture di famiglie giovani che non sono più la famiglia tradizionale di soli pochi decenni fa, culture di prima, di seconda immigrazione e via dicendo. Culture in movimento, in formazione, dunque, difficili a volte da definire nei contorni e nei contenuti. Un presente dinamico, cosmopolita, multilingue, plurale nella sua varietà a cui la scuola e l’educazione non possono rispondere con gli attrezzi di ieri, quelli di sempre, quelli che dovrebbero avere il marchio di qualità della tradizione, che la loro qualità ed efficacia l’hanno già esaurita tutta al passato, pertanto è del tutto inefficiente per il presente. E così vale, mi dispiace per i cultori destri e sinistri del fascino della tradizione che non fa male, per i presepi, gli alberi di Natale, le feste di Santa Lucia ecc, che ormai nulla hanno da difendere se non la loro paganizzazione consumistica.

Ciò che non si deve spegnere, ciò a cui non dobbiamo rinunciare è il cervello. E il cervello ci dice che tutti gli sforzi che oggi compiono le scuole per trovare risposte a un presente che non è quello di ieri, invece di essere contrastati riproponendo il passato, vanno sostenuti, aiutati, migliorati in un impegno comune a partire dagli adulti ad interrogare la nostra educazione, a renderla sempre migliore per garantire per noi e per i nostri figli le risposte più adeguate alle sfide del presente.

La ricchezza di essere tanti e diversi è quella che ha consentito alla nostra cultura, alla cultura dell’occidente, il passaggio da società chiusa a società aperta.

È cambiata la percezione che abbiamo di noi, del nostro universo e del posto che occupiamo nel mondo. È con questa percezione aperta che vogliamo crescere i nostri figli, le nuove generazioni, con l’affermazione del valore non delle tradizioni ma della persona e della sua intelligenza, che non può essere sacrificata a nessuna setta o religione, a nessun credo né teologico né scientifico, perché tutto è soggetto a falsificazione, perché siamo viandanti di un viaggio verso l’interrogativo permanente, che non ha stazioni sicure a cui sostare, perché è il viaggio di una umanità che ha messo le sue radici nella pianta della razionalità , che ha reso libere le facoltà critiche di ogni persona.

Di tutto questo e solo di questo le nostre scuole devono essere le custodi gelose, non certo di tradizioni che il tempo non potrà che rendere morte.