N. Klein, Una rivoluzione ci salverà

UNA RIVOLUZIONE CI SALVERÀ di Naomi Klein

di Luigi Manfrecola

 

kleinUna attenta e documentata denunzia

Come l’autrice chiarisce già nel titolo del suo ultimo best-seller, la Rivoluzione cui si accenna è quella destinata ad abbattere l’egoistica cultura oggi imperante, «quell’ideologia del libero mercato che è stata screditata dal decennale acuirsi delle disuguaglianze e della corruzione». A chiarire ancor meglio la natura del ponderoso volume (di oltre 700 pagine- Edizioni Rizzoli) può valere anche il sintetico sottotitolo che promette di spiegare “perché il Capitalismo non è sostenibile”.

Altrettanto insostenibile sarebbe però, per noi, il pretendere di sviluppare esaurientemente, ed in qualche breve pagina, quell’analisi che la Klein, viceversa, protrae attraverso un itinerario ben documentato, molto ricco e assai puntiglioso, alla tipica maniera anglosassone . Qui ci limiteremo, allora, soltanto a coglierne e ad illustrarne le conclusioni evidenti, dando per corrette le premesse da cui esse muovono. Premesse, convalidate ed acquisite nello sviluppo attuale del dibattito, riaccesosi in questi stessi giorni per effetto del Summit in Parigi sul “disastro climatico” cui stiamo colpevolmente assistendo. Secondo la Klein occorre un vero e proprio “salto di civiltà” poiché il “capitalismo globale” ha provocato e sta provocando un sfruttamento troppo rapido delle risorse attraverso “una macchina economica che sta sbandando ed appare ormai fuori controllo”. Soltanto i movimenti sociali di massa, che fortunatamente si stanno diffondendo, possono ancora (?) salvarci.

In tal senso provvidenzialmente operano e spingono i numerosi movimenti per il disinvestimento nel settore dei combustibili fossili e per il contrasto alle estrazioni ad alto rischio, così come le azioni legali intraprese da gruppi di indigeni in difesa del loro territorio. Ma finora ciò non è bastato a frenare gli interessi ciechi e rapaci dei gruppi di potere economico trans-nazionali. I gas-serra aumentano rapidamente e , secondo alcuni, siamo già prossimi ad un punto di non più ritorno . “Tali gas vanno intrappolando il calore per le generazioni a venire, creando un mondo più caldo, più freddo, più povero, più assetato e più affamato”. I fenomeni climatici estremi mietono sempre più vittime in ogni parte del mondo, come insegna la cronaca ormai quotidiana. Secondo la Klein occorre dunque “una rivoluzione climatica” sulla quale tuttavia riposano assai ben scarse speranze.

Lo scenario prossimo venturo

Nessuno ci garantisce che il successo un tempo ottenuto dai movimenti sociali con battaglie compiute in difesa dei diritti umani, sia destinato a replicarsi anche in occasione di quest’ultima battaglia, ancor più vitale. Non possono valerci come esempio le storiche lotte vittoriose condotte dai movimenti sociali in difesa dei diritti umani, quale – ad esempio – la rivendicazione delle femministe per l’ottenimento di un salario che fosse pari a quello degli uomini né le iniziative intese all’ottenimento d’un salario domestico, che pure hanno riscosso qualche successo in alcuni Paesi. La Naomi giustamente osserva che « Condividere lo status legale è una cosa, altro è condividere le risorse». Il “Sistema” capitalistico è attrezzato per travolgere ogni istanza sociale e civile che sia incompatibile con gli interessi delle ristrette oligarchie economiche. C’è addirittura il rischio, secondo l’Autrice, che tale “Sistema” possa sfruttare i disastri seriali legati ai cambiamenti climatici per trarne ulteriori profitti economici…E non vale ad esorcizzare questo rischio la considerazione che “nella storia pure ci sono stati movimenti sociali che hanno saputo sfidare con successo le posizioni di ricchezza più consolidate“, in modi di fatto paragonabili alle trasformazioni che i movimenti di oggi dovrebbero riuscire a provocare se vogliono sperare di evitare la catastrofe climatica.

Il riferimento esplicito riguarda “L’ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITÙ” che verso la metà dell’ottocento ebbe forti impatti economici , come sembra possa e debba avvenire se si riuscirà ad ottenere una riduzione radicale delle emissioni. Scrive testualmente la scrittrice “Per larga parte della classe dominante dell’epoca, perdere il diritto legale di sfruttare uomini e donne in catene rappresentò un grosso colpo economico, paragonabile a quello che tutti i protagonisti dell’economia mondiale – dalla Exton a Richard Branson – dovrebbero affrontare oggi…..Per quanto non siano del tutto equivalenti, la dipendenza dell’economia statunitense (e, in particolare degli Stati del Sud) dal lavoro degli schiavi è di certo paragonabile a quella dell’economia globale dai combustibili fossili”. Sta di fatto, osserva la Klein, che gli svantaggi che le classi economicamente rilevanti ebbero a subire dalle conquiste ottenute dai movimenti civili ebbero tuttavia sempre un contraltare in vantaggi compensativi accordati e concessi alle élite danneggiate. Cosicché « le elité locali ed internazionali riuscirono spesso a strappare dei forti indennizzi a titolo di compensazione per le loro “perdite” di proprietà umana senza , al contempo, offrire quasi nulla agli ex-schiavi . (Ad esempio) Washington ruppe la sua promessa , fatta verso la fine della Guerra civile, di concedere agli schiavi liberati la proprietà di vaste estensioni di terra negli Stati del Sud; questi terreni vennero invece restituiti ai proprietari degli ex schiavi, che procedettero quindi a riempirli di forza lavoro tramite quella forma di servitù a contratto che era costituita dalla mezzadria…(pag.605)» .

E ciò, secondo l’Autrice è valso anche per la più generale vicenda del COLONIALISMO che, pur quando è stato cancellato, ha fatto conservare vantaggi e privilegi agli uomini ed agli Stati che quelle terre e popolazioni avevano sfruttato. Insomma, un “premio di consolazione” è stato sempre preteso ed ottenuto dalle classi dominanti nel momento in cui avanzava la rivendicazione dei diritti da parte delle classi subalterne. Ma ora non sarebbe più così poiché «una vera fine dell’era dei combustibili fossili non offre alcun analogo premio di consolazione ai principali attori delle industrie del petrolio, del gas e del carbone. Certo è possibile guadagnare anche con il solare e l’eolico; ma a causa della loro stessa natura decentralizzata, queste fonti non forniranno mai quel genere di superprofitti concentrati ai quali i titani dei combustibili fossili si sono ormai abituati. In altre parole, se vincerà la giustizia climatica, i costi economici per le nostre élite saranno reali: non solo per via del carbonio rimasto sottoterra, ma anche a causa delle regolamentazioni, delle tasse e dei programmi sociali necessari per portare a termine la trasformazione richiesta….Gli enormi investimenti globali necessari per far fronte alla minaccia climatica derivante da quagli eventi meteorologici estremi che abbiamo ormai scatenato ci offrono un’altra chance di cambiare tutta questa situazione e di riuscire dove i movimenti del passato avevano fallito. Questi investimenti globali, fra l’altro, potrebbero portare con sé quella redistribuzione equa delle terre agricole che avrebbe dovuto far seguito alla liberazione dalle dittature e dal domino coloniale…».

Il frutto d’un progetto ideologico, prima ancora che politico

Fatto sta che, secondo la Klein, la nostra classe politica si mostra del tutto incapace di afferrare gli strumenti che , nonostante tutto , le tecnologie verdi potrebbero offrire per scongiurare il rischio climatico dal momento che restano devote all’ideologia capitalistica. Ma anche noi, facili nel protestare, rappresentiamo un problema poiché non siamo più capaci di quelle mobilitazioni di massa che hanno animato con successo gli anni trenta e quaranta del secolo scorso. «Noi restiamo con i nostri occhi incollati agli smartphone, il nostro intervallo di attenzione si fa sempre più ridotto fra un click e l’altro, i nostri sentimenti di lealtà resi contrastanti dal peso dei debiti da pagare e dalle insicurezze dei contratti di lavoro . Dove ci dovremmo organizzare? Di chi ci possiamo fidare abbastanza da lasciare che ci guidi? E, inoltre, chi siamo “noi”? In altre parole, noi siamo i prodotti della nostra epoca e di un progetto ideologico dominante. Un progetto che ci ha insegnato più e più volte a vederci solo come singole unità in cerca di gratificazione, votati a massimizzare il nostro ristretto vantaggio e che, al contempo, ha separato molti di noi da quelle comunità più ampie che, con le loro competenze condivise, sono in grado di risolvere i problemi grandi e piccoli… Per tutti questi motivi, ogni tentativo di rispondere al cambiamento climatico sarà inutile se non verrà inteso come parte di una battaglia più ampia fra visioni del mondo contrastanti, di un processo di ricostruzione e di reinvenzione delle idee stesse della collettività, della comunità. dei beni comuni, del senso di appartenenza civica e civile, dopo tutti i decenni in cui queste idee sono state attaccate e trascurate.» Si tratta dunque, di riuscire a cambiare, secondo l’autrice “gli schemi di pensiero” anche perché, secondo lei, «Dovremmo iniziare a credere che l’umanità NON È irrimediabilmente egoista ed avida, secondo quell’immagine che ci viene riproposta di continuo da una serie di fonti che vanno dai reality show all’economia classica Qualche speranza di cambiamento, secondo l’Autrice si può tuttavia intravvedere nella diffusione planetaria dei social-media che potrebbero contribuire a ricostruire quelle consapevolezze ormai smarrite all’interno di un universo virtuale che può tradursi in movimenti collettivi capaci di influenzare il decisore politico.

L’ultimo tentativo disperato fra buone intenzionie grida manzoniane

Come sappiamo, la cronaca di questi giorni sembra dare ragione a tali previsioni dal momento che il colosso cinese e gli altri Paesi fin qui indisponibili a rispettare gli accordi di Kyoto e Copenaghen stanno mutando atteggiamento, a fronte del disastro e delle devastazioni che stanno quotidianamente scuotendo il nostro asfittico pianeta malato . Leggiamo su La Repubblica che i grandi inquinatori del Pianeta (Stati Uniti, Cina, India) hanno avviato un dialogo nuovo, abbandonando definitivamente la strategia fallimentare dei limiti da porsi obbligatoriamente alle emissioni di CO2 da parte della comunità internazionale. Il futuro della specie umana è oggi nelle mani di Obama, Xi Jinping e Nerendra Modi. Resta tuttavia la questione di rimborsare per la mancata crescita passata e futura quei popoli incolpevoli che non hanno mai potuto sviluppare alcuna ricchezza con proprie devastanti tecnologie, sopportando unicamente le devastazioni dell’inquinamento globale.

Insomma, la malattia irreversibile che affligge la nostra affannata astronave trova origine nell’avidità di pochi e nella frenesia di un guadagno insensato e rapace, figlio d’un Capitalismo senz’anima e del modello culturale-ideologico che lo ha accompagnato e che sta accompagnando le nostre nuove generazioni, plagiate ed intontite dallo spettacolarismo mediatico, dal narcisismo imperante, dal consumismo frenetico. Personalmente non posso dunque non sorridere dei ripetuti e ridondanti appelli pedagogici reclamanti sempre nuove strategie   per la formazione alla “cittadinanza responsabile e solidale”, per l’educazione ecologica in vista dello “sviluppo sostenibile” e così via dicendo…

Viviamo la condizione schizofrenica d’un mondo parolaio che si va inventando la retorica solenne ed inconcludente d’una pedagogia fintoprogressista che non vuole fare però i conti con la realtà vera, che non sa e che non vuole denunziare con forza la condizione di servaggio in cui una malintesa pseudo-scienza “economica” mantiene popoli e Paesi avendo addomesticata perfino la Politica al suo credo farneticante ed èlitario.

In questa cornice, dunque, le pur pregevoli Linee Guida ministeriali del 2009 sviluppate su queste tematiche , ma non ben attente a rappresentare la causa vera ed ultima d’una devastazione ambientale che è figlia d’una economia di rapina, conservano un sapore vagamente beffardo che richiama le antiche grida manzoniane , illudendoci che tutto possa risolversi convincendo i nostri figli ad allineare compostamente i sacchetti dell’immondizia differenziata.

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