Lettera al Signor Ministro dell’Istruzione sull’importanza dell’insegnamento e di tornare a parlarne

Lettera al Signor Ministro dell’Istruzione sull’importanza dell’insegnamento e di tornare a
parlarne.

Gentile On. Ministro,

«In generale, ciò che contraddistingue chi sa da chi non sa è la capacità di insegnare».
L’affermazione risale, come è noto, a tanto tempo fa, ad uno dei nomi più prestigiosi della storia
dell’uomo. Ad Aristotele che la scrive nella Metafisica 981b,7. Una concezione dell’insegnamento
elevatissima. Credibilmente praticabile solo quando l’esigenza di Scuola riguardava pochi eletti.
Gradualmente e da tempo scomparsa da ogni orizzonte di pensiero, occorrerebbe recuperarla,
almeno in parte. Almeno nel senso più modesto, ma dinamico, di homines dum docent discunt.
Dovrebbe farlo la Buona Scuola. Il progetto di cui Lei, on. Ministro, è il titolare e del quale si è
parlato per un intero anno, mobilitando pro e contro, con le luci e le ombre che inondano le cose
terrene specie quando rientrano nella sfera della gestione politica e amministrativa. Se ne è parlato a
cominciare dalla stessa espressione di “Buona Scuola” che taluni vedono viziata di “populismo”,
altri giudicano addirittura “incolta” con quell’inutile e ridondante aggettivo che pare mirare ad
enfatizzare la banalità che, forse, è proprio la ragione che l’ha resa etichetta di successo! Una Buona
Scuola che, a parte le sottigliezze semantiche e le contaminazioni gestionali, ha, però, decisamente
di buono, la spinta alla tensione ideale e a parlarne come il sano e maturo progetto di una società
moderna impegnata a valorizzare l’insegnamento per educare alla vita! Buona sì nell’azione (lo
sono anche altre “scuole”), ma buona soprattutto nelle finalità.
Un ambito di riflessione, quello dell’insegnamento, che negli ultimi decenni ha perso molto, vittima
di quei giochi di dinamica dell’attenzione collettiva che spesso di una questione portano ad
illuminare degli aspetti ponendone in ombra altri. Alcuni anni fa, infatti, e giustamente, si pose il
problema della necessità di una maggiore attenzione da prestare all’apprendimento e ai suoi
risultati. Non senza ragioni il decalogo predisposto da un Suo predecessore, al primo punto, poneva
la trasformazione della scuola da luogo dell’insegnamento a luogo dell’apprendimento. In effetti si
trattava di apportare una corretta integrazione alla dialettica pedagogica. Guardare non solo
all’insegnamento e all’attività d’insegnamento, ma anche ai suoi risultati: che cosa insegnare e
come, ma anche con quali esiti. C’era, allora, da stabilire un equilibrio che nuovamente si è perso
perché l’interesse sembra essersi concentrato tutto là, sugli esiti, degenerando anzi, in un problema
di governo dei processi di rilevazione e di diffusione dei risultati dell’apprendimento in modo
pressoché indipendente dal che cosa insegnare. Una degenerazione della quale vittima privilegiata è
stata la matematica presa peraltro di mira nel corso del 2015 anche dalle ostinate iniziative della
Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici del MIUR che si sono contraddistinte, fatto
paradossale per la fonte, per la caotica e insipiente interpretazione delle norme.
Un annus horribilis per l’insegnamento della matematica e in particolar modo per i licei scientifici,
interessati alla seconda prova scritta negli esami di Stato. Esami utilizzati da quegli uffici del MIUR
quale strumento per la promozione di didattiche e software particolari, problemi farsescamente
contestualizzati e improvvisate rubrics di valutazione. Una degenerazione complessiva incoerente
con ogni pregressa visione dell’amministrazione della scuola e incoerente con il progetto di ridare
senso e gusto all’insegnamento in un settore, quello della matematica, che più sembra esigerlo visto
che manca anche chi è disposto a insegnarla. Una realtà, quest’ultima, indiscutibile e amara, posta
chiaramente in evidenza dallo stesso progetto di Buona Scuola attraverso la migliore delle sue
realizzazioni: l’organico potenziato. Una novità veramente significativa, un cambiamento notevole
consistente in risorse aggiuntive messe a disposizione delle istituzioni scolastiche per l’attuazione
dell’autonomia didattica e quindi per il miglioramento degli esiti dell’insegnamento, ma con il
difetto della scarsa presenza della matematica.
Un cambiamento notevole perché appena cinque anni fa l’Italia “riordinò” l’istruzione di secondo
grado sotto il vincolo del contenimento della spesa pubblica: meno risorse, meno scuole, meno ore
d’insegnamento, meno insegnanti. Con l’organico potenziato ogni istituzione scolastica ha, dal
mese di dicembre 2015, docenti in più per meglio corrispondere al suo progetto educativo, ma non
può potenziare la matematica perché non ci sono i docenti, in particolare nell’istruzione secondaria
di primo grado. Un cambiamento comunque notevole cui se ne aggiunge un altro: la formazione in
servizio dei docenti è resa obbligatoria.
Si torna, dunque, per effetto della Buona Scuola, a parlare di insegnamento e l’augurio è che la
norma non si traduca in qualcosa d’altro, in un’ulteriore offesa della dignità e della professionalità
dei docenti. L’augurio è che l’Amministrazione sappia dare indicazioni sagge, sostenere
adeguatamente nuove modalità di formazione in servizio, sappia offrire ai docenti – docendo
discitur – vere occasioni di confronto e di riflessione pedagogica evitando di disorientare sul
significato stesso delle Indicazioni Nazionali e su che cosa insegnare e apprendere.
Gentile Signor Ministro, la Mathesis ha celebrato quest’anno i suoi centoventi anni di vita e,
concordemente al suo fine statutario, a conclusione del Congresso annuale di fine ottobre, onorato
peraltro dalla presenza di tanti docenti e della senatrice Angela D’Onghia, sottosegretario di Stato,
ha proposto una lista di 14 “grandi questioni” da affrontare e risolvere per il miglioramento
dell’insegnamento della matematica nelle nostre scuole. Al primo punto della lista figurano le
Indicazioni Nazionali per i Licei che, certamente per la matematica, presentano l’esigenza di essere
riscritte in modo più coerente con i princìpi normativi che ne sono alla base e in modo più chiaro e
comprensibile per tutti. Occorre cioè, non cancellare le Indicazioni Nazionali, come ha dato
sconsideratamente l’impressione di voler fare il MIUR sostituendole con indefiniti quadri di
riferimento, ma di precisare meglio, in modo inequivocabile per tutti, come è scritto nella legge che
regolamenta l’autonomia delle scuole, le mete dell’azione didattica e i risultati di apprendimento da
conseguire. Allora, precisate le mete, avrà veramente un senso ritornare a parlare d’insegnamento
perché significherà mettere tutti, docenti, studenti, famiglie, amministratori, nelle condizioni di
partecipare al dibattito collettivo su metodi, strumenti, risorse per raggiungerle e se e in quale
misura raggiunte. Sarà un tornare a parlare d’insegnamento come processo non da controllare e
dominare, secondo le vene e gli interessi politico-amministrativi del momento, ma da fare crescere,
culturalmente, nella stima e nell’attenzione della società.
Gentile Signor Ministro questa lettera apre il fascicolo 3/2015 del Periodico di Matematiche, che è
l’organo di stampa della Mathesis. Il fascicolo contiene, insieme a pregevoli contributi scientifici e
pedagogici, gli articoli dei proff. Maria Gabriella Sgueglia, Massimo Fioroni, Francesco Di Paola
Bruno, Valentina Fabbro, Claudia Zampolini, Luca Chiappi, Deborah Gaibotti, Luisa Lovisetti e
Serena Trivella. Sono lavori che sviluppano esempi di cambiamenti prodotti
nell’insegnamento/apprendimento della matematica dalle Indicazioni Nazionali dei Licei, presentati
per la partecipazione al “premio Bruno Rizzi 2015” – concorso organizzato dalla Mathesis in
collaborazione con Casio Italia, Zanichelli, Tuttoscuola e il Dipartimento di Matematica e Fisica
della Seconda Università di Napoli – e che testimoniano la vitalità e la professionalità dei docenti
che lavorano nelle nostre scuole.
La Mathesis confida, Signor Ministro, nella Sua azione e Le augura Buon Lavoro e Buon 2016.

Emilio Ambrisi