Alternanza e stage, un bene per i nostri studenti

da La Tecnica della Scuola

Alternanza e stage, un bene per i nostri studenti

Fra pochi giorni, il 22 febbraio, scade il tempo per le iscrizioni alla scuola superiore. Noto, da qualche anno, una sempre maggiore difficoltà, da parte dei ragazzi, intorno a questa scelta.

I giovani hanno dubbi, evidentemente, sul proprio futuro, sulle proprie attitudini, passioni, anche sulla propria idea di futuro, quindi anche sulle prospettive occupazionali.

Le stesse difficoltà che ritrovo nei ragazzi delle classi quinte, in relazione al dilemma università o mondo del lavoro.

Facile, sapendo queste, comprendere le ragioni della grande disoccupazione giovanile, compresi i neet, cioè coloro che hanno perso la speranza di cercarsi una formazione e una occupazione.

Queste difficoltà sono figlie, anzitutto, del fatto che non vi è un reale orientamento scolastico, costruito sulla percezione diretta dei profili scolastici e della “occupabilità” dei titoli di studio.

Come fare, dunque, per dare una mano ai ragazzi delle terze medie e delle quinte superiori?

La risposta sta iniziando, un po’ alla volta, a prendere corpo. Parlo qui in particolare del fatto che, da quest’anno, a partire dalle classe terze delle superiori, prende avvio l’alternanza scuola-lavoro, con 200 ore previste per i ragazzi liceali e ben 400 per quelli degli istituti tecnici e professionali. Un impegno di non poco conto, da spalmare nel triennio.

Potremmo tradurre questo cambio di marcia con un motto: “torniamo al lavoro”, cioè al primo articolo della nostra Costituzione, nei termini di una rimessa al centro del tema del lavoro: tutti i luoghi di lavoro sono cioè altamente formativi.

Perché rendono concreti i sogni di vita, essenziali nei nostri giovani, come in tutti noi, e danno prospettiva ai nostri sguardi. Pensiamo solo a chi si trova senza lavoro, per capire di che parlo.

Il problema è che tutto il mondo della formazione ancora oggi resta legato ad una astratta visione della vita reale, vincolato, per lo più, ad una cultura formale, distaccata dal contatto diretto con la realtà.

Quanti sono i ragazzi che, sino ad oggi, hanno seguito questi percorsi di alternanza? Solo l’8%.

Ma pensiamo anche agli stage estivi: è importante che i ragazzi non restino per tre mesi con le mani in mano.

Ma non basta.

Tutto il mondo del lavoro, attraverso le sue organizzazioni, deve rendersi disponibile non solo ad accogliere gli studenti, ma, anzitutto, a formarsi a questa nuova stagione. Perché non basta la buona volontà.

E il mondo della scuola?

Al di là, anche qui, della buona volontà di alcuni presidi e docenti, la loro formazione rimane legata ad una vecchia idea di scuola, con i presidi che poi non hanno strumenti, checché se ne dica, per ripensare l’offerta formativa in relazione alle nuove domande dei giovani di oggi e del nostro tempo storico.

Perché non pensare, ad esempio, ad una diversa organizzazione del tempo scolastico, con meno vacanze estive e gli esami di maturità, come è in tutta Europa, a 18 anni? Ma il problema, lo sappiamo, nonostante nuovi spazi concessi dalla “buona scuola, è la rigidità del nostro sistema scolastico.

Ancora troppo autoreferente, senza autonomia funzionale nella gestione del personale e delle risorse. Altro che “preside sceriffo”! Questo perché manca una cultura dei risultati, manca l’idea che la formazione non può limitarsi alla mera logica intenzionale dell’atto di insegnamento.

Ci vorrebbe, su questi aspetti, lo ripeto, un ridisegno dell’offerta formativa. Mentre ad oggi al più possiamo fare riferimento a quelle poche forme di incentivazione che ritroviamo in qualche bando, in rari progetti.

Al di là delle troppe polemiche, in troppi casi fine a se stesse, il decisore politico dovrebbe avere più coraggio e fare la propria parte, non limitandosi a gestire l’esistente conservatore.

Come per la imbarazzante sanatoria di 100.000 docenti, assunti quest’anno senza alcun filtro qualitativo. Ne va del futuro dei nostri figli.