Marie-Castille Mention-Schaar, Una volta nella vita

“Una volta nella vita”, un film di Marie-Castille Mention-Schaar

di Mario Coviello

 

una_voltaAnne Gueguen insegna da 20 anni storia, geografia e storia dell’arte nel Liceo “ Leon Blum” , nella periferia di Creteil, a sud est di Parigi. Il primo giorno di scuola si presenta ai suoi alunni dicendo “ Insegno da 20 anni e mi piace insegnare. Vedrete che le mie lezioni non saranno pesanti”. ( La prof in realtà si chiama Anne Anglés e i fatti sono avvenuti nell’anno scolastico 2008/09).

La ascolta una classe numerosa, distratta, multietnica, con ragazzi dalle enormi cuffie, con i berretti calati sulla faccia e le ragazze che si asciugano lo smalto alle unghie. Anne non demorde. Da’ del lei agli alunni, impone regole di civile convivenza e , sempre attenta, sa ascoltare, comprendere, osservare, tacere. L’edificio è moderno, pulito ; le aule spaziose, gli arredi nuovi. Eppure i ragazzi sono a loro agio solo nel cortile, quando giocano al pallone, si scambiano le confidenze. Fanno fatica a seguire, a capire i docenti che cambiano ogni 50 minuti e si lamentano per le assenze, i ritardi, la mancanza di impegno.

Anne usa le immagini per spiegare la religione nel medioevo e fa domande, stimola ciascuno a rispondere. Ragazze e ragazze, mussulmani, ebrei, bianche e di colore, cinesi, francesi in esigua minoranza,partecipano, intervengono.

A poco a poco la regista ci fa entrare nelle case di questi ragazzi e scopriamo vissuti di sofferenza, di abbandono: madri alcolizzate e assenti, madri che fanno le pulizie nelle case dei ricchi.

La prof prende al volo un’occasione per giocare la sua ultima carta. L’ultimo consiglio di classe è stato un vero disastro e solo Anne ha avuto il coraggio di essere ottimista con i suoi ragazzi, capaci di far piangere supplenti malcapitate. C’è un concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione del Ministero della Pubblica Istruzione dal titolo “I bambini e gli adolescenti nel sistema concentrazionario nazista” ,che chiede di raccontare dei bambini e dei ragazzi vittime del genocidio nazista.

Dopo molte resistenze la classe accetta la sfida. Con la professoressa in classe lavora per il concorso la bibliotecaria della scuola (a proposito interroghiamoci sullo stato delle biblioteche scolastiche in Italia..).

La ricerca, il problema da risolvere, richiede l’impegno di tutti. “ Io ho fiducia in voi-ribadisce la prof-, siete voi che dovete avere più fiducia in voi stessi”. E i ragazzi, ciascuno “ riconosciuto” nella sua unicità dalla sua prof., cominciano a lavorare in gruppo;nasce subito la gara , le gelosie, le ripicche; qualcuno si tira indietro. Anche il preside cerca di far desistere la prof.” La sua seconda è tra le peggiori professoressa. Non sarebbe meglio impiegare questo decisivo trimestre, cercando di salvare il salvabile”..La prof non replica, risponde con un sorriso. Chiama in biblioteca un testimone,l’ex deportato Léon Ziguel , che aveva quindici anni quando è stato portato a Buchenwald.La sua testimonianza è struggente. E uno dei ragazzi gli chiede “ Chi vi ha dato la forza di resistere?”.Il testimone risponde “ Avevo solo quindici anni e pensavo..Come saranno orgogliosi i miei amici quando tornerò a casa e racconterò tutto quello che sono stato capace di sopportare..”. Tutti insieme portano a termine il lavoro che si intitola “ Io sono un’eccezione…”.La ricerca è frutto di un uso intelligente di internet, che i ragazzi hanno imparato ad usare in modo consapevole perché motivati, incoraggiati. Nella ricerca ciascuno ha potuto, confrontandosi con gli altri, mettere se stesso, le proprie ansie, paure, convinzioni, ideali.

Arriva la convocazione a Parigi. La classe è tra le tre finaliste. Sono tutti tirati a lucido, emozionati. La professoressa ha in bella evidenza sul suo abito elegante la spilla che i ragazzi le hanno regalato andando insieme a Bruxelles per un viaggio d’istruzione. Con loro i genitori.

Incredibile ce l’hanno fatta, hanno vinto e la loro emozione è la nostra di docenti e dirigenti che con i nostri ragazzi abbiamo vinto tante battaglie e continuiamo ad essere orgogliosi del nostro splendido, difficile, indispensabile lavoro.

Nelle scritte che chiudono il film, dopo che abbiamo visto la professoressa salutare i suoi nuovi alunni ripetendo ..” Mi piace insegnare…”, veniamo a sapere che 20 di quei ventidue ragazzi si sono diplomati con il massimo dei voti, e uno di essi, Ahemed Dramè ,quello a cui piaceva solo il cinema, ha contattato la regista e del film è uno degli sceneggiatori.

Il film   Una volta nella vita in francese si intitolava, in modo forse più accurato, Les héritiérs, gli eredi. Perché è questo che sono i giovani, musulmani, ebrei o cattolici che siano: eredi della memoria, che nel film raccolgono e fanno proprio il giuramento dei prigionieri sopravvissuti nel campo di Buchenwald, pronunciato nell’aprile 1945, cioè l’impegno a testimoniare e a non permettere la cancellazione del ricordo di quello che è stato e che oggi, nonostante l’affiorare di nuove ideologie di morte, tendiamo troppo spesso a dimenticare, nonostante la sua enormità.

La memoria è una ricchezza da tramandare e per la cui perpetuazione è necessario coinvolgere i giovani senza sottovalutarne l’intelligenza e la capacità di empatia, perché i bambini, i ragazzi e gli adulti sterminati ad Auschwitz non erano diversi da loro e da noi, e di fronte all’inalienabile diritto alla vita nulla significano la fede religiosa e l’appartenenza alle minoranze. Citando Primo Levi, i cui strazianti e fondamentali libri sulla Shoah vengono letti dai liceali francesi (e si spera anche da quelli italiani), “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. E dimenticare, aggiungeremmo, non è mai un’opzione praticabile.

La protagonista del film Ariane Ascaride, intervistata sul film ha detto “Non era un vostro grande intellettuale, Gramsci, che parlava di pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà? La penso così. Se guardiamo bene il mondo viene da chiedersi come se la caveranno questi ragazzi, ma allo stesso tempo non voglio cedere a pensieri del genere. Sono pieni d’energia e di risorse,il mondo di domani è loro. Faranno delle proposte che noi neanche immaginiamo; ho una fiducia assoluta in loro, bisogna solo ascoltarli.”

Consiglio la visione di “ Una volta nella vita” a tutti quelli che amano la scuola e ai nostri governanti perchè diano a tutto il personale della scuola pubblica italiana migliori retribuzioni , per dare loro maggiore dignità e incoraggiamento.