Lavoriamo in un’aula qualunque

Lavoriamo in un’aula qualunque

di Claudia Fanti

Perchè non sta scrivendo più?

Cerco i suoi articoli sulla scuola, ma lei si è fermata.

No, non mi sono fermata, sto leggendo e osservando comportamenti, annunci, voci. Credo, mi pare, che ci sia un’accelerazione, ma verso quale luogo del futuro non so, non voglio neppure figurarmelo, immaginarlo. Mi vorrei fermare al presente per ragionare su ciò che abbiamo e non abbiamo.

Leggo di scuole “moderne”, di flipped classroom, di scuole senza zaino. Leggo di scuole senza compiti, di scuola svizzera, di scuole Montessori…

Leggo sui quotidiani cosa pensa il mondo di noi insegnanti, di noi maestre in particolare, quelle che sono sempre state le prime a cambiare, o a dover cambiare a seconda di come tira il vento della politica e della società pilotata abilmente dai media.

Poi entro a scuola, in una scuola del 1956, con lunghi corridoi e aule mai sufficientemente ampie per il numero di alunni e alunne con i quali lavoriamo. E allora penso a me e a tutte quelle come me con anni e anni di aggiornamenti e riforme scolastiche applicate. Penso a noi, a quelle che si son sentite dir di tutto: metti i voti, togli i voti, offri tempi lunghi, dai lettere, togli le lettere, fai il portofolio, ridai i voti, fai le prove Invalsi, dai tempi contingentati per allenare gli alunni agli apprendimenti, fai assemblee coi genitori, fai meno assemblee e fai più colloqui individuali, non etichettare un bambino con diagnosi, etichettalo ma poi sottoponi a giudizio la tua etichettatura, non fare verifiche a ogni piè sospinto, fai verifiche con i test, il tempo pieno è bello, il tempo pieno è brutto, il modulo è bello, il modulo è brutto, non usare fotocopie, usa fotocopie per i test, apprendimento personalizzato, apprendimento cooperativo, lezione frontale no, lezione frontale è meglio…

Continuo?

No, non voglio continuare.

Entro in classe e mi ritrovo con gli unici di buon senso: i bambini e le bambine, i quali paradossalmente mi dicono (con i loro comportamenti e i loro apprendimenti) “maestra, continua così, dai tempo al tempo, studia tu per noi che fare e non fare, non ci piacciono i voti, ci piace parlare con te, insegnaci la storia del passato raccontando e conversando, non guardare quelle Indicazioni, parlaci dei miti, degli dei, della vita e delle scoperte degli uomini. Facci sognare con le poesie, faccele inventare e disegnare, leggi tanto a voce alta, dicci di lavorare a coppie anche se i banchi non riusciamo a spostarli bene in questo spazio angusto, aiutaci ad andare d’accordo, a rispettarci, sono belle le parole nuove che abbiamo imparato, così le possiamo usare. Ti sei dimenticata di darci il compito, ce ne dai un po’ che altrimenti ci dimentichiamo, ci fai scrivere una fiaba oggi? Ci fai scrivere una nostra esperienza? Oggi parliamo dei migranti “che ce l’ha detto Luca”, chi sono?…

Sono loro che lontano dai media, dagli “sportivi” dello scolastichese, del pedagoghese, lontano da innovative trovate (che presuppongono sempre che la scuola della strada accanto sia la peggiore), sono loro che in questa aula che mi è data, mi riportano al senso del mio valore, dell’importanza che ha la scuola per loro, all’importanza del mio ruolo che media e politica cercano di distruggere, che gruppi e associazioni si affannano a volere che cambi senza farmi cambiare le coordinate spazio-temporali intorno. Clima buono, voglia di apprendere, attenzione a ogni bambino e bambina, compiti equilibrati, buon aggiornamento scelto in base alle necessità, pochi soldi a disposizione per la classe, ma tanti miei materiali messi a disposizione degli alunni, tanta pazienza, che se a volte scappa, mi vien perdonata con un sorriso, così come io perdono loro sempre e per tutto.

Sappiamo, io e i bambini, che non siamo santi, che l’essere umano sbaglia anche se con tutta la buona volontà, l’amore e la passione, anzi sappiamo che più si è coinvolti nel gioco più si rischia di sbagliare, ma poi sappiamo abbracciarci e ricominciare. Sappiamo che la nostra è una bella comunità che lavora sempre, che non si avvilisce, che sta imparando insieme le radici per volare. Maestra, questo l’ho scritto per te! Questo, l’ho fatto per te! Questo per la mamma e quest’altro l’ho scritto per il babbo! Piove, ma ci porti fuori lo stesso? Dove? Sotto la tettoia…dai, facciamo il gioco del telefono…

Leggiamo, scriviamo e i bambini sanno fare “oh!” per le scoperte grammaticali, si inorgogliscono se imparano il significato dell’apostrofo o dell’accento, lo spiegano, ne parlano fra di loro…Si stupiscono nello scoprire che i pronomi servono a faticare meno a collegare le parti di un testo; se poi si va in palestra e si balla e si canta, si gioca o si interpretano miti e leggende antichissime, volano e provano e riprovano coralmente a inventare coreografie…

Non siamo flipped, non siamo senza zaino (anche se nello zaino c’è poco), qualche compito lo si dà e lo si chiede, ma stiamo al meglio delle nostre possibilità e stiamo imparando a ragionare, ad avere il senso del limite, ad accontentarci di quel che abbiamo sognando altro, ma vivendo al massimo il presente e vorremmo che bambini e maestre fossero riconosciuti in questo continuo lavoro di adattamento e crescita dentro i limiti imposti dallo Stato.