Attraversando il reclutamento e il nuovo anno di formazione

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Attraversando il reclutamento e il nuovo anno di formazione

di Domenico Sarracino

 

E’ idea generalmente condivisa quella di considerare il reclutamento delle figure professionali della scuola come snodo centrale, da gestire con una “cura” particolare, come – duole dirlo- non è avvenuto in particolare negli ultimi tempi. E “curare” vuole dire fare con particolare attenzione e diligenza ciò che serve perché una data operazione vada in porto nel modo giusto, con i risultati e gli obiettivi che ci si prefigge: dunque, nel nostro caso, il prendersi cura vuol dire innanzitutto efficace organizzazione, assoluta trasparenza, mezzi e risorse adeguati, programmi coerenti con i fini, prove rapportate alle professionalità che occorrono alla scuola, presidenti e commissioni competenti e per questo anche adeguatamente remunerati. Momenti costitutivi del reclutamento sono i concorsi pubblici e l’anno di formazione e prova, che completa l’iter per la definitiva immissione in ruolo.

Da mesi si annunciano come imminenti i bandi per i nuovi concorsi che interessano la docenza, e il fatto che essi siano puntualmente rinviati mette seriamente a rischio la possibilità che siano espletati con la dovuta serenità, in modo inattaccabile e in tempo utile per il prossimo anno scolastico. Purtroppo è da rilevare che al momento mancano sia il rispetto dei tempi – che potrebbe portare ancora una volta a fare le cose in fretta e in un qualche modo – sia la dovuta attenzione al merito delle prove concorsuali. Se si fa eccezione per il parere espresso dal CSPI, che non ha mancato di sollevare alcune puntuali osservazioni, e per qualche rara voce sembra che nel merito di cosa prevedano le bozze dei bandi annunciati e a quale idea di professionalità docente rimandino, sia da rilevare una certa distrazione sia di singole personalità competenti, sia di associazioni, gruppi, etc., come di recente ha rilevato A. Valentino[1].

Non vorrei leggere tutto ciò come cedimento per sfinitezza a certi andazzi, sfiducia nella possibilità di incidere, e infine accettazione della logica del “si faccia qualcosa purchè si faccia”. Invece quanti conoscono la scuola reale e i suoi bisogni, e hanno maturato con gli studi e l’esperienza sul campo una visione concreta dei profili professionali che occorrono, proprio in questi momenti, di fronte a questi appuntamenti che hanno lunghe ricadute sulla scuola, non possono rinunciare a svolgere il loro ruolo di osservazione critica e vigilante.

 

Il Nuovo anno di formazione, la chiave di volta dell’autoriflessività

Ma, qui, non è tanto del concorso docenti che mi voglio occupare – spero che altri più esperti lo facciano – quanto di entrare nel “Nuovo anno di formazione” che, riguardando circa centomila “nuovi” docenti, costituisce per il sistema scolastico una straordinaria occasione per realizzare un notevole intervento di completamento del reclutamento e di formazione in servizio, da non lasciare che si perda per strada.

E, perciò, avendo avuto modo di incontrare un po’ di docenti in anno di formazione (ma anche tutor), ho potuto vedere da vicino il modo in cui è stato congegnato il nuovo meccanismo e soprattutto come sta prendendo corpo nelle realtà scolastiche, dopo il modo sperimentale in cui l’anno scorso è partito. Spero che possano essere di una qualche utilità le riflessioni che seguono, affinchè il buono e l’innovativo in esso certamente contenuti possano mettere radici, incidere e dare alla scuola frutti migliori; affinchè, anche questa volta, non prevalga l’antica malattia del nostro sistema scolastico che tutto tende ad assorbire nel ventre molle di adempimenti formali e prassi routinarie.

Ho visto, perciò, i “chiari e gli scuri” del Nuovo anno di formazione (Naf) e di seguito cercherò sinteticamente di darne conto nell’intento di contribuire ad accendere i riflettori su questa vastissima esperienza che sta riguardando quasi tutte le scuole italiane.

Il Naf ha indubbiamente un impianto logico e progettuale coerente, le azione e le attività previste sono passaggi di un percorso che è da svolgere in continuità, rischiarato da un criterio operativo che sta nello sguardo con cui costantemente il docente, sostenuto dal tutor, deve osservarsi e auto- valutarsi sia rispetto alla sua storia formativa e professionale, precedente ed attuale, sia nel suo agire nella classe, nella scuola, nella rete relazionale in cui lo colloca il suo ruolo. Se vogliamo, la parola chiave, il principio guida che regge tutto il congegno è “auto-riflessività”, un concetto che forse per la prima volta troviamo così esplicitamente e nettamente utilizzato, intendendolo come strumento attraverso cui, conoscendosi, si possa indirizzare il proprio sviluppo professionale. Esso agisce come criterio guida nella compilazione del “Bilancio delle competenze”, da cui poi discendono il “Patto per lo sviluppo”, le “Attività laboratoriali”, quelle del “Peer to peer” (Ptp), l’uso della piattaforma on-line, il Portfolio, la consapevolezza dei bisogni formativi da continuare a coltivare.

 

Il complesso ruolo del Tutor

Coprotagonista del Naf è il docente-tutor o, meglio, mentor, cioè quella figura professionale che è chiamata ad accompagnare, sostenere ed indirizzare il docente in prova; figura che deve essere individuata sulla base di caratteristiche professionali e relazionali di alto profilo, che la aiutino a posizionarsi correttamente nel compito, ponendosi come collega più esperto, quello della porta accanto, che agisce su un piano che è nello stesso tempo di parità, ma anche di autorevolezza, generalmente riconosciuta e guadagnata sul campo. Per la verità anche nelle vecchie modalità che caratterizzavano l’anno di prova – abbandonate per evidente obsolescenza – la figura tutoriale era già presente ed in nuce conteneva l’idea di accompagnamento, supporto e guida. Ma oggi quest’idea ha una corposità ed una responsabilità ben più evidenti perché la funzione tutoriale si svolge lungo un’attività che parte dai primissimi mesi dell’anno scolastico e si conclude sostanzialmente con esso, in una sorta di svolgimento di anno di prova parallelo, nelle cui varie tappe il tutor è chiamato a giocare il ruolo del coprotagonista più esperto. Come ben si vede sulle spalle di questa figura sono riposte importanti e impegnative responsabilità e funzioni delicate e di alto valore professionale perchè risulta evidente quanto il bandolo di un buon anno di prova stia alla fine nella mani del tutor che, avendo la responsabilità di “istruire” la riunione del comitato di valutazione, “costruisce” tanta parte della valutazione e decisione finale. Ma, se l’aver pensato ad una figura siffatta, indicandone importanti caratteristiche e compiti, è sicuramente una mossa che va nella direzione di migliorare e valorizzare l’anno di formazione, curvandolo sulla pratica di esperienze e riflessioni, va detto che non si possono dare per scontate le condizioni di fattibilità di questo compito, se lo si considera dal versante delle situazioni concrete. Ad essa vanno dedicate più risorse sia per una sua specifica preparazione al compito, che non può essere affidata al caso o alla buona sorte, sia in un più certo ed adeguato riconoscimento economico, da non far dipendere dalle risicate risorse del mof o dalle incertezze del bonus.

 

Le potenzialità dello “scambio tra pari”

In questo percorso assume un valore particolare la potenzialità, rappresentata dalle attività di “scambio tra pari”, il PTP, che prevede l’osservazione reciproca e riflessiva in attività didattiche reali tra il neo-docente e il tutor, potendo essere davvero stimolatrice di riflessione professionale, di arricchimento, di nuove e migliorative prospettive didattico-professionale. Mi piace perché, vedo finalmente realizzata la possibilità, tanto richiesta, di scendere dall’olimpo e “andare in classe” e lì vedere cosa succede, come si fa o si può fare, quali sono le professionalità che si riesce ad attivare, quali sono quelle da affinare o da imparare, su cui cercare e ricercare, da solo, in gruppo, attraverso la rete…

Ma, nel contempo non si può non osservare che il “Peer to peer” , che come accennato ha una forte carica di potenziale innovazione ed efficacia, basandosi sull’osservazione reciproca tra docente e tutor (4 ore più 4 in classe, più 4 di progettazione e riflessione), avrebbe dovuto disporre di più ore e meglio distribuite nel tempo per dare luogo ad una sedimentazione più adeguata, ma soprattutto avrebbe avuto bisogno di più precise indicazioni organizzative per far fronte alle complicate situazioni pratiche che si stanno registrando e che spesso non trovano risposta soprattutto coi docenti dell’organico potenziato che costituiscono un numero rilevante tra i soggetti in formazione.

 

Documentare sì, ma…

Altra importante parola-chiave – che deve accompagnare il lavoro del neo-docente – è “documentazione”, ma è bene dire subito che essa deve recuperare una sua valenza professionale positiva, liberandola da quel portato che la abbina subito a burocrazia, riti cartacei etc., cui l’hanno confinata eccessi, appesantimenti e formalismi. Bisogna pensare invece a forme di documentazione essenziali e pratiche, utili alla memoria, che danno atto a terzi, che mantengono tracce di decisioni, osservazioni, ipotesi di lavoro, che non chiudiamo in un cassetto, ma su cui torniamo, che consultiamo, che utilizziamo, etc.

In questo senso la documentazione che accompagna il Naf non va vissuta come adempimento burocratico (sia da parte del docente che da parte del Ds), ma va prodotta innanzitutto per sé, per il docente, come espressione della sua riflessività e della sua esperienza, e poi anche come strumento di rendicontazione, a cui tutta la scuola deve abituarsi, liberandosi da una lontana e ingiustificata auto-referenzialità.

Insomma, bisogna guardarsi dal non lasciarsi sommergere (e non sommergere) da una sovrabbondanza di “carta digitale”, soprattutto di documenti inerti e non “parlanti”, scaricati acriticamente da un qualche sito. E suggerirei anche di snellire il più possibile quegli schemi, modelli e moduli che appaiono eccessivamente ridondanti e ripetitivi, per concentrarsi bene e con chiarezza su pochi punti dei propri bisogni formativi, lavorarci serenamente e proficuamente, acquisirne consapevolezza, documentarli e commentarli. Una buona compilazione del Portfolio non si misura dalla quantità dei documenti inseriti, ma dall’accuratezza e autenticità con cui sono realizzati, e dalla capacità di rappresentare efficacemente e veridicamente il percorso fatto e la prospettiva in esso delineata.

 

Il rischio sproporzione.

Un elemento di criticità che va segnalato è la sproporzione tra la fase dell’auto-diagnosi e quella della formazione e delle esperienze didattiche. Sembra di poter rilevare fondatamente che i materiali che circolano per la compilazione del “Bilancio iniziale” e del “Patto di sviluppo” prendano un po’ troppo la mano e, volendo essere esaustivi, rischiano di essere sovrabbondanti e non trovare nei passaggi successivi le gambe per avere effettività. Penso alla fase dei “laboratori formativi”, che ora comincia a prendere corpo, che vede concentrati in sole 12 ore, 4 incontri di 3 ore ciascuno, di cui tre scelti dal docente sulla base dell’autodiagnosi ed 1 obbligatorio (sulle disabilità). Ciò significa che in questa fase un laboratorio formativo, che dovrebbe servire a far fare miglioramenti in un determinato ambito della professionalità docente, deve rispondere al bisogno individuato in un solo incontro della durata di tre ore, nelle quali una tematica rilevante mette insieme una trentina di persone che si incontrano per la prima volta e che devono lavorare con la modalità della formazione-ricerca laboratoriale. In queste limitazioni si ha appena il tempo di presentarsi reciprocamente e focalizzare il tema: se va tutto bene, ci potrà essere giusto il tempo per un primo scambio di opinioni e di esperienze.

Sul tutto pende un macigno carico di minacce. Sono le ritornanti questioni organizzative, dei tempi e dei ritardi che anche quest’anno si vanno registrando, e che rischiano decisamente di azzoppare l’intera operazione, costringendo ad agire sempre in condizioni di emergenza ed a comprimere in poco tempo, e sempre nella parte finale dell’anno, gli aspetti più rilevanti del progetto, spingendo di fatto ancora una volta nella logica deformante dell’adempimento formale.

Infine un’ultima notazione che non è costruttivo tacere: sul tutto manca uno sguardo esterno, un occhio che sia soprattutto garante rispetto al progetto, alle sue finalità, ai soggetti interessati ed alle pratiche effettivamente agite; e che funzioni come fattore equilibratore fra le situazioni e che in qualche modo intacchi la quasi assoluta auto-referenzialità   delle singole scuole e dar luogo a rilevanti discostamenti interpretativi ed organizzativi ed a forti disomogeneità.

La sostanza per un efficace anno di prova c’è, ma bisogna lavorarci ancora per curarne in particolare il versante organizzativo e la tempestività e fare in modo che le risorse e le energie investite producano quei miglioramenti che sono indilazionabili e che il Paese si aspetta.


 

[1] Tra preoccupazione e speranze. A proposito del prossimo concorso per docenti