I nuovi ragazzi di Don Milani sono migranti

da Corriere della sera

I nuovi ragazzi di Don Milani sono migranti

Don Lorenzo Milani non ci ha lasciato un metodo da praticare, ma uno spirito da vivere.

Emiliano Sbaraglia

Terminato di leggere «L’uomo del futuro. Sulle strade di Don Lorenzo Milani» (Mondadori), viene subito voglia di parlare con il suo autore, Eraldo Affinati, che non è soltanto un insegnante, o «maestro di strada», come alcuni amano definirlo. Affinati è uno scrittore che si racconta attraverso i battiti di una vita vissuta ogni giorno seguendo obiettivi concreti, come descrivono altri suoi libri e sue iniziative, la più importante delle quali può considerarsi la fondazione della scuola Penny Wirton, animata dai corsi di italiano per stranieri. Appena concluso un incontro insieme ai suoi studenti con un liceo romano, riusciamo a scambiare qualche battuta al telefono. Al solito, le parole arrivano d’impatto al cuore dell’argomento.

«L’uomo del futuro è un libro autobiografico, costruito sulle tracce di questo grande profeta, di questo grande maestro, di questo sacerdote, non so neanche come chiamarlo… E’ difficile definirlo, perché Don Lorenzo Milani aveva una personalità propulsiva poliedrica. Così sono andato nei luoghi della sua vita: a Firenze, dove è nato e morto; a Barbiana, a San Donato di Cavenzano, dove sono sorte le sue prime scuole. Poi però sono andato anche in tutto il mondo, in Africa, in Cina, in Giappone, per cercare e incontrare i Don Milani di oggi, quei maestri di frontiera, quegli educatori isolati che non conobbero certo mai Don Milani, ma che però ne mettono in pratica ogni giorno lo spirito. Quindi è un libro in cui ho cercato di superare i confini del genere romanzesco, per raccontare anche qualcosa di me stesso, della mia vita quotidiana di insegnante, rivolto soprattutto agli immigrati, a questi ragazzi che arrivano da noi senza punti di riferimento, e che per me sono i ragazzi di Barbiana di oggi».

Inevitabile chiedere perché il nome di Don Lorenzo Milani venga legato al concetto di futuro. «Secondo me perché dobbiamo recuperare lo stimolo etico che Don Milani ci dà, perché stiamo vivendo una crisi etica profonda. Allora credo che ritornare all’esperienza straordinaria e rivoluzionaria di Don Lorenzo Milani possa essere utile non per ieri, ma per oggi, e anche per domani».

Ma i metodi di ieri possono funzionare anche nella scuola di oggi? Tra nuove tecnologie, perdita di riferimenti e… «Don Lorenzo Milani non ci ha lasciato un metodo da praticare, ma uno spirito da vivere. Se vogliamo recuperare questo spirito dobbiamo guardare in faccia i nostri studenti, rompendo la finzione pedagogica e i conformismi didattici, uscendo dal “mansionario”. Non possiamo limitarci a mettere i voti, a spiegare il programma e basta. Dobbiamo conoscere i nostri studenti, e per fare questo dobbiamo metterci in gioco, ritrovando quell’autenticità del rapporto umano che è la condizione fondamentale per riuscire a trasmettere una nozione. Per questo penso che la scuola sia l’ultimo angolo etico rimasto, e il lavoro dell’insegnante è determinante e decisivo, oggi più di ieri, perché oggi viviamo una rivoluzione digitale in cui tutto sembra uguale a tutto; invece, grazie anche a Don Milani, dobbiamo ritrovare le gerarchie di valore anche all’interno del mare magnum del web. Quindi ecco la ragione per cui fare scuola significa oggi guardare negli occhi i nostri ragazzi ed assumerci la responsabilità del loro sguardo: quindi significa qualcosa di profondo che chiama in causa anche i nostri fantasmi interiori. Si tratta di un lavoro forte e potente, che ci chiama in causa direttamente per essere credibili, per riuscire a incarnare il limite. Anche questo ci ha spiegato Don Lorenzo».

La scuola Penny Wirton, naturalmente, tenta di realizzare tutto questo. «La nostra Penny Wirton è una scuola gratuita di italiano per immigrati, che si basa sull’uno a uno, sul rapporto diretto docente-studente: niente classi, ma tanti ragazzi con altrettanti professori e professoresse. In più abbiamo anche i liceali italiani, studenti italiani che con il metodo peer to peer insegnano l’italiano ai loro coetanei immigrati. E anche tutto questo significa recuperare Don Milani. Lo scenario diventa così quello di uno spettacolo antropologico unico, in cui un giovane italiano parla e insegna il verbo essere e avere a un giovane di origini straniere che viene da un centro di pronta accoglienza. Ecco, in questi momenti mi rendo conto fino a che punto Don Milani sia ancora vivo. Però dobbiamo lavorare per questo, perché non è facile superare i pregiudizi e gli stereotipi, smettendo di credere che la nostra identità sia una cassaforte chiusa a riccio. C’è bisogno di un lavoro umano da compiere: ma se non facciamo questo, delegando tutti ai politici, la società non va avanti. Non possiamo delegare tutto alla classe politica: loro devono scrivere i regolamenti, d’accordo, ma noi poi dobbiamo vivere, dobbiamo impastarci con queste persone».

Ascoltando queste ultime riflessioni di Eraldo Affinati torna alla mente un passaggio del suo libro, laddove l’autore, in uno tra i numerosi viaggi descritti, racconta degli emigranti italiani che all’inizio del Novecento sbarcavano a New York senza conoscere la lingua inglese, e iniziavano poi a studiare nelle anguste aule-magazzino del Lower East Side. Nel 2010 Affinati arriva ad Ellis Island, luogo-simbolo dell’emigrazione italiana nella Grande Mela, e fotografa un vecchio cartellone scritto in un italiano ancora incerto:

«Il governo degli Stati Uniti e le scuole pubbliche aiutano i nostri Amici Stranieri che fanno applicazione per ottenere CITTADINANZA AMERICANA ed imparare la nostra lingua ed i principi del nostro Governo per prepararsi a essere buoni cittadini. Il Governo fornisce gratis i libri di testo. Iscrivetevi subito. Venite a scuola!»

 Ecco come il passato richiama il nostro presente; ecco perché, per un insegnante come Eraldo Affinati, Don Lorenzo Milani non possa esser altro che “l’uomo del futuro”.