Il Bonus premiale ai Docenti

IL BONUS PREMIALE AI DOCENTI E LA PROPOSTA DI “CAPOVOLGIMENTO” DI A. VALENTINO

di Domenico Sarracino

Il recente intervento di A. Valentino (E se la ripensassimo “capovolta”?, in “ScuolaOggi” del 7 u.s.) ha aperto una qualche crepa nel muro di scetticismo indotto in me dal meccanismo premiale previsto dalla legge 107/15. Che, ribadisco, è concepita per affermare nettamente anche nella scuola modelli organizzativi e gestionali dettati da una logica che, facendo leva sulla concorrenza , su un assetto gerarchico “forte”e su una meritocrazia scolastica   che al momento nessuno è riuscito a definire in maniera convincente, produce in tutta evidenza effetti divisivi e di ulteriore destabilizzazione del sistema scolastico. Lo dimostrano le discussioni – infinite, estenuanti, spesso laceranti – che hanno sostanzialmente caratterizzato quest’anno scolastico senza portare ad approdi né unitari né convincenti.

Nello scritto in questione l’autore introduce stimolanti elementi di novità ed un approccio più circostanziato e perciò più verificabile: egli “capovolge” la prospettiva (e forse la cambia), e nel fare ciò mette bene in linea le varie fasi ed elementi della questione in una concatenazione di punti di riferimento e di azioni ben sostenuta, che dà senso e fondatezza alla sua proposta; e questo approccio appare importante e proficuo potendo configurarsi come il bandolo che può forse aiutare a mettere un po’ d’ordine in una matassa particolarmente intricata…

Provo a sintetizzarne gli elementi caratterizzanti, ( aggiungendo da parte mia qualche passaggio che in qualche modo può essere inferito dal ragionamento dell’autore), e successivamente a mettere in luce , pur nel solco tracciato, punti che restano aperti.

Il primo elemento è l’esplicito ancoraggio di tutta l’operazione ai pilastri identificativi delle scuole, e cioè al Ptof,al Rav, al Pdm, e dunque al progetto che dà identità alle scuole che , valutando e autovalutandosi, individuano bisogni e punti critici in rapporto ai quali organizzare e sperimentare ipotesi di miglioramento. In questo modo il sistema scolastico, le comunità professionali ed educative sono chiamate necessariamente a guardarsi dentro, a mettere a fuoco situazioni e bisogni, a cercare insieme le vie nuove da tentare, a sollecitare il contributo , l’impegno e la qualità professionale di tutti, senza esclusioni aprioristiche, che non siano quelle di chi sceglie di non sentirsela di caricarsi di nuovi impegni sia qualitativi che quantitativi, ma che pure sta ed è stato dentro la discussione, l’ elaborazione   e lo sforzo collettivo per i comuni avanzamenti.

A me pare che per questa strada la questione della valorizzazione del merito e dell’impegno possa trovare un riconoscimento ed un percorso più chiari e condivisibili legati ai bisogni ed agli interventi e iniziative ad essi conseguenti, in un cimento professionale che sarà evidente, discusso e verificato.

E per l’ufficializzazione e gli adempimenti, gli organismi ad essi preposti – Ds, Collegio dei Docenti, Consiglio di Istituto, Comitato di valutazione ed altri soggetti di supporto, specificamente individuati dalle scuole – sono chiamati a fare ciascuno la sua parte in rapporto alle rispettive competenze, indicando priorità, mezzi e risorse, criteri di valutazione, e mirando a far sì che i risultati siano rilevabili e caratterizzati da durabilità e propagabilità.

Ho ritenuto questa proposta capace di aprire un varco perchè l’ho ripensata collocandola mentalmente nel concreto di situazioni scolastiche vissute e/o conosciute, e dunque negli umori, nelle tensioni, nelle dinamiche che in esse si vivono, e l’ho trovata meno lacerante e più praticabile perché più chiara ed obbiettiva, più aperta, più appartenente a “tutti”, e perciò più vicina all’idea di comunità, collaborazione e condivisione,che in un clima di fiducia, positivo e stimolante, crea le migliori condizioni per rendere proficue e convergenti le azioni educative.

E mi sembra di poter dire che essa vada a riconoscere e premiare un qualcosa che così diventa più oggettivo e accettabile: impegni nell’innovazione e nella ricerca, di qualità, aggiuntivi e riconoscibili, aperti a tutti quelli che vogliono cimentarsi e che hanno esperienze e risorse professionali da mettere in campo; e più accettabili anche perché le innovazioni e i loro risultati – circoscritti e sottoposti al vaglio della comunità educativa – andranno esaminati e valutati in rapporto alla rendicontazione dei risultati.

Elemento di forza è il fatto che tali innovazioni così prefigurate, discendono da un lavoro di tutta la comunità educativa, animata e guidata, dal ruolo di stimolo, equilibratore, unitario e di alto profilo del dirigente scolastico, (a condizione che quanto prima questi sia restituito alle funzioni pedagogiche, didattiche, educative e culturali oggi a forte rischio di marginalità), e , come si accennava, sono pensate strettamente connesse al progetto di Istituto (il Ptof) ed ai documenti ad esso strettamente conseguenti . Con l’avvertenza però, che questi importanti documenti siano costruiti non tanto per “apparire”, ma per disporre di una oggettiva conoscenza di ciò che ciascuna scuola effettivamente è, e di ciò a cui vuole e deve tendere in un’ottica di sviluppo e miglioramento, intendendoli come bussole da tenere presenti nella quotidianità del lavoro scolastico e liberandoli da quell’alone di atti burocratici da tenere nel cassetto e esibire solo in questa o quella occasione.

Dunque la questione del “bonus premiale”, così intesa, con affinamenti ed altri necessari aggiustamenti, potrebbe permettere di aprire una fase nuova ed interrompere la triste sequela di mortificazioni che da tempo sono ricadute sulla scuola e sui suoi operatori.

Prima di concludere credo che possa essere utile segnalare qualche aspetto non privo di problematicità, intorno a cui continuare a lavorare.

La prima osservazione riguarda il fatto che progetti così pensati e tali da incidere nella struttura delle scuole difficilmente possono risolversi nel tempo di un anno scolastico, per cui le “durate” da considerare sono certamente più estese (biennali, triennali?) e tali da permettere che essi possano adeguatamente dispiegarsi e basarsi su dati e risultati più stabilizzati e solidi.

La seconda è che resta ancora aperta una migliore definizione dei soggetti che opereranno la valutazione delle innovazioni e degli insegnanti interessati, e gli strumenti e i criteri che si adotteranno , non nascondendoci che dietro l’angolo resta la solita, dura domanda che ci fa tornare a bomba e che è questa. All’interno del gruppo che ha sperimentato – mettiamo- con successo un certo progetto, gli insegnanti avranno dato tutti il medesimo contributo? O, come è pensabile, ci sarà stato sempre qualcuno che ha tirato di più, che più si è fatto carico, che era meglio attrezzato o che si è più responsabilizzato?

In conclusione richiamo un punto su cui mi discosto da Valentino. Questi – con l’azzardo del “capovolgimento” – si propone di salvare i punti di forza della norma e “dannare” il meccanismo premiale al quale, da solo, sarebbero da imputare i rischi di conflittualità che egli pure tanto paventa, e che minacciano concretamente di destabilizzare ulteriormente la scuola. A mio avviso le cose stanno diversamente perché sembra evidente che il meccanismo premiale e i principi ispiratori della legge sono fortemente complementari: si rincorrono reciprocamente e si tengono strettamente insieme. Considerare deleterio il meccanismo del bonus deve voler dire innanzitutto opporsi alla norma da cui discende, che prevedendo una scuola organizzata intorno alle leve della concorrenza e della competitività confligge apertamente con l’idea di scuola intesa come comunità educativa che nelle sue articolazioni, e intorno al leader educativo, si unisce per costruire e progredire: la qual cosa è certo difficile, ma non per questo può essere elusa.

E’ apprezzabile l’impegno dei tanti che , qui ed oggi, si sforzano di trovare rimedi a situazioni prodotte da raccapriccianti improvvisazioni e schematismi ideologici, ma ancor più resto convinto che bisogna battersi affinchè si apra quanto prima una nuova stagione nel modo di governare la scuola italiana, per “liberarla” e dinamizzarla. E non ci sono soluzioni miracolistiche né colpi di ingegno, ma c’è bisogno di un lavoro duro e quotidiano, di buon governo, che leghi il contingente a visioni e prospettive di lunga durata che riguardano il tipo di futuro al quale vogliamo che siano preparate le nuove generazioni.