Critica della ragion MIUR

Critica della ragion Miur

di Gabriele Boselli

 

La conoscenza “modo maxima rerum, tot generis natisque potens, nunc trahor exul, inops”.

Citazione da Ovidio , ripresa da Kant, pref. KRW 1781

 

Nella frase a margine, Kant si riferisce alla metafisica ma oggi lo stesso può dirsi oggi della conoscenza stessa, almeno quella che (non) compare nei documenti ufficiali del Miur. Documenti alieni dallo state of the art della ricerca, da una cultura ormai divenuta pluriassiale e incrementata dalla globalizzazione: la letteratura generale, le scienze umane e quelle del mondo fisico procedono a passi giganteschi, dentro a una rivoluzione del pensiero di potenza analoga a quella che si ebbe nei primi vent’anni del secolo scorso.

Poco di questi progressi arriverebbe nelle scuole, non fosse per la personale consuetudine di studio e di ricerca di tanti insegnanti, dirigenti e ispettori divenuti tali per concorso e che continuano a studiare. Dal MIUR, segnali di contatti culturali significativi con il Novum non sono pervenuti e quelli con il classico si vanno dissolvendo, ormai da molto tempo a questa parte. Penso alle clamorose inconsistenze e i ritardi su cui si muove la cultura ministeriale degli ultimi venti anni; alle prediche seriose e noiose, certo per nulla appassionanti dei corsi di aggiornamento che costituiscono sostrato e a volte alibi di non-pratiche (pratiche avulse da ogni pensare l’Intero). Penso all’ Analitica del Vuoto delle Indicazioni, alla programmazione per competenze, alla valutazione di docenti e dirigenti, a una del tutto sproporzionata e fuori dal contesto alternanza scuola-lavoro; creature meramente casuali, frutti generati da infausti connubi avvenuti negli asfittici circoli di viale Transtevere. Constato anche la quasi totale assenza di studiosi di chiara fama in quei paraggi e lo scarso impegno di quelli che hanno concesso il nome.

Ma forse il vento del nulla che spira da quei luoghi come pure tutto quel che compare sulla plancia di comando, sullo snapchat o si attiva dal chip endocranico dei DS-manager (ancor minoranza nella categoria ma in rapida diffusione) non sono del tutto casuali. Costituiscono Indicazioni nascoste e inducono in non pochi operatori scolastici incapacità di pensiero critico e creativo, inibiscono la produzione di innovazione non asservita. Cercherò in questo scritto di delinearne i tratti.

 

Non conoscenza ma competenze

I giovani dovrebbero essere indotti a consumare (e a mostrare con i testi INVALSI di avere ben digerito) hamburger di pensieri precotti, appena passati al forno a microonde degli apparati d’inculturazione destinati alle masse. Il sapere promosso non è quello che abita nel circuito tra la ricerca e quanto avviene in interiore homine ma quello che imperversa sulla superficie delle reti tecniche di comunicazione dell’apparato economico. Poco spazio va lasciato in ogni disciplina al pensiero autentico (personale, critico, creativo) e allora si tenta di appesantire la generalità dei soggetti sotto il peso dei prodotti verificabili e dunque controllabili fabbricati per le masse. Quel che chiamano “valutazione di sistema”.

Le circolari ministeriali ci chiamano agli obiettivi, micro-fini privi di prospettive e di ulteriorità, più insensati degli atomi di Lucrezio (quelli almeno avevano un clinamen originario), I DS-manager incitano a correr dietro a questi senza sosta, come cagnolini addestrati a inseguire gli oggetti lanciati dal padrone. Ci si vorrebbe de-realizzati dal “Pensiero unico dominante” (Enzo Tiezzi “Fermare il tempo, Raffaello Cortina) della Grande Macchina virtuale delle informazioni, controllata da un potere anonimamente oligarchico che tende solo a ingrandirsi e intensificarsi con gli strumenti della tecnica senza sapere neanche lui a qual fine. La macchina MIUR apprezza e alimenta non le conoscenze (difficilmente dominabili dal potere) ma le competenze, ovvero conoscenze servili, capacità pratiche utili in quanto rigorosamente definalizzate.

Non succede solo nelle scuole MIUR o non-MIUR: ai margini della galassia nascente della grande letteratura e della nuova scienza ignorate dalle pagine ufficiali, un buco nero tenta ovunque di divorare il pensiero antico e quello nuovo. Tra la fine del Novecento e l’inizio di questo secolo il gorgo ha introiettato la forza della tecnica e dunque aumentato ogni anno la sua potenza di annichilamento; costellazioni di stelle ricche di luce rischiano di spegnersi nel suo fondo. Ma non sarà così.

 

Tradizione rinnegata, chiusura dello spettro d’innovazione

Socrate ci aveva insegnato la priorità della domanda sulla costituzione del sapere, dell’apertura sulla scena, della finestra sulla luce; Heidegger a interrogare le domande, aprire e mobilizzare le fessure, rifrangere le luci ad ampio spettro traendone infinite e mutevoli sfumature; Foucault ci chiama a evadere dal carcere del politicamente corretto, a giocarci, con le parole stantie dell’ufficialità. Certa cultura ministeriale e particolarmente quella INVALSI è invece la cristallizzazione sporca dell’ufficialità del fenomeno, delle risposte prevedibili che comprende solo quelle attese e condanna quelle imprevedibili, che non consolidano ma trasformano. I sistemi precostituiti di verifica delle competenze sono i nuovi cimiteri della conoscenza.

La forma di non-pensiero meglio individuabile nei testi trasteverini è quella che seleziona, incasella, archivia e tratta le idee come puri oggetti in sé, indipendenti dal loro essere-ad-altro e dal contesto, semplificati e perfettamente amministrabili e verificabili da qualunque collaboratore amministrativo.

I dirigenti scolastici rischiano con il nuovo sistema di valutazione; non più dirigenti (dirige chi ha autonoma intelligenza del fine e individua gli obiettivi) ma di fatto collaboratori amministrativi. Anche per gli insegnanti che continuassero a nutrire idee maturate in un personale confronto con la cultura e la scienza è stato introdotto il deterrente del bonus, strumento di controllo della libertà di insegnamento, finora protetta da una Costituzione presto forse liquidata.

 

Scuola luogo di pensieri liberi

Certo, constatiamo con Severino la progressiva dominazione della tecnica sulle altre forme del pensiero. Ma la scuola non dovrebbe esserne dominata. j

Non è invero tutta colpa della Minerva romana: la macchina mondiale del non pensiero è ovunque diretta contro le strutture di pensiero complesso, autonomamente ordinato, distinto tra piani soggettivi e intersoggettivi, articolato su grandi costellazioni di idee. Produce pertanto (la grande quantità determina impressioni di qualità) enormi flussi di pensiero semplice, reso in un linguaggio costituito da frasi correlate da meri rapporti di successione, impone gerarchie estrinseche e “passanti” solo per forza di ripetizione. S’imprigionerà la progettualità del soggetto in visioni ristrette e schiacciate sul presente e sulla funzionalità economica. E niente atti ma “Fatti”, atti depotenziati e pesanti sul soggetto con tutta la loro gravità aliena.

Il pensiero unico dell’economia combinata con la tecnica, le gravità intellettuali del sistema informativo-formativo globale, lo psicologismo da fabbrica e le impostazioni settoriali della questione pedagogica (didatticismo etc.), i saperi aziendali come saperi egemoni del mondo dell’istruzione: questi i nostri avversari.

 

Fuoriuscire

Nella scuola italiana e nell’università italiane sono partiti o stanno partendo apparati di valutazione finalizzati a sottoporre a verifica attraverso test la capacità di queste istituzioni di modellare il pensiero secondo le esigenze dell’economia finanziaria e di neutralizzare le anime irriducibili. Le rilevazioni condotte dagli inquisitori istituzionali (quali comunque non si ridurranno a essere gli ispettori provenienti da veri concorsi per titoli ed esami) serviranno poi ai dirigenti (pardon, managers) eterodiretti per individuare meglio chi “rema contro”, colpire le teste pensanti e premiare con la serie A o B e congrui premi di qualità quelle piene solo di “pensiero unico”.

 

Ho raccontato di alcune delle tante forme della trionfante “pedagogia” ministeriale, aliena dalla complessità e dalla ricchezza di infinite storie di vita e di pensiero.

Ci sarebbero molti motivi di pessimismo, ma forse non è proprio così. Forse il sapere costituente –aiutato da una pedagogia che non conduca ma introduca- potrebbe rifarsi. Credo che la maggioranza pensante che lavora nella scuola meriti e saprà conquistarsi di meglio. Dobbiamo cominciare a svegliarci e a parlare, ridestando chi ci è vicino. Credo nella possibilità di restare (e di educare a divenire) soggetti non situati nella cronaca ma nella storia; soggetti intellettualmente, eticamente e perfino politicamente consapevoli, critici e impegnati, cioè attivamente soggetti. Non sarà possibile eliminare per catalogazione e valutazione “meritocratica” tutte le forme di pensiero pensante; né mortificare tutti i maestri autentici, quelli capaci di pensieri culturalmente fondati e originali. Tremila anni di pensiero occidentale, la recente ripresa della ricerca scientifica di base, l’entrata nel circuito mondiale della conoscenza di culture antichissime come quella indiana e cinese non possono essere cancellati e l’ipersistema della tarda modernità non è onnipotente; nemmeno il Palazzo.

Per fortuna del mondo, la scuola –dal nido all’università- c’è.


 

Bibliografia

 

Severino Il destino della tecnica Rizzoli, Milano, 1998

Schutz Don Chisciotte e il problema della realtà, Roma, Armando

Erbetta, Educazione ed esistenza, Torino, Il Segnalibro 1998

G.Boselli Non-pensiero e oltre, Erickson, Trento, 2007

Sassen Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal Medioevo all’età globale, B. Mondadori, 2008

Melucci Scuola e mutamenti antropologici nel tempo della singolarità e della pluralità: appunti per una pedagogia della trans-formazione in Studi e documentazione, riv. USRER dicembre 2013

A. Rovatti Una società di sonnambuli da Il Piccolo del 20 giugno 2014