I Neuroni Specchio

NEUROSCIENZE
UN NUOVO PARADIGMA PER LE SCIENZE DELL’EDUCAZIONE
I NEURONI SPECCHIO
una scoperta (da premio Nobel) che parla italiano

di Giuseppe Guastini

 

Apprendimento per imitazione; un pessimo luogo comune attribuisce a questa modalità di apprendimento una connotazione negativa derivante dall’uso inappropriato del termine “imitazione”, il quale induce a qualificare come passiva questa fondamentale linea di apprendimento.

Ma le neuroscienze dicono che le cose stanno in tutt’altro modo.

LE NEUROSCIENZE; UN CAMPO DI RICERCA NUOVO E RICCO DI PROSPETTIVE

In forma schematica il termine “neuroscienze” si potrebbe rendere con la formula “scienze del cervello”; in realtà si tratta di un territorio pluridisciplinare molto articolato che privilegia certamente la neurofisiologia ma si serve dei contributi della genetica, dell’antropologia, della psicologia, della paleontologia etc e persino dell’archeologia.
(per approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Neuroscienze)

Le neuroscienze costituiscono un campo di ricerca giovane il quale, pur non avendo ancora prodotto ricadute immediatamente cantierabili in ambito didattico, fornisce uno sguardo nuovo nell’ambito delle scienze dell’educazione e una migliore comprensione del funzionamento della mente. L’impulso probabilmente più importante in questo settore della conoscenza è venuto dallo sviluppo di tecniche di neuroimmagine, come la PET (tomografia ad emissione di positroni) e la fRMI (risonanza magnetica funzionale), che permettono di osservare i neuroni praticamente in diretta (https://it.wikipedia.org/wiki/Neurone ) e in modo poco invasivo e rilevare quali di essi si attivano nelle varie funzioni cerebrali (percettive, motorie etc).

L’APPRENDIMENTO PER IMITAZIONE

“Una cosa per cui gli esseri umani effettivamente spiccano fra i primati è la capacità di imparare gli uni dagli altri. Siamo particolarmente bravi a imitare ciò che fanno gli altri.”
Dietrich Stout; antropologo

L’apprendimento cosiddetto per imitazione, diversamente da quanto questa inappropriata denominazione suggerisce (in realtà sarebbe più corretta la formula attivazione per interazione diretta), costituisce una strategia innata, comune a molti animali ma particolarmente sviluppata nell’uomo, di fondamentale importanza nello sviluppo delle competenze e che ha molto a che fare con una recente scoperta di straordinaria importanza sul funzionamento del cervello: i neuroni specchio (“mirror neurons”). In effetti molte evidenze scientifiche inducono a ritenere quello che la filosofia aveva scoperto già: molte forme  di apprendimento consistono in realtà nell’attivazione di schemi e modelli che il nostro cervello possiede già:

“Per quanto grande sia l’avidità della mia conoscenza, non potrò estrarre dalle cose nient’altro che già non mi appartenga, mentre ciò che possiedono gli altri resta nelle cose … In definitiva, nessuno può trarre dalle cose nient’altro che quello che sa già, chi non ha accesso per esperienza a certe cose, non ha neppure orecchie per udirle…….”
F. Nietzsche

Più precisamente si dovrebbero distinguere gli apprendimenti realizzati dalla specie (e dai precursori della specie in decine di migliaia o addirittura milioni di anni; pensate alla stazione eretta o alla capacità di riconoscere e localizzare una sorgente sonora) da quelli realizzati dagli individui nel corso della propria esistenza; pensate all’apprendimento della lingua, possibile grazie al fatto che la nostra specie ha già da tempo “imparato” ad analizzare una sorgente sonora e modulare l’emissione di molti schemi vocali e soprattutto ha imparato ad imparare una lingua orale attraverso la semplice esposizione all’ascolto dei suoni emessi dagli altri.
Eventuali innovazioni scoperte dai membri di una comunità (non soltanto) umana passano al vaglio della selezione naturale (per approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Selezione_naturale) e, se siamo fortunati, in tempi che possono durare migliaia di anni, finire incorporati nel codice genetico della specie per essere trasmessi per via genetica.

 

L’IMPORTANZA DI STARE ERETTI

La stazione eretta è un bell’esempio di apprendimento “di specie”;  si tratta una conquista che ci ha permesso di utilizzare le mani per costruire utensili, scambiarci segnali, scrivere etc.
Ma mantenersi su due piedi, anche camminando, correndo etc non è per niente  semplice; si tratta di un complesso di azioni e reazioni dinamiche estremamente articolate e fondate su una nota legge della statica: un corpo resta in equilibrio fino a quando la verticale del suo baricentro cade entro la base d’appoggio (nel nostro caso l’area determinata dai nostri piedi). Il nostro cervello, in migliaia di anni di evoluzione, ha sviluppato la straordinaria capacità di eleborare contemporaneamente centinaia di informazioni provenienti dai canali semicircolari dell’orecchio interno (il nostro organo dell’equilibrio), da tutto il corpo e dalla vista e rispondere, nel tempo di frazioni di secondo, con meccanismi muscolari automatici (cioè senza l’intervento della volontà) in modo da compensare i movimenti e mantenere la verticale del baricentro costantemente entro la base d’appoggio dei piedi.
Potete verificare facilmente questa “abilità” innata quando, ad esempio,  portando un grosso peso in una mano, istintivamente, anche senza conoscere le leggi della statica, alzate l’altro braccio per equilibrare il  carico e spostare il vostro baricentro (il cervello è così bravo che, nella corsa, in curva, risponde molto bene anche per bilanciare gli effetti della forza centrifuga). La cosa straordianaria è che tutta questa sofisticatissima capacità di controllo statico, oltre che del tutto automatica, viene ereditata geneticamente e non richiede alcuno sforzo per apprenderla ed il bambino piccolo, non appena ha sviluppato la tonicità muscolare sufficiente, con pochi aiuti è già in grado di mantenersi in piedi. Ma non è tutto qui; siamo in grado di “educare” i network neuronali dell’equilibrio a funzionare ottimamente anche in attività non previste dal nostro statuto evolutivo, quali sciare, pattinare, andare in bicicletta, motocicletta etc.
Un’altro importantissimo apprendimento “di specie” sta nell’abilità di localizzare la posizione di una sorgente sonora (cosa che sanno fare anche i neonati).

LA SCOPERTA DEI NEURONI SPECCHIO

I neuroni specchio costituiscono una particolare classe di neuroni, scoperti agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso da un gruppo di ricerca di neuroscienziati dell’università di Parma, coordinato dal prof. Giacomo Rizzolatti, che sono responsabili di un’ampia gamma di (diciamo) relazioni esterne del cervello. Come svariate altre scoperte, quella dei neuroni specchio è un caso di serendipità (https://it.wikipedia.org/wiki/Serendipit%C3%A0), che consiste nello scoprire e comprendere un fenomeno inatteso mentre se ne sta indagando un altro; casi storici di scoperte per serendipità sono stati: la scoperta dell’America (o, se preferite, la scoperta degli Europei da parte dei nativi americani), gli antibiotici, il nucleo atomico e la radiazionne cosmica di fondo.

Il gruppo di Rizzolatti stava studiando l’attivazione dei neuroni responsabili del controllo motorio della mano di un macaco quando si accorsero che, anche restando perfettamente immobile, molti di quei neuroni si attivavano ugualmente quando il macaco vedeva uno sperimentatore prendere con la mano una banana. All’inizio i neuroscienziati pensarono ad un errore negli strumenti di rilevazione ma, dopo ulteriori controlli e la ripetizione delle osservazioni, si confermò l’attivazione neuronale nell’animale fermo che osserva un altro compiere i medesimi movimenti di cui il neurone ha il controllo.

I neuroni specchio hanno in effetti la particolare caratteristica di attivarsi selettivamente sia quando l’individuo compie una determinata azione sia quando l’individuo osserva altri compiere quella medesima azione (il termine “selettivamente” significa che ad ogni schema d’azione corrisponde un determinato gruppo di NS). Per approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Neuroni_specchio

 

I CERVELLI SONO CONNESSI

La scoperta dei neuroni specchio conferma che i cervelli sono connessi; è da sottolineare il fatto che non si tratta di una connessione per effetto di semplice scambio di informazioni e dati ma di una vera fisiologia strutturale del cervello, mediata da questa speciale classe di neuroni.

Studi successivi hanno in effetti confermato che i neuroni specchio sono molto sviluppati nell’uomo e hanno un ruolo importante nella codifica e decodifica e nella comprensione delle azioni altrui.

E’ di particolare rilievo osservare che la comprensione riguarda sia lo “scopo” dell’azione che le singole sequenze; ciò significa che movimenti simili sono decodificati in modo diverso se gli scopi sono diversi; ad esempio afferrare per mangiare o afferrare per spostare implicano l’attivazione di sistemi di neuroni specchio diversi. I neuroni specchio ci permettono anche di prevedere gli effetti di un determinato modello motorio.

In pratica è come se gli uomini condividessero un medesimo “spazio d’azione” comune (una “kinesiosfera”) entro il quale le persone interagiscono.

Esistono studi che mettono in relazione l’autismo con problemi di funzionamento dei neuroni specchio.

 

NEURONI SPECCHIO E LINGUAGGIO

Esistono molte evidenze per le quali i neuroni specchio hanno un ruolo anche nello sviluppo, probabilmente in età paleolitica, del linguaggio; a questo riguardo vi consiglio la lettura dell’articolo “Racconti di un neuroscienziato del Paleolitico”, di Dietrich Stout, pubblicato sul numero 574 di giugno 2016 della rivista “Le Scienze” (www.lescienze.it ).
http://www.lescienze.it/ricerca?query=racconti+di+un+neuroscienziato+del+Paleolitico&x=17&y=10

CONCLUSIONI

Come si vede quanto solitamente ricomprendiamo nella formula “apprendimento per imitazione” costituisce in realtà uno dei più sofisticati sistemi di apprendimento che l’evoluzione ha consegnato alla nostra specie e si presta ad almeno due importanti conclusioni:
a) la centralità dell’insegnante quale mediatore nei processi di apprendimento;                                                                                                                      b) apprendere significa partecipare ad un’intelligenza comune; tanto come fruitori che produttori.